Assalto alla stampa
Controllare i media per governare l'opinione pubblica
prefazione di Nicola Tranfaglia
Il controllo dei mezzi di comunicazione, la creazione di un impero editoriale, l'emarginazione dei giornalisti scomodi. Silvio Berlusconi continua a dare l'assalto alla stampa, mentre le voci libere spariscono. Una strategia che sembra attuare perfettamente il piano di controllo del «Corriere della Sera» e dei media perseguito da Licio Gelli, Venerabile Maestro della P2.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053435
- Anno: 2004
- Mese: settembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 200
- Tag: Storia Comunicazione Mass media Giornalismo Silvio Berlusconi
La stampa non come mezzo di informazione ma come strumento di potere. Silvio Berlusconi si serve di giornali per manipolare l'opinione pubblica, proprio come Licio Gelli, il Venerabile della P2 che prese il controllo della Rizzoli-Corriere della Sera per realizzare il suo Piano di Rinascita. Dopo un'analisi del contesto storico nel quale ha operato la P2, si spiegano le modalità di acquisto della Rizzoli e le vicende più oscure del «Corriere della Sera». Vengono poi raccontate le attuali ingerenze di Berlusconi sulla stampa e sui giornalisti italiani (come Biagi, De Bortoli e Santoro). Dopo più di vent'anni il piduista 1816 sta seguendo la lezione del grande Maestro, utilizzando un impero editoriale per riuscire a governare.
Prefazione di Nicola Tranfaglia - Prologo - 1. Stampa e potere - Imperi editoriali - Il blocco Rcs-Corriere della Sera - De Benedetti: un nuovo conflitto di interessi? - Caltagirone, costruttore-editore - Il potere Fiat - Il giornale degli imprenditori - Monti Riffeser: dall'edicola all'albergo - Il monopolista del Sud - Mediaset, il governo in tv - Il colosso Mondadori - Gli altri pianeti della galassia - 2. Da Gelli a Berlusconi - Passato e presente - Una Repubblica in crisi - Belfagor e Belzebù - I mass media nel Piano di Rinascita - “Sua Emittenza” all'ombra della Loggia - Modello americano - La lezione del Venerabile - 3. Le mani sulla Rizzoli - Il crack finanziario - Il “trust” P2 - Con i soldi dello Ior - I nuovi padroni - Loggia scoperchiata, Calvi ucciso - 4. Il sommerso del Corriere - Il settore “stampa e tv” - Il Cavaliere della Sera - Cambio di direzione - La questione argentina - Cose che non vanno - Ingerenze elettorali - Gli articoli di finanza “occulta” - Doppio benservito per un giornalista scomodo - Intervista al burattinaio - “L'Occhio” che non vede - Il caso D'Urso - Mistero sulla morte di Tobagi - 5. Regime mediatico - Fuori De Bortoli... - ...dentro Ligresti - Licenziate Biagi! - Censurati e oscurati - La Rai occupata - Piccolo schermo, grande potere - Contratto con gli italiani - 6. Per una storia della tv privata - Chi va a Malta e chi resta a Segrate - Fine del monopolio - Il Tg piduista - Videosorpasso - Craxi su Canale 5 - Etere abusivo - Una legge a misura di Premier - Indice dei nomi
Prefazione di Nicola Tranfaglia
Ogni libro ha, per così dire, un suo cuore, un capitolo o una pagina che ne costituisce il centro, la parte più nuova e pregnante, il vero e proprio perno intorno al quale gira il ragionamento complessivo dell'autore e questo vale particolarmente nei saggi che nascono dal bisogno urgente di chi scrive di esporre ai lettori i risultati della ricerca compiuta e i frutti della propria riflessione. Nel caso del libro di Mastellarini, un giovane e appassionato ricercatore, è facile scoprire qual è il cuore del suo libro appena terminata la prima, distesa lettura. Si tratta, con tutta evidenza, della scoperta che egli ha fatto leggendo con attenzione i pochi contributi esistenti sulla storia della stampa italiana degli ultimi trent'anni e rileggendo, con occhi nuovi e quasi innocenti per così dire, le pagine del maggior quotidiano del nostro Paese. La scoperta, cioè, dell'arrivo degli uomini della Loggia massonica Propaganda Due, diretta da Licio Gelli, nelle stanze del “Corriere della Sera”. A causa di quell'arrivo Piero Ottone, come egli stesso avrebbe ricordato molti anni dopo, era stato costretto a rassegnare le sue dimissioni dopo una stagione innovativa, e per molti aspetti esaltante, del grande quotidiano milanese: ma – scriverà qualche mese fa – erano «arrivati gli unni, gli uomini della P2 sbarcati in via Solferino al seguito dei Rizzoli». Era il 1977, un anno drammatico per l'Italia contrassegnato da manifestazioni di protesta e da scontri tra dimostranti e polizia in cui la classe dirigente italiana, anche di fronte alla crisi economica e al dilagare dell'offensiva terroristica delle Brigate Rosse e di Prima Linea, era stata costretta a prendere in considerazione il possibile ingresso del partito comunista di Enrico Berlinguer nella compagine di governo. Nello stesso anno, non a caso, la Loggia coperta di Licio Gelli aveva già conquistato a sé politici, militari, magistrati, diplomatici, giornalisti e imprenditori (tra i quali Silvio Berlusconi, tessera n. 1816, centomila lire pagate per la tessera della Loggia) e si avviava a costituire un potente gruppo di pressione, a utilizzare il quotidiano più diffuso e autorevole del Paese per le sue campagne populiste e reazionarie. La prova di quanto la P2 contasse si ebbe in effetti quando Angelo Rizzoli propose a Gelli e ad Ortolani – che ormai, grazie alla Loggia massonica, controllavano la casa editrice del giornale sul piano finanziario – di sostituire Piero Ottone con Alberto Ronchey al quale pensava di affiancare come condirettore il vicedirettore interno Franco Di Bella e si sentì rispondere che Ronchey non poteva diventare direttore e che, al suo posto, andava nominato senza indugio Di Bella che, nel frattempo, aveva chiesto e ottenuto la tessera della P2. In un capitolo del suo libro intitolato Il sommerso del Corriere, Mastellarini rievoca con grande precisione che cosa divenne il “Corriere della Sera” in quegli anni: in questo capitolo racconta la celebre intervista di Maurizio Costanzo al Venerabile il quale fornisce alla classe di governo le sue ricette politiche che saranno poi esposte nel Piano di Rinascita democratica, sequestrato nel 1982 alla figlia di Gelli. Dall'esposizione dell'autore emergono con chiarezza i molteplici condizionamenti che la Loggia pone alla direzione del quotidiano e il momento in cui arriva la svolta decisiva. «Il gruppo Rizzoli» – racconta l'autore – «che, cifre alla mano, è sull'orlo di un baratro, salda anticipatamente il debito di 22 miliardi e 475 milioni nei confronti della Fiat per il pagamento della quota residua del “Corriere della Sera” e cinque giorni dopo delibera un aumento di capitale sociale da 5,1 miliardi a 25,5 miliardi. Soldi che all'epoca sembrano esser piovuti dal cielo». Solo dopo la scoperta delle liste di Castiglion Fibocchi, Paolo Murialdi è in grado di ricostruire l'importante passaggio: «Nessuno individua i tessitori della trama che sta avvolgendo il maxigruppo editoriale; cioè il capo della Loggia segreta P2 e un finanziere fuori dell'ordinario: monsignor Paul Marcinkus, responsabile dello Ior, che è la banca vaticana». «Di fatto» – ricorda ancora Mastellarini sulla base di elementi emersi nei processi che ne sono seguiti – «il controllo della Rizzoli è passato all'accoppiata del Banco Ambrosiano di Calvi e dello Ior (controllata dalla P2) che detiene l'80% del capitale, mentre il restante 20% è posseduto dai figli di Andrea Rizzoli: Angelo, Isabella, Annina. Da questo momento il dominio piduista è completo e partono gli altri progetti previsti dal Piano di Rinascita democratica». Nel capitolo già citato, l'autore ricorda con precisione le interferenze e gli interventi costanti che, negli anni della P2, rendono il massimo giornale italiano una sorta di voce dei poteri occulti, un terreno di pascolo libero per la P2 e i suoi adepti. Ricorda persino (giacché molti italiani non lo sapevano o se ne erano dimenticati) gli articoli, sospesi tra politica ed economia ma molto attenti a particolari provvedimenti legislativi in via di approvazione, scritti e firmati da Silvio Berlusconi che mostra già in quegli anni la sua concezione della politica: un servizio fatto non alla comunità e ai suoi generali interessi ma a se stesso e ai propri interessi di imprenditore. Se qualcuno ci avesse fatto più caso forse non sarebbero stati possibili tutti gli equivoci e le illusioni che hanno caratterizzato dieci anni fa la discesa in campo del Cavaliere e la sua immediata conquista della presidenza del Consiglio, sia pure soltanto per sette mesi. Il “Corriere della Sera” rimane, peraltro, come dimostra il seguito del racconto di Mastellarini, l'oggetto del desiderio per Berlusconi e per i suoi amici giacché, dopo la liquidazione apparente della Loggia P2 e di Licio Gelli (quando l'intermezzo di Cesare Romiti, l'ex amministratore delegato della Fiat che ne ha acquisito il controllo a metà degli anni '90 grazie alla Gemina, si esaurisce per gli errori compiuti dal figlio Maurizio nella gestione della Hdp) ritornano all'attacco imprenditori come Merloni e Della Valle che rappresentano il volto nuovo del capitalismo italiano ma a loro si aggiunge, con una quota rilevante, l'alleato del Cavaliere, Salvatore Ligresti, coinvolto dieci anni fa nelle inchieste giudiziarie della procura della repubblica milanese. È difficile per ora prevedere come finirà la battaglia, complicata dal massiccio ingresso delle banche nella Rcs. Ad ogni modo dopo le dimissioni forzate del troppo indipendente De Bortoli e l'ambigua direzione di Stefano Folli che ha cercato di barcamenarsi tra Berlusconi e i critici interni alla sua maggioranza, è prevedibile che si vada a una nuova direzione in tempi abbastanza brevi. Il Cavaliere sta giocando il tutto per tutto per arrivare al controllo del primo quotidiano italiano, ma la sconfitta o la vittoria in questa battaglia dipenderà dai nuovi equilibri interni al sistema capitalistico italiano che in questi mesi si presenta diviso di fronte alla crisi politica che ha avuto il suo episodio centrale nelle dimissioni del Ministro dell'Economia Tremonti. Certo è, come emerge con chiarezza dal primo capitolo del saggio di Mastellarini e dal sesto ed ultimo dedicato alla tv privata in Italia, che i rapporti tra la stampa e il potere politico ed economico in questo momento dominante sono nel nostro Paese particolarmente inquinati e tali da rendere di fatto inattuabile o – se si preferisce abrogato – l'articolo ventuno della Costituzione repubblicana che sancisce sulla carta la libertà di stampa, di espressione e di informazione. L'esistenza di un dominio assorbente e maggioritario della Fininvest e del suo proprietario – presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – distrugge da tre anni ormai la possibilità di esercizio dei diritti fondamentali del dettato costituzionale […].
16 febbraio 2005 | la Repubblica |
15 ottobre 2004 | il manifesto |