Gli sguardi dell'illuminista
Politica e ragione nell'età dei lumi
a cura di Graziella Durante
Uno dei più grandi pensatori e teorici della ragione, per la prima volta tradotto in italiano. Un libro di grande attualità.
- Collana: Libelli vecchi e nuovi
- ISBN: 9788822055118
- Anno: 2009
- Mese: febbraio
- Formato: 12,5 x 21 cm
- Pagine: 264
- Tag: Politica Storia moderna Illuminismo
Il volume raccoglie, per la prima volta in italiano, i principali saggi di un grande pensatore e teorico della ragione, protagonista e vittima di una stagione di grandi passioni. I temi trattati, tutti di grande attualità, vanno dalla laicità della scuola alla divisione dei poteri, dal costituzionalismo liberale ai diritti umani e all’eguaglianza delle condizioni, dai diritti delle minoranze alla matematica applicata alle scienze politiche e umane; temi che ci fanno scoprire quello che si può definire il vero «prototipo» dell’illuminista, purtroppo ancora poco conosciuto in Italia. Un libro, quindi, concepito come una vera e propria introduzione a una delle più complesse e articolate opere di un autore fondamentale dell’età dei lumi.
La nuova carta dei poteri. Dispotismi, interessi e possibilità dell’eguaglianza di Graziella Durante - Nota del curatore - DELLA NATURA DEI POTERI POLITICI IN UNA NAZIONE LIBERA [1972] - SUL SENSO DELLA PAROLA RIVOLUZIONARIO [1973] - IDEE SUL DISPOTISMO AD USO DI COLORO CHE PRONUNCIANO QUESTA PAROLA SENZA COMPRENDERLA [1789] - Idee sul dispotismo - SULL’ISTRUZIONE PUBBLICA [1791-1792]. PRIMA MEMORIA. NATURA E FINE DELL’ISTRUZIONE PUBBLICA - La società deve dare al popolo un’istruzione pubblica - La società deve dare anche un’istruzione pubblica relativa alle diverse professioni - La società deve impartire l’istruzione pubblica anche come mezzo di perfezionamento della specie umana - Motivi per stabilire diversi livelli nell’istruzione comune - L’educazione pubblica deve limitarsi all’istruzione - È necessario che le donne condividano l’istruzione data agli uomini - SULL’AMMISSIONE DELLE DONNE AL DIRITTO DI CITTADINANZA [1790] - OPINIONI SUGLI EMIGRANTI [1791] - RIFLESSIONI SULLA SCHIAVITÙ DEI NEGRI [1781] - Epistola dedicatoria agli schiavi negri - Prefazione dei primi editori - Riflessioni sulla schiavitù dei negri - TAVOLA GENERALE DELLA SCIENZA CHE HA PER OGGETTO L’APPLICAZIONE DEL CALCOLO ALLE SCIENZE POLITICHE E MORALI.
Della natura dei poteri politici in una nazione libera [1792]
Gli uomini hanno assunto talmente tanto l’abitudine di obbedire ad altri uomini, che la libertà è, per la maggior parte di essi, il diritto di essere sottomessi solo a maestri scelti da loro stessi. Le loro idee non vanno più lontano di così, ed è qui che si arresta il debole sentimento della loro indipendenza. Il nome stesso di potere, attribuito a tutte le funzioni pubbliche, attesta questa verità. Pressoché ovunque questa semi-libertà è accompagnata da tumulti; così li si attribuisce all’abuso della libertà e non si vede che essi
nascono precisamente dal fatto che la libertà non è completa; si cerca di darle nuove catene, quando occorrerebbe pensare, al contrario, a spezzare quelle che le restano.
La ragione, in accordo con la natura, pone un solo limite all’indipendenza individuale, aggiunge una sola obbligazione sociale a quelle della morale privata: la necessità e l’obbligo di obbedire, nelle azioni che devono seguire una regola comune, non alla propria ragione, ma alla ragione collettiva della maggioranza degli uomini; dico alla propria ragione e non alla propria volontà, poiché il potere della maggioranza sulla minoranza non deve essere arbitrario; non si estende fino a violare il diritto di un solo individuo; non arriva fino al punto di obbligare alla sottomissione quando contraddice in maniera evidente la ragione. Questa distinzione non è affatto futile: un insieme di uomini può e deve, così come un individuo, distinguere ciò che vuole, ciò che trova ragionevole e giusto.
Quand’anche una nazione vinta fosse meno popolata della nazione conquistatrice, quand’anche una classe oppressa racchiudesse meno individui della classe che l’ha dominata, senza dubbio questa maggioranza non avrebbe il diritto di sottomettere gli altri alla sua arbitraria volontà. Non si può dire neppure che la sottomissione alla volontà della maggioranza sia fondata sulla necessità di obbedire, poiché allora bisognerebbe cedere solo a una maggioranza molto forte per escludere qualsiasi idea di resistenza. Per esempio, non v’è alcuna necessità che possa costringere centomila uomini a obbedire alla volontà di centocinquantamila.
La sottomissione al voto della maggioranza è dunque fondata sulla necessità di avere una regola comune di azione, e sull’interesse di preferire la regola comune, che sarà il più delle volte conforme alla ragione e all’interesse di tutti. Ora, è questo che si trova nel voto della maggioranza, a condizione che essa si formi tra uomini rigorosamente eguali nei diritti e che hanno, in generale, gli stessi interessi.
Allora, nonostante ciascun individuo sia libero di emettere un voto sulla base della sua volontà, e non secondo la sua opinione, accade che si possa credere che quasi sempre questo voto esprima realmente questa opinione; e d’altra parte si ha il vantaggio che l’adempimento di questa regola comune incontrerà meno ostacoli.
Colui che si sottomette in anticipo alla maggioranza può ragionare così: io so che tra le mie azioni questa deve essere sottomessa a una regola alla quale le azioni simili dei miei concittadini saranno egualmente assoggettate.
Non posso esigere che questa regola sia conforme alla mia ragione, poiché allora potrebbe essere contraria a quella di un altro che io non ho alcun diritto di sottomettere alla mia. Non posso riservarmi il diritto di seguire o meno la regola stabilita, di giudicarla dopo che sarà stata determinata; perché allora agirei contro la mia ragione, che mi ha fatto riconoscere la necessità di conformare questa parte delle mie azioni a una regola che sia eguale per tutti. Devo, dunque, in base alla mia stessa ragione, cercare un carattere indipendente da essa, al quale devo legare l’obbligo di sottomettermi; e questo carattere, lo trovo nel voto della maggioranza.
Il primo potere politico è quello che stabilisce queste regole generali; lo si definisce potere legislativo.
Esso consiste quindi, se è esercitato direttamente dai cittadini, nel dichiarare quali regole comuni, per le azioni che vi devono essere assoggettate, sembrano, alla pluralità, le più conformi alla ragione; si vede che ne risultano, per la minoranza, la necessità e l’obbligo morale di sottomettervisi, e non ne risultano, per la maggioranza, né autorità né potere.
I cittadini non esercitano immediatamente questo diritto? Lo hanno delegato? Allora, diventando una funzione pubblica di alcuni uomini, deve forse cambiare natura? Da dove nascono, quindi, per ciascun cittadino, la necessità e l’obbligo morale? Dal fatto che la ragione della maggioranza ha preferito questo modo di costituire le regole, perché ha riconosciuto l’impossibilità di concorrervi essa stessa. Ma ne risulta un vero potere? No; la maggioranza non ha potuto dare ciò che non aveva.
Questo corpo sociale ha dunque ricevuto solo la funzione di cercare ciò che è ragionevole e giusto, e il diritto di dichiararlo; non ha potuto ricevere quello di dire: ecco ciò che la maggioranza della nazione considera ragionevole un tale diritto sarebbe assurdo; la decisione di questo gruppo di cittadini può quindi ricevere la sua forza solo da un’accettazione, tacita o esplicita, della maggioranza.
Qui si presentano due differenze essenziali tra la dichiarazione di questo corpo sociale e il voto immediato della maggioranza. La prima è che, se il voto è immediato, è la sola minoranza che sacrifica la propria opinione alla necessità di ottenere delle regole comuni; e che, nel secondo modo di costituire queste regole, è la maggioranza, o anche l’universalità, che compie questo sacrificio alla sola impossibilità di votare immediatamente.
L’altra differenza è che coloro che considerassero i propri diritti lesi da una decisione immediata della maggioranza, possono scegliere tra una sottomissione fondata sull’interesse di conservare il patto sociale, o la dissoluzione di questo patto; mentre nell’altra ipotesi resterebbe loro la risorsa di consultare immediatamente il voto della maggioranza, e solo l’impossibilità di usare questo mezzo può determinarne la rinuncia […].
25 febbraio 2009 | Corriere della Sera |