Verità e informazione
Critica del giornalismo contemporaneo
prefazione di Pietro Barcellona
Può essere utile alla democrazia un giornalismo che si fa malamente sorprendere a «non fare» giornalismo? Dipende da cosa si intende per democrazia: tecnologia per governare o regime dell'autonomia?
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053558
- Anno: 2005
- Mese: novembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 360
- Tag: Linguaggio Comunicazione Mass media Democrazia Giornalismo
Il libro offre una puntigliosa e documentata analisi dell' attività informativa delle principali testate giornalistiche italiane, mettendo in evidenza come sui vari temi dell'attualità essa sia viziata da deformazioni, contraddizioni e omissioni orientate alla manipolazione dell'opinione pubblica, anziché all'informazione sui «fatti» reali. Anche i grandi giornali, ricchi di storia e tradizioni, sono entrati nel grande scenario della «spettacolarizzazione» delle notizie e contribuiscono all'occupazione dell'immaginario sociale piegandolo agli interessi dei poteri forti. La lettura dei giornali, che una volta era definita «la preghiera del laico», rischia di diventare l'inizio di un incubo quotidiano in cui è sempre più difficile incontrare la realtà. Il deficit di lucidità che si è instaurato è lo stesso che permette la sedimentazione di alcune idee contraddittorie: certi direttori considerano libere e indipendenti le testate di cui poi abbandonano la direzione per le interferenze di poteri economici o politici, mentre certi giornalisti criticano aspetti della realtà sociale che l'informazione fornita dalle testate per cui lavorano contribuisce invece a rafforzare. Alla critica dell'immaginario giornalistico è affidata la speranza mai vana di vedere realizzato un altro giornalismo, finalmente autonomo.
Prefazione di Pietro Barcellona - Premessa - 1. Democrazie, giornalismi - Quale democrazia? - Habermas: la democrazia come regime della razionalità comunicativa - I presupposti teorici della democrazia discorsiva - Sfera pubblica e democrazia discorsiva - Lo stato delle cose e le prospettive di cambiamento - Castoriadis: la democrazia come regime dell'autonomia - Caos psichico e Abisso sociale: l'autocreazione dello sorico-sociale - Politica e autonomia - La democrazia come regime dell'autonomia - Autonomia: un progetto non da fondare, ma da volere - Eteronomia: l'inconsapevole scelta di illudersi - Le moderne società occidentali: l'eteronomia della razionalità economica - Insignificanza e conformismo prodotti dal dominio - del funzionale sul poietico - La crisi dell'età contemporanea: il grande autoinganno - L'imprevedibilità dell'autonomia rende ammissibile la fine dell'autoinganno - Castoriadis-Habermas: dialogo possibile? - I modelli democratici dell'autonomia confrontati con quelli dell'eteronomia - Quale giornalismo? - 2. La riproduzione giornalistica dell'immaginario dominante: indagine sull'informazione dei Grandi Conformisti - Introduzione all'indagine - Qualche informazione sull'oggetto e il metodo - Per una critica non banale: un'indagine alla ricerca dell'(auto)inganno giornalistico - L'informazione rapita - La retorica del binomio - Inquinamento da informazione - Un rapporto impossibile - Allarme ambiente in prima pagina - La nuova ricetta - Informazione insostenibile - L'informazione va a petrolio. Anzi no: a carbone - L'informazione (senza) politica - Silvio, mon amour - Brogli giornalistici - Il trionfo giornalistico della ragione economica - Il culto degli idoli gemelli - Voci senza audi - Fatti senza spiegazione - Quando la libertà di stampa non fa notizia - Libertà di... farsa - Libertà di... svista - Libertà di... arruolamento - Le tre costanti - 3. Dietro al prodotto informativo: l'eteronomia in redazione - La manipolazione consapevole - Una digressione sui possibili orientamenti dell'azione informativa - L'approccio del newsmaking - L'insufficienza di un concetto mediano - Dall'eteronomia sociale all'eteronomia giornalistica - La dimensione collettiva - La dimensione individuale - Vittime diverse dello stesso immaginario: da Berlusconi a Bocca, passando per Scalfari e De Bortoli - Informatori «di successo» - Un successo amaro... in Bocca - Dialettica del giornalismo - Vorrei essere un giornalista libero, anzi no - Pubblico in crisi - Un punto di vista autonomo per spiegare un prodotto informativo eteronomo - Conclusioni - Prospettive d'autonomia (non solo) giornalistica - Il giornalismo desiderato - Appunti per un progetto di cambiamento - L'azione di segno negativo - L'azione di segno positivo - Ringraziamenti
Premessa
Primi giorni dell'agosto 2005. Scriviamo la premessa di questo scritto a circa un mese dal primo attentato terroristico di matrice islamica contro Londra, quello del 7 luglio, e a circa due settimane dal secondo, quello del 21. Qualche giorno fa è deceduto re Fahd, sovrano dell'Arabia Saudita. Ancora scosso dal doppio attacco alla capitale britannica, l'Occidente ha seguito con attenzione l'avvicendamento al trono del Paese primo produttore mondiale di petrolio. Desta sollievo il fatto che il neo-sovrano Abdallah intenda proseguire la politica filoccidentale del predecessore: nessuno, per ora, chiuderà il rubinetto del petrolio saudita. In Italia, la Rai ha finalmente trovato in questi giorni il presidente che cercava da mesi: l'accordo politico sul nome di Claudio Petruccioli mette il sigillo sull'ennesimo Consiglio di Amministrazione lottizzato della storia dell'azienda pubblica radiotelevisiva. Nel frattempo, da mesi continuano a rincorrersi insistenti le voci e le smentite sul presunto tentativo di scalata al «Corriere della Sera» dell'immobiliarista Stefano Ricucci: il primo quotidiano italiano potrebbe finire nelle mani di un imprenditore spuntato dal nulla con valigie piene di denaro. Di recente, è imprevedibilmente accaduto che anche il secondo quotidiano italiano, «la Repubblica», si sia tutto a un tratto ritrovato a una distanza «troppo» ravvicinata da un altro imprenditore dalle valigie ricolme, niente meno che il «nemico» di sempre, Silvio Berlusconi. C'è un filo rosso che unisce queste vicende. Se si continua a rimanere ciechi di fronte al collegamento tra la sete di petrolio dell'Occidente e i cruenti attentati terroristici di matrice islamica che l'Occidente subisce con inquietante regolarità da qualche anno a questa parte, è perché l'informazione che dovrebbe aprire gli occhi continua a subire troppo passivamente gli attacchi dei lottizzatori e degli uomini d'affari come Ricucci o Berlusconi. Non si fraintenda, però: i problemi dell'informazione non si chiamano (solo) lottizzazione o Ricucci, né tanto meno si chiamano Berlusconi, capro espiatorio per eccellenza (non solo) in questo ambito. Tali problemi hanno radici ben più profonde. Essi cominciano laddove proprio chi li rileva con preoccupazione e manifesta sinceramente la volontà di risolverli si comporta non facendo altro che aggravarli. Cominciano con un Capo dello Stato che, accorato, richiede pluralismo e qualità nell'informazione (dicembre 2004), e non vede alcuna contraddizione tra questa richiesta e quella, rivolta alle imprese italiane solo pochi giorni prima, di intensificare i loro rapporti con la locomotiva economica cinese. Cominciano con editori come Carlo De Benedetti e Cesare Romiti, che tessono le lodi dell'informazione libera e democratica e al tempo stesso trovano normale volerci fare profitti. Cominciano con direttori come Ferruccio de Bortoli ed Enrico Mentana, i quali, costretti a lasciare a malincuore le direzioni del «Corriere della Sera» e del «Tg5» a causa di pressioni politiche loro avverse, prima si lamentano di quelle pressioni, ma subito dopo si mettono a elogiare la libertà di cui gode l'attività giornalistica delle rispettive testate. Cominciano persino con un ottimo giornalista come Giorgio Bocca, che è stato tra i primi a criticare lucidamente il «giornale- industria» ma al tempo stesso continua a scriverci. Più in generale i problemi cominciano coi dibattiti vuoti che a cadenza regolare chiedono a gran voce un giornalismo che serva al meglio la democrazia, senza curarsi di precisare cosa davvero s'intenda per «democrazia». Da queste situazioni (sulle quali torneremo nel corso del presente scritto), e da tante altre come queste, origina la miseria giornalistica dei nostri tempi. Tale miseria è una questione di immaginario. Di immaginario che domina, quello eteronomo, e di immaginario che latita, quello autonomo. Nel capitolo che rappresenta il cuore di questo scritto, il secondo, toccheremo con mano il prodotto di tale miseria, di riflesso inevitabilmente misero anch'esso. E lo faremo andando a cercarlo proprio presso la presunta nobiltà del giornalismo italiano. Prima, però, cercheremo, nel capitolo precedente, di diradare la fitta nebbia che avvolge il concetto di «democrazia» al quale tutti legano l'esercizio dell'attività giornalistica: se il giornalismo continua ad abdicare dal ruolo di servitore della democrazia che tutti gli attribuiscono è proprio perché quell'attribuzione avviene senza chiarire quale democrazia il giornalismo debba servire. È un errore che chi scrive ha voluto a tutti i costi evitare: le premesse delle nostre critiche saranno chiare al nostro lettore fin dall'inizio. Nel terzo capitolo vedremo di capire cosa c'è dietro a un'informazione «cattiva» come quella indagata. Si può pensare che dalla presenza di un'informazione siffatta qualcuno ci guadagni e qualcun altro ci perda. Oppure che le distorsioni da essa causate siano inevitabili. Cercheremo di fugare entrambe queste convinzioni, radicate anche, anzi prima di tutto, in ambito scientifico. Un prodotto informativo come quello da noi indagato mette tutti sulla stessa barca che affonda, dal più potente e ricco degli editori al più manipolato del pubblico di lettori/spettatori. Dev'essere chiaro, in secondo luogo, che quella di colare a picco non è altro che una scelta storico-sociale, che tutti, dagli editori ai lettori/spettatori, hanno in qualche modo preso e continuano a prendere. Come tutte le scelte storico-sociali, anche questa non ha nulla di assoluto né di definitivo. Non è inevitabile che ogni cinque o sei ore, su qualunque canale televisivo, un telegiornale di mezz'ora debba mitragliare una quindicina di notizie con linguaggio vivace e accattivante a un pubblico che vuole solo svagare la mente nelle pause di una stancante giornata di lavoro: si tratta di una scelta, che è stata presa (più o meno inconsapevolmente) dopo quella di centrare il moderno progetto di vita individuale e collettiva sulla crescita sempre maggiore di produzione e consumi, nel miraggio di un sempre maggiore benessere (che, in realtà, è un «benavere»). Nemmeno crescere è inevitabile, anche se molti, anch'essi per lo più inconsapevolmente, pensano che sia naturale come il sorgere del sole. Queste brevi riflessioni, che svilupperemo ampiamente all'interno del testo, suggeriscono sin d'ora che non è sensato battersi per il buon giornalismo, per un giornalismo davvero autonomo, se non ci si batte, più in generale, per una società davvero autonoma in tutte le sue dimensioni. Con questa unità di visione e di intenti cercheremo, in sede conclusiva, di valutare le prospettive di cambiamento della realtà giornalistica attuale. Il pensatore che più ha ispirato le nostre riflessioni sul giornalismo, Cornelius Castoriadis, ha insegnato che il cambiamento (a tutti i livelli) resta possibile sempre: in un ambito, quello storico-sociale, che non conosce leggi assolute e definitive, tutto resta imprevedibile per definizione. Pertanto, nessuno sforzo che venga compiuto per modificare lo stato delle cose, come quello che l'autore ha voluto compiere scrivendo questo testo, deve considerarsi inutile in partenza. Ci riferiamo alla vicenda che, nel luglio del 2005, aveva portato Carlo De Benedetti, editore de «la Repubblica», ad accettare la collaborazione (e i soldi) di Berlusconi nell'ambito di un'iniziativa ideata dallo stesso De Benedetti, che prevede lo stanziamento di un fondo per il risanamento delle medie imprese italiane. Criticato da molti che vi hanno visto un inaccettabile avvicinamento tra Berlusconi e il proprietario del quotidiano che è sempre stato il suo principale avversario in campo editoriale, De Benedetti ha poi ritenuto opportuno fare marcia indietro rinunciando ai soldi di Berlusconi.
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