Artemidoro di Efeso e la scienza del suo tempo
Un’indagine sul «vero» Artemidoro di Efeso (II sec. a.C.): un geografo di alta levatura e dottrina che descrisse il mondo dominato dai Romani.
- Collana: Paradosis
- ISBN: 9788822058164
- Anno: 2010
- Mese: ottobre
- Formato: 14,5 x 21 cm
- Pagine: 192
- Note: stampato su carta vergata pregiata
- Tag: Scienza Filologia Storia antica Geografia
L’opera geografica di Artemidoro di Efeso (II sec. a.C.) è andata perduta, ma ad essa, corposa e ricca di notizie, attinsero a piene mani i maggiori scienziati ed eruditi: Strabone, Plinio e Stefano di Bisanzio. Di recente, al geografo efesino è stato erroneamente attribuito un papiro di ignota origine e, con esso, pensieri ed informazioni del tutto incompatibili con quanto di lui già sapevamo: questo clamoroso episodio è solo l’ultimo atto di una vicenda che, attraverso i secoli, ha pian piano deformato il volto del nostro autore. Questo libro si propone di ricostruire il metodo di lavoro di Artemidoro attraverso l’analisi di alcuni suoi frammenti molto significativi. Artemidoro scelse di non restar chiuso in una biblioteca a compulsare fonti scritte, ma si aprì alla conoscenza diretta dei luoghi e delle persone che li abitano, durante la fase montante dell’imperialismo romano.
Premessa - I. 1.Un passo avanti e uno indietro: le raccolte dei frammenti - 2.1. Artemidoro in Strabone - 2.2.Da Artemidoro a Strabone, passando per Posidonio - 2.3. Fu vero periplo? - II. 1. La divisione in libri: errori nei numerali? - 2. Il primo libro - 3. Uno sguardo d’insieme sul mondo - 4.1.Terra come pianeta e terra abitata - 4.2. Eratostene ed Artemidoro misurano il mondo - 5. La forma del Mediterraneo occidentale - 6.1.Costa meridionale o parallela? - 6.2. - Strani effetti del “clima” - III. 1. Guardare con i propri occhi - 2. «Nessuno è mai stato lì» - 3.1. Il frammento 11 Stiehle - 3.2. Miti e toponimi - 3.3. Da Gades al promontorio sacro - 3.4. Le maree - 3.5. Il miglior itinerario verso la Celtica - 4.1. Artemidoro contro Pitea? - 4.2. Opinioni a confronto - 5. Artemidoro fra i popoli del Nord - 6.1. Le altre fonti: Avieno - 6.2. Le altre fonti: Asclepiade di Mirlea - 7. La costa atlantica della Spagna in Marciano - 8. Viene prima il papiro o Marciano? - Appendice - Bibliografia - Indice dei nomi antichi e moderni - Indice dei nomi geografici - Indice dei passi citati - Indice delle tavole
PREMESSA
Il dibattito scientifico intorno all’opera del geografo Artemidoro di Efeso è stato languente per decenni. Dopo l’edizione (poco) critica di Stiehle del 1856, solo di rado la figura di Artemidoro è stata oggetto di indagine per sé stessa, sebbene non si risparmiassero gli elogi per un autore la cui grandezza, se non altro, era facile intuire dalle frequenti citazioni in Strabone. Poi, l’apparizione del controverso papiro di Torino (siglato P.Artemid.), al principio della cui colonna IV figura un testo quasi identico ad un frammento artemidoreo già noto, ha stimolato una quantità di studi senza precedenti nella storia della fortuna di quest’autore. E, inevitabilmente, le ricerche han cominciato a gravitare intorno a quel problematico manufatto, la cui autenticità – ben presto sottoposta a grave dubbio – era il terreno su cui si misurava la valutazione degli scritti di Artemidoro.
Nello studio di un autore noto in modo frammentario attraverso citazioni di scrittori successivi è sempre in agguato l’anacronismo, soprattutto se, come accade spesso nella prassi citazionistica degli antichi e com’è ancor più vero nel caso di Strabone, dall’autore citato vengono desunti dati di fatto, più raramente giudizi, ma mai le parole esatte.
Può capitare così che la fisionomia dell’opera dell’autore citato venga ricostruita sulla falsariga di quella dell’autore citante: l’effetto è che non si dia peso alcuno al fatto che, per esempio, fra Artemidoro e Strabone il volto dell’Occidente fosse mutato significativamente almeno grazie a Pompeo, Sertorio, Cesare, Augusto. Correva già questo rischio, piuttosto comune, chi si accingesse a immaginare l’opera di Artemidoro fino al 1998: a complicare il quadro si è poi aggiunta una fonte d’informazione del tutto contraddittoria. Pur a voler prescindere dai gravi indizi di contraffazione su cui molto si è disputato, è evidente che le dissonanze tra ciò che si legge nel papiro torinese e ciò che di Artemidoro sappiamo per tradizione indiretta sono così numerose da imporre a chiunque abbia familiarità con il metodo filologico di fermarsi e chiedersi che cosa sia il testo contenuto nel papiro, prima di dare per inteso che sia l’inizio del secondo libro dei Gewgrafikav di Artemidoro di Efeso. Né è mai buon metodo congetturare sui testi per metterli d’accordo con un’idea preconcetta (e, in fin dei conti, arbitraria) di essi.
Dopo il recente intervento di Giambattista D’Alessio, sulle pagine della «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», che ha affondato l’idea che il testo delle colonne I-III potesse essere un proemio, sembra farsi strada una soluzione compromissoria: il testo delle colonne I-III non è di Artemidoro, ma le colonne IV-V lo sono, dunque il papiro è autentico. Si tratta di un paralogismo che va contrastato.
Intanto, va detto che, una volta inficiata l’unità materiale dell’intero, non si comprende più perché le colonne IV-V dovrebbero costituire un testo unitario attribuibile ad un solo autore. Ma soprattutto siamo ancora di fronte ad una petitio principii: ciò che andrebbe dimostrato, ovvero la pertinenza con Artemidoro di quella descrizione della Spagna in cui il papiro si profonde, diviene un presupposto che non richiede dimostrazione, mentre l’onere della prova vien fatto ricadere su chi pensa il contrario.
La situazione, per il lettore di Artemidoro, rischia di diventare insostenibile. Se infatti, pur in presenza del sospetto che i dati geografici presenti nel papiro rispecchino uno stato dei luoghi posteriore, si accetta fideisticamente quel testo come artemidoreo, si crea un meccanismo deleterio, un vero e proprio corto circuito: partendo dall’ipotesi (falsa) che il papiro e Strabone siano testimoni, reciprocamente indipendenti, dell’opera di Artemidoro, se ne deduce che ogni convergenza fra il papiro e Strabone andrebbe attribuita ad Artemidoro.
L’inarrestabile effetto è quello di trascinare Artemidoro giù di oltre un secolo; ed è per giunta un effetto a catena, perché, scovato un seppur fallace metodo di riconoscimento degli artemidorea in Strabone, tanta parte dell’opera straboniana rischia di essere ricondotta ad Artemidoro, anche se inconciliabile con lui: insomma, è il trionfo dell’anacronismo.
L’antidoto per questo veleno è manifesto: ripartire dai dati certi, sospendere il giudizio sul papiro, tentare di comprendere al meglio delle nostre capacità e sulla base della documentazione residua come dovesse apparire l’opera di Artemidoro. Dai frammenti conservati, infatti, si ricava il profilo di un autore intellettualmente vivace, che si confronta con la scienza del suo tempo: conosce le principali acquisizioni scientifiche della geografia matematica, che aveva avuto in Eratostene e in Ipparco i due contrapposti numi tutelari, ma sceglie per sé una strada diversa, quella che guarda alla storia dei luoghi e ai popoli che li abitano, con le loro tradizioni etnografiche, religiose e politiche. Si tratta pur sempre di un autore noto per frammenti, la cui valutazione rischia ad ogni passo di risultare effimera: riterremo di avvicinarci ad un’immagine, se non vera, non troppo distante dal vero, se potremo trovare delle corrispondenze tra il giudizio che dell’autore ebbe chi poté leggerlo e quello che noi stessi riusciamo a filtrare attraverso una ponderata lettura dei frustuli rimasti. Ecco perché nel primo capitolo ci sforzeremo di comprendere quale giudizio su Artemidoro ebbero Strabone e Marciano (i suoi due lettori più importanti, dal nostro punto di vista); nel secondo capitolo tenteremo, invece, di capire come Artemidoro organizzò la sua opera, a partire dal problematico primo libro.
Il papiro non scompare dal nostro orizzonte di interessi,ma entrerà in gioco in un secondo momento: quando cioè si tratterà di verificare se l’immagine che avremo saputo ricostruire del nostro autore abbia qualche punto di contatto con ciò che si legge nel nuovo reperto. Si scoprirà così che non solo le colonne I-III non possono essere di Artemidoro, come lingua e senso impongono, ma che anche le colonne IV-V sono, in quest’ottica, del tutto incongrue: non solo perché ben diversa era la conoscenza che Artemidoro aveva della Spagna (cui è dedicato il terzo capitolo), ma anche perché esse sono un ben strano mélange di nozioni troppo moderne per Artemidoro ed una brusca battuta d’arresto («nessuno ha mai fatto il rilievo della costa settentrionale della Spagna») che già all’epoca di Artemidoro non aveva più alcuna ragion d’essere, perché non più vera. Non sappiamo immaginare spiegazione diversa da quella di un maldestro collage fatto da chi di Artemidoro aveva ormai un’idea falsata, mutilata, parziale; un collage fatto su materiali anch’essi depauperati, martoriati, inconsistenti; ma soprattutto fatto da chi non aveva più alcuna idea di quale potesse davvero essere lo stato della penisola iberica al tempo di Artemidoro e negli occhi di un viaggiatore greco.