Il buon marito
Politica e famiglia negli anni della Rivoluzione francese
Un itinerario storico che evidenzia come la moderna società politica sia stata costruita a partire da una società domestica imperniata sul cittadino-capofamiglia.
- Collana: Storia e civiltà
- ISBN: 9788822005748
- Anno: 2012
- Mese: novembre
- Formato: 14,5 x 21,5 cm
- Pagine: 384
- Tag: Storia Famiglia Storia moderna Matrimonio
Il buon marito è il titolo di un racconto in cui lo scrittore illuminista Jean-François Marmontel descrive la conversione al modello di famiglia borghese di una giovane sposa aristocratica. Una storia esemplare, perché imperniata attorno alla figura del marito «virtuoso», che la Rivoluzione francese elegge a pedina essenziale nella costruzione di un nuovo ordine politico e sociale che gradualmente soppianta il sistema patriarcale dell’Ancien Régime. Attraverso una minuziosa analisi di documenti di varia provenienza, l’autrice ripercorre le tappe più significative del processo di emancipazione dell’individuo-cittadino, emancipazione che si fonda sul riconoscimento della sua autorità indiscutibile all’interno della comunità domestica. L’uomo, nella sua qualità di marito e padre, acquisisce il diritto esclusivo di rappresentare politicamente tutti i membri della sua famiglia (moglie, figli, servitù), ma ha anche il dovere di prendersene cura, in quanto elementi «deboli» della società. Un libro che ci offre una prospettiva originale da cui osservare la Rivoluzione francese, un approccio rigoroso e appassionante che ci porta nel vivo di un dibattito che ha forgiato teorie e pratiche sociali e politiche ancora attuali.
Introduzione - I. LA VITTORIA DEL FIGLIO DI FAMIGLIA (1789-1792) - 1. Esistere socialmente, un criterio politico - 2. Il figlio di famiglia nelle regioni di diritto scritto - 3. I dibattiti parlamentari sulla capacità del figlio di famiglia - 4. Il figlio di famiglia dinanzi al Comitato della Costituzione - 5. Proposte a favore del figlio di famiglia (dicembre 1791) - 6. 28 agosto 1792: la vittoria del figlio di famiglia - 7. Tutto cambia e non cambia niente: è proprio così? - II. IL GOVERNO DELLE DONNE - 1. Discorso sulla rappresentanza delle donne - 2. L’influenza delle donne - 3. Roederer: un punto di vista particolare - III. «SONO PADRE»: L’AUTORITÀ DEL PADRE DI FAMIGLIA NELLA REPUBBLICA - 1. 1797-1798: la genesi di un tema concorsuale - 2. L’autorità dei padri nella famiglia della natura - 3. Il ruolo dello Stato repubblicano - 4. La famiglia come unità di potere e di interessi - IV. LA SOCIETÀ PARENTALE - 1. Festeggiare pubblicamente gli sposi - 2. La coniugalità delle leggi civili ed elettorali - Conclusione - Bibliografia - Ringraziamenti - Qualche parola sull’illustrazione di copertina
Che cosa dobbiamo intendere quando diciamo che il cittadino è il capofamiglia? Patrice Gueniffey evoca una concezione tradizionale della cittadinanza, modellata sulla figura dello chef de maisonnée. È per il fatto di essere considerato prima di tutto come il capo di uno spazio al contempo geografico e mentale – quello degli abitanti della sua casa [maison] e della sua parentela in linea diretta – che il padrone dei luoghi è ritenuto idoneo a esercitare i propri diritti di cittadino. Ecco perché i domestici, le donne e i figli, vale a dire tutte le persone soggette all’autorità di un padrone, restano esclusi dalla partecipazione elettorale durante tutto il periodo rivoluzionario, fino al 1848. Ecco perché, viceversa, alcune vedove hanno talvolta potuto essere ammesse al voto, allorché in certi cantoni, sulla base di un’interpretazione molto libera della legge, si riconosceva che esse agivano in quanto capifamiglia; ed ecco perché troviamo menzione di cittadini che fanno leva sulla propria parentela o sul proprio stato di servitù per giustificare la loro iscrizione nelle liste elettorali.
Patrice Gueniffey cita in merito il caso di «Jean-Charles, coltivatore a Maligny, “signore” di quattordici parenti a vario grado e di undici domestici», che è menzionato, sotto tale forma collettiva, in una lista elettorale; secondo lo storico si tratta del «tipico esempio di cittadino attivo del 1789, in cui dei princìpi nuovi, quelli dell’individualismo democratico, si fondono nello stampo di una società comunitaria e patriarcale».
Se l’individualismo è incarnato da un capofamiglia, abbiamo una prima indicazione sulla natura dell’individuo in questione: nient’affatto l’uomo in quanto essere umano, né tanto meno l’individuo sociale che dispone dei requisiti economici per partecipare all’attività politica, ma il detentore di una certa condizione. Tale condizione non è una categoria del diritto civile, il quale non conosce altro che proprietari, mariti, padri, donne sposate, vedovi e vedove, minorenni, maggiorenni emancipati o meno, ecc. Il «capofamiglia» non è, in senso stretto, una qualsiasi persona che detiene un’autorità sui minori (ossia, in senso lato, «figli», donne sposate e membri della servitù). Tanto è vero che la vedova che beneficia dell’autorità sui suoi figli minorenni e, di conseguenza, della possibilità di agire su alcune loro proprietà, non gode degli attributi politici insiti in questa condizione, dunque non si vede riconosciuto il diritto a partecipare alle elezioni.
Se il «capofamiglia» è una categoria delle leggi, si tratta di una categoria «di fatto», che si può tutt’al più dedurre, come fa Patrice Gueniffey, dai criteri espliciti e impliciti del diritto di suffragio.
E si può dedurla da un diritto civile che non la definisce, ma la confonde con la condizione del padre di famiglia. È dunque una condizione sociale.
Resta da sapere che cosa è un «capofamiglia» agli occhi di questo diritto elettorale. Va da sé che non basta essere padre per essere cittadino e che la paternità non rappresenta in alcun caso un requisito della cittadinanza: i celibi, non diversamente dai padri e dai mariti, sono ammessi, a parità di condizioni, a votare.
E allora, chi è questo cittadino «capofamiglia», se non è necessariamente un padre, né solamente un padre? I dibattiti che si svolsero fra il 1789 e il 1792, in particolare riguardo ai criteri di ammissione alla cittadinanza elettorale, permettono di rispondere in parte alla domanda. Essi mostrano quanto siano legati i diritti politici e gli statuti familiari, la sfera pubblica e la sfera domestica, nonché, per tornare al racconto dal quale ci siamo avviati, quanto siano prossimi il cittadino e il Lusane di Marmontel, detentori entrambi della ragione e dell’autorità nell’organizzazione familiare su cui dettano legge. Essi mostrano, insomma, fino a che punto il «capofamiglia», pur essendo una categoria implicita e, per il momento, abbastanza fluida, sia una categoria attiva ed efficace nell’organizzazione e nell’attribuzione dei diritti elettorali.
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