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Apocalisse e post-umano
Il crepuscolo della modernità
a cura di Pietro Barcellona, Fabio Ciaramelli e Roberto Fai
Dalle potenzialità apocalittiche della tecno-scienza sta nascendo una forma di vita post-umana, la cui posta in gioco è una mutazione radicale dell'agire. Ci sarà ancora uno spazio per la politica? Come si configurerà il potere? Quale spazio rimarrà alla responsabilità e alla decisione?
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053718
- Anno: 2007
- Mese: ottobre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 448
- Tag: Società Politica Filosofia Filosofia politica Tecnologia
Gli interrogativi sulla trasformazione tecnologica dell'umano e sulle sue implicazioni politiche costituiscono il filo conduttore di un serrato confronto tra studiosi di filosofia, letteratura, storia delle religioni e scienze umane. L'ottica apocalittica, con la sua pretesa di svelare il senso nascosto e necessario delle faccende umane, rischia di diventare un alibi per operazioni e progetti che si ammantano di una giustificazione o razionalizzazione superiore, presentandosi come espressione di una logica sistemica inderogabile. Discuterne criticamente significa in fin dei conti denunciare la tutela apocalittica dell'agire individuale e collettivo, che riconfigura in termini post-democratici il problema del potere.
Le sfide del millennio di Pietro Barcellona - La redenzione impossibile di Fabio Ciaramelli - I. BIOPOLITICA E POST-UMANO - Strategie per trascendere l'umano: cenni sul sublime e sull'Übermensch di Remo Bodei - Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani di Roberto Marchesini - Il dio selvaggio: crollo e generatività delle nuove culture di Malde Vigneri - Antropologie in conflitto: catastrofe versus apocalisse di Fabio Merlini - La provocazione tecnica e l'umanità dell'umano di Caterina Resta - II. APOCALISSE, MILLENARISMO E NICHILISMO - Religione e nichilismo di Vincenzo Vitiello - Il tempo senza fine. Dalla fine dei tempi al dominio della contingenza di Salvatore Natoli - Apocalisse e rivoluzione. Jacob Taubes interprete di Carl Schmitt di Riccardo Cavallo - Apocalisse, millenarismo e violenza. Il profilo storico di una trasformazione di Marco Rizzi - Una rilettura apocalittica di Levinas di Marcelo Fabri - Apocalisse come invocazione escatologica della salvezza di Giuseppe Cantarano - Natura e storia tra mito e razionalità di Matteo Negro - Nichilismo e nichilismo giuridico di Marco Milli - II. ESPERIENZA DELLA CATASTROFE E IMMAGINI DEL MONDO - Il post-umanesimo è un «pantagruelismo»? Rabelais e la circolazione delle idee nel Mediterraneo di Bruno Pinchard - L'infinito crepuscolo del Moderno di Roberto Fai - Angoscia e politica di Pasquale Serra - Iconocrash: sulla guerra delle immagini di Michele Cometa - La purezza del Non Essere e l'esperienza estetica di Marco Vozza - IV. PAURE E SPERANZE ALL'ALBA DEL NUOVO MILLENNIO - I furbi dell'Apocalisse. La politica estera americana tra messianismo e gnosticismo di Agostino Carrino - La Grande Restaurazione di Juan-Ramón Capella - Il rischio ambientale: la globalizzazione della paura, le apocalissi di Ugo Leone - Apocalisse e paure alimentari di Chiara Platania - L'androide Philip Dick. Identità umana e artificio. Idee per una libertà sostenibile di Eugenio Mazzarella
Le sfide del millennio
di Pietro Barcellona
1) I saggi raccolti in questo volume intendono porre il problema di una nuova epocalità che segna il tramonto dell’umano così come ci è stato consegnato sin qui dalla tradizione e dalla storia. Non si tratta soltanto di discutere se ci sarà guerra o pace, se l’America bombarderà l’Iran o quali potrebbero essere i nuovi attentati terroristici e quali le reazioni militari di Israele a un nuovo attacco degli Hezbollah; si tratta invece di riflettere se, alla fine di questo primo decennio del terzo millennio, saranno ancora sensate le questioni su cui ci siamo affannati negli ultimi decenni: la giustizia sociale, la tutela della salute, la lotta per i diritti e la pari dignità di donne e uomini.
Le ragioni di un interrogativo così radicale sono, in verità, sotto gli occhi di tutti. Lo scontro di civiltà su cui oggi tanto si discute non è la guerra fra i Greci e i Persiani, ma l’ultimo atto della lotta fra il Bene e il Male che, come tale, non può che mutare l’intero orizzonte dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Non si tratta, infatti, di un conflitto globale, come potrebbe apparire a prima vista, ma di un conflitto ultimo, giacché non ammette né tregue, né paci provvisorie. Ciò che segna la discontinuità rispetto alle guerre del passato è appunto questa indeterminazione del nemico (il terrorismo non è uno Stato, né un gruppo politico, né un popolo, ma il nemico assoluto, anonimo e impalpabile), del tempo e della durata dello scontro.
Non a caso le parole del presidente Bush evocano sempre il carattere infinito e quindi ultimo della posta in gioco: oltre la libertà, la pace, ciò che è in gioco è la stessa vita. Non a caso fra i consiglieri di Bush ci sono esponenti di un pensiero escatologico che, reinterpretando il messaggio biblico, tendono a vedere nell’America il destinatario della missione divina di restaurare il regno di Dio a Gerusalemme, prendendo in mano la bandiera del popolo eletto.
Contrariamente alle apparenze i sostenitori della guerra a oltranza non sono espressioni della «banda dei petrolieri», ma di una ispirazione «religiosa apocalittica» che rilegge la storia umana in funzione di quest’ultimo atto che vedrà il trionfo del «popolo eletto» (oggi americano) sui malvagi e perversi infedeli.
Rileggere la Bibbia e decifrarne i codici segreti è diventato il tema fondamentale delle ricerche di studiosi di varia estrazione (ebraica e cristiana) che provano a interpretare le guerre attuali come i «segni» che annunciano la «fine» dell’attuale modo di essere (uomini) «mondani». A fronte del successo mediatico del Codice da Vinci, è in atto una vera e propria neo-esegesi interpretativa del messaggio biblico in vari centri studi degli USA. Persino un «liberale» come Galli della Loggia ha scritto sul «Corriere della Sera» che, dopo anni di disincanto e di chiacchiere sull’insensatezza del mondo, è giunto il momento di rilanciare lo studio della «filosofia della Storia» per capire qual è il senso degli ultimi tempi. Tutto si è via via colorato dell’atmosfera dell’ultimo uomo e degli ultimi tempi. La posta in gioco è diventata una scommessa totale su chi vince e chi perde, per sempre: la civiltà o la barbarie, il terrorismo o la convivenza pacifica, la felicità o la disperazione.
Tutte le categorie con le quali è stato descritto l’immaginario collettivo del secolo scorso – il conflitto fra democrazia e totalitarismo, fra libertà e comunismo, fra Nord e Sud, fra ricchi e poveri – sono inadeguate rispetto al modo in cui il senso comune percepisce lo scontro fra Occidente e Islam. Al di là di ciò che si sforzano di scrivere i commentatori politici ispirati al realismo degli interessi economici, non c’è dubbio che la percezione diffusa è che siamo arrivati a una resa dei conti definitiva e che nulla sarà più come prima. Il crollo del muro dell’89 e l’attacco terroristico dell’11 settembre del 2001 sono un unico blocco di eventi che aprono le porte alla nuova epoca della vittoria definitiva del regno del Bene.
Non è più possibile configurare forme e figure intermedie fra Bene e Male, provare a riflettere con un minimo di autocritica su cosa abbiamo fatto noi occidentali per rendere il mondo migliore, sul colonialismo, lo sfruttamento e la rapina delle risorse dei paesi poveri.
Nello scontro finale non c’è tempo per pensare, chi pensa rischia di diventare complice dei terroristi e dei nemici dell’Occidente.
Il carattere estremo di questa visione, che potremmo definire del fondamentalismo apocalittico (alla Oriana Fallaci), ha assunto ormai l’appartenenza al popolo eletto, destinato a trionfare sul male assoluto dell’Islam, come criterio distintivo fra l’umano e il non-umano. Basti ricordare la trasmissione televisiva di Lerner, dove l’omicidio commesso dal padre della ragazza pakistana che conviveva con un italiano, è stato presentato come una prova della concezione barbarica diffusa fra i popoli musulmani rispetto al civile Occidente. In questo clima persino la lezione «accademica» del Papa all’Università di Ratisbona è stata letta dagli ideologi della missione americana come la conferma autorevole della violenza assassina insita nella religione islamica.
I nomi delle sette cristiane che negli USA alludono a questo imminente ritorno del Salvatore Trionfante sono del resto significativi: quella a cui appartiene Bush si chiama, infatti, «I rinati nello Spirito» dove ci si riferisce al «tempo nuovo» della «Rinascita» dopo la sconfitta della corruzione e della prostituzione generale. In questi termini anche la «fine della Storia» di Fukuyama viene riproposta non tanto come il compimento e l’esaurimento della modernità ma come un «nuovo inizio» nel quale il tempo storico è annichilito per aprirsi alla nuova epocalità dello Spirito senza macchia di peccato. Il pensiero apocalittico non porta, dunque, alla tristezza decadente della morte del Sole e del pessimismo nichilistico, ma a una vera palingenesi che dà alla luce un «uomo nuovo», un post-uomo.
2) La stretta finale, che trova nella guerra infinita dichiarata al terrorismo islamico il suo braccio armato, ha un insolito alleato, forse inconsapevole: il trionfo delle tecnologie di manipolazione della vita umana.
Le odierne tecnologie – i nuovi media, le realtà virtuali, il cyberspazio, trapianti, eutanasia, nuova cosmesi, chirurgia plastica, droghe intelligenti, protesi di materiali inorganici che attecchiscono nella nostra carne, e così via – stanno cambiando la nostra fisicità, il nostro modo di vivere, le nostre stesse strutture del pensiero. Si potrebbe obiettare che tutte le tecnologie innovative hanno avuto questo effetto, dalla ruota alla televisione. Ma il fatto nuovo è che le tecnologie odierne non si limitano più a potenziare il nostro fisico o i nostri sensi. Esse agiscono in modo molto più determinante perché giocano con lo strumento primario del nostro rapporto col mondo, l’oggetto su cui si basa la nostra identità di uomini: il corpo. E anzi, oggi più che mai si rivela profetico un noto concetto espresso da McLuhan trentacinque anni fa, e che viene ad assumere un significato quasi letterale: «Ogni invenzione, o tecnologia, è una estensione o una autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri fra gli altri organi e le altre estensioni del corpo».
Non a caso questa descrizione è tratta da un articolo di Vittorio Catani, L’apocalisse del corpo, dove si riprende il tema della metamorfosi di Samsa, il personaggio di Kafka diventato un insetto. Nel nuovo mondo non ci saranno uomini ma androidi come nei film di fantascienza.
La trasformazione tecnologica dell’umano è il tema che singolarmente corrisponde all’immaginario della «fine dei tempi». L’esperienza della condizione umana, sin qui ancorata alle immagini tradizionali della responsabilità, della colpa e della libertà, non può più riproporsi. Nell’immaginario apocalittico, noi saremo «gestiti» da super-poteri tecnocratici che ci consentiranno di provare piacere o dolore in base a semplici impulsi elettrici e chimici.
Il mondo della tecnica dispiegata non è, tuttavia, il Mostro partorito dallo scientismo illuminista, ma il risultato evolutivo di un «progetto intelligente» della stessa materia dell’Universo che tende a realizzare, attraverso l’uomo bionico, la vittoria sulla morte e la garanzia dell’eternità.
Non solo il mondo virtuale si sottrae alle limitazioni spazio-temporali della vicenda dei comuni mortali, ma appare come un vero «paradiso artificiale» dove tutto è possibile e dove la fantasia onnipotente può dispiegarsi senza i limiti della fisicità. Il mondo virtuale annullerà tutte le differenze fra organico e inorganico, fra vita e morte, fra uomini e donne, per far posto a un pulsare fluttuante di atomi felici.
Rispetto a questo scenario di esaurimento del mondo terrestre, dove la realtà evapora per mancanza di consistenza, noi appaiamo ancora come gli ultimi testimoni attardati da una coscienza limitata e opaca, dove ancora valgono le pulsioni dell’inconscio, i desideri e le passioni del corpo, in attesa di essere superati non dall’oltreuomo nietzschiano, ma dai robot ricoperti di pelle umana capaci di infrangere la barriera tradizionale dell’apparato sensoriale.
Il paradiso artificiale è in perfetta sintonia con il tramonto dell’umano che il pensiero apocalittico prospetta come imminente esito dello scontro finale fra Bene e Male. La riproduzione tecnica della vita è l’estremo tentativo di sottrarre la procreazione alla fisicità dei corpi, di trasformare le donne in meri contenitori di energia vitale.
Siamo proprio gli ultimi uomini di cui parla Galimberti ne La terra senza il male, quelli che ripetono «nulla di ciò che esiste può essere detto secondo l’Uno»? Quale segreto custodisce la disperata destinazione degli Ultimi Uomini «dove mai sarà ospitato un dio che sia solamente un dio, né un uomo che sia solamente un uomo, perché nessuno può dirsi secondo l’Uno»? Il domandare non attende risposte, perché ciò che si domanda non è un senso nascosto da un codice segreto, ma un nuovo linguaggio che sappia dire ciò che sfugge al linguaggio tradizionale. Per questo gli Ultimi Uomini non cercano risposte, ma nuove parole.
La domanda sul destino dell’umano nel terzo millennio è, dunque, quella che dovrebbe occuparci la mente e il cuore, perché in essa è implicato il rapporto fra la nostra generazione e i nostri figli. Il rapporto fra il presente e il futuro dipenderà dalla pietà verso i nemici e dall’amore che sapremo esprimere verso le generazioni a venire. Anche l’ultima enciclica del Papa sull’amore ci costringe a pensare a un altro linguaggio, oltre la fede e la ragione. A noi contemporanei tocca provare a riprendere il discorso soffocato dalla violenza e dal sangue e destrutturato dall’onnipotenza tecnologica.
La sfida dell’amore non è, però, una nuova utopia della fratellanza (come il diritto fraterno dei biopolitici), ma il ritorno delle «parole» che hanno declinato nella storia dell’Occidente, la lotta fra il Codice maschile e il Codice femminile, l’ambivalenza dei simboli, la tensione inesauribile fra Cielo e Terra, il desiderio di «avere un figlio» come nei grandi racconti della tradizione.
Il millennio che comincia ci può restituire una nuova dialettica fra dominio e amore, fra narcisismo autoreferenziale e relazionalità affettiva.
18 luglio 2008 | Il Secolo d'Italia |