Le voci del padrone
Saggio di liberalismo applicato alla servitù dei media
Un pamphlet sulla libertà d'informazione, sullo stato dei media nel presente e in un futuro condizionato da rivoluzionari mutamenti tecnologici.
- Collana: Libelli vecchi e nuovi
- ISBN: 9788822055019
- Anno: 2006
- Mese: marzo
- Formato: 12,5 x 21 cm
- Pagine: 224
- Tag: Politica Comunicazione Mass media
Il libro, che riprende nel titolo un'affermazione di Luigi Einaudi, è un violento e documentato atto d'accusa dello stato di degrado e di servitù del giornalismo italiano. Si affronta, dall'interno, il tema complesso della libertà d'informazione e il rapporto con il potere. Il discorso, assai critico, si snoda attraverso un percorso lineare che parte da concetti basilari, come quello di Verità, Obiettività e Opinione per arrivare a una proposta concreta sullo statuto delle imprese giornalistiche. Queste alcune delle tappe attraverso cui si articola il discorso: il mito dell'obiettività, l'informazione come componente necessaria e costitutiva di un regime democratico, la propaganda, la manipolazione dell'opinione pubblica, i conglomerati della comunicazione e lo spettro elettromagnetico, i nuovi apocalittici, le lobby che comandano oggi nei giornali italiani. L'autore rintraccia, in un «liberalismo critico», il metodo capace di affrontare e di fornire una soluzione alla crisi dei media, dando una versione aggiornata della separazione dei poteri, e delinea una proposta riformatrice in grado di affrontare i guasti provocati dal gigantismo e dal monopolio.
Premessa - 1. Tre prologhi che vengono da più lontano - L'imbarco per Cirene - Discutere molto liberamente - Le mani sulla libertà - 2. Due, tre cose che so di lei - 3. Elogio della torre di Babele, ovvero la verità smascherata - 4. La democrazia deficitaria - 5. Il re di coppe - 6. Verso il mondo nuovo? - 7. In Italia, liberi, ma… - 8. Oggi in Italia, domani nel mondo: la resistibile ascesa del servilismo, ovvero come arrivare al 42° posto e far finta di nulla - 9. I tre poteri della sfera pubblica - 10. Separarsi e dirsi addio - 11. I palliativi - 12. Un modello per la liberalizzazione: la pubblicizzazione delle imprese mediatiche - 13. Un'utopia ben temperata - Note
[…] La libertà di informazione è garantita da Costituzioni e da Emendamenti. I media che avvolgono il globo con le loro reti si dichiarano liberi ma sono ovunque in catene. I vincoli, beninteso, sono sempre più virtuali, invisibili, legano le menti e le indirizzano. Una lunghissima lotta ha assicurato la libertà formale d'informare: oggi nei paesi industrializzati si può stampare, trasmettere, emettere segnali, suoni, messaggi. Tutto (quasi) liberamente. La libertà dell'impresa mediale è (quasi) assicurata giuridicamente, spesso foraggiata. E così il mondo simbolico s'è adagiato sul mondo reale coprendolo, rimodellandolo se non sostituendolo. La nuova èra è sotto il segno dell'informazione. Il cumulo degli strumenti informativi è impressionante. Persino eccessivo, temono alcuni. Però, se ciascuno dei segmenti di questo cumulo è inquinato perché non libero, il Tutto si tramuta in un incubo di conformismo e di illibertà. L'opinione pubblica viene blandita come dominatrice e onnipotente, ma in effetti è manipolata, eterodiretta, svigorita. Gli strumenti del comunicare sono inesorabilmente e progressivamente concentrati. Dappertutto regnano, se non il monopolio, l'oligopolio e strutture elefantiache, costosissime, irraggiungibili dalle minoranze ideologiche. Il lettore, lo spettatore e l'ascoltatore, che appaiono ovunque protagonisti, in realtà sono ridotti a oggetti inconsapevoli. Al culmine del suo sviluppo, il punto terminale della modernità, il processo d'individualizzazione si sta rovesciando nel suo contrario assoluto. I risultati della conquistata libertà d'impresa mediatica sono deprimenti. Il pubblico-lettore si difende come può e arretra: abbandona progressivamente gli strumenti più difficili e soggiace a quelli più “facili”. Va sempre meno in edicola ad acquistare i quotidiani e giace di fronte alla Tv assimilando le improbabili notizie televisive che gli si accavallano nella mente in un guazzabuglio di fiction e di news. La libertà d'informazione non è caduta dal cielo. È stata il frutto delle meditazioni di molte menti liberali e del progressivo ampliamento della percezione, da parte di individui e ceti sociali sempre più vasti, del suo valore primario e addirittura pregiudiziale a tutti gli altri. Finché non si è andata identificando con la libertà di pensiero e di coscienza. Tutti possono essere spiritualmente liberi, anche nel più buio carcere, ma la libertà è quella che può essere esercitata e prima di tutto espressa. Col maturare della coscienza liberale, la libertà d'informazione si è sempre più estesa ed è stata sempre più riconosciuta, ma quando ha potuto raggiungere il suo livello massimo, quando ha annullato ogni limitazione formale, proprio in quel momento s'è ritrovata in cella. In una cella medievale, con regole antiquate. Il suo doppio – la sua forma – dappertutto celebra i suoi fasti, ma è solo un vuoto simulacro che inganna animi e menti. Il mondo dell'informazione risponde come una cinica marionetta ai bisogni di conoscenza critica, del semplice pane d'un pluralismo informativo di base, affogando i bisogni con abbondanti brioches, avvelenate perché tutte uguali, ripetitive, ridondanti, in mano a pochi padroni in combutta tra di loro. Questo pamphlet nasce e vive tutto all'interno del liberalismo. Prima di tutto perché è proprio quello liberale il pensiero più attrezzato a sollecitare riflessioni e azioni sulla questione della libertà; in secondo luogo, perché è nelle formule fondamentali del liberalismo che si possono trovare strumenti concettuali, spirito utopico e ingegneristica riformatrice per riformare la realtà senza renderla contemporaneamente un incubo violento. L'obiettivo del libello è di smuovere coscienze e far loro prendere consapevolezza. Questo è il vero fondamentale punto di partenza, perché è inutile stare qui a ragionare di limiti ed esigenze di libertà d'informazione se l'opinione pubblica, il mondo della politica e dell'economia e i medesimi singoli individui – come tali – non sentono su di sé le catene invisibili che legano le loro menti, se non aprono gli occhi di fronte alla creazione e alla gestione brutale del conformismo di massa, se non si accorgono che la piramide s'è di nuovo rovesciata e così il disegno classico d'una opinione pubblica che – informata – controlla, dibatte e indirizza le classi dirigenti s'è trasformato in una caricatura pressoché uniforme, ridotta a macchina fiancheggiatrice di gruppi dirigenti ristretti che si perpetuano cooptandosi. Questo libello sembra anche divagare molto. La prende alla lontana, ripropone il valore della libertà, si dilunga sulla forma e sulla sostanza, cerca di costruire una cornice in cui inscrivere una libertà d'informazione effettiva. Poi offre un modello alternativo, assai difficile da realizzare, sulla soglia dell'utopia, ma forse l'unico in grado di sovvertire alla radice l'attuale condizione di servitù. Scende fino ai minimi particolari, non disdegna il riformismo più spicciolo. I vari livelli s'intrecciano e si motivano a vicenda. Dopo il prevedibile fallimento d'ogni rivoluzione, assumersi la responsabilità anche solo di dirsi riformatori è rischioso. E così sta vincendo su tutto il senso prostrante d'ineluttabilità del cedimento all'attuale stato delle cose che, in nome d'un volgare storicismo, ha valore per il solo fatto che è […].
15 luglio 2006 | La Stampa |
01 giugno 2006 | L'indice dei Libri del Mese |
04 maggio 2006 | Il Secolo XIX |
23 marzo 2006 | Europa |