Sette lezioni sulla transizione climatica
Scienza, politica e visioni del mondo
Sette lezioni tra scienza e politica per riflettere sulla transizione climatica, sul nostro futuro e, soprattutto, su come possiamo intervenire per cambiarlo.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063410
- Anno: 2022
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 128
- Tag: Scienza Politica Ambiente
Grazie alla sua lunga esperienza tra scienza e politica, Andrea Tilche ci conduce al cuore della questione climatica e ci richiama all’urgenza di un’azione internazionale per arrestare il riscaldamento globale.
La transizione climatica di cui ci parla è un processo complesso e tuttavia necessario e non negoziabile, se vogliamo lasciare un pianeta abitabile dopo di noi.
È un processo possibile e perfino conveniente, ma è stato frenato da colossali interessi consolidati e da visioni del mondo grette ed egoistiche. È nei momenti di crisi profonda, però, che l’umanità ha l’opportunità di esprimersi al meglio. Questo libro è quindi un invito a raccogliere la sfida e impegnarsi a livello politico – e individuale – ascoltando la lezione della scienza.
di Carlo Carraro
Premessa
Introduzione
1. CONOSCERE
La responsabilità umana dei cambiamenti climatici
Ridurre le emissioni non è sufficiente, bisogna portarle a zero
Gli effetti dell’aumento di CO2 nell’atmosfera
Il “budget” di carbonio
La decarbonizzazione è una necessità
2. IMMAGINARE
Decarbonizzare si può, ed è un’opportunità
Decarbonizzare in pratica
I trasporti
L’industria
La produzione di cemento
La produzione di acciaio
L’industria chimica
Agricoltura e zootecnia: complessità nella complessità
Le foreste
Alcune considerazioni economiche e politiche sulla decarbonizzazione
3. RESISTERE
Dobbiamo adattarci
Impatti, esposizione, vulnerabilità e rischio
Esempi di misure di adattamento
Conoscenza e compartecipazione
4. AGIRE
Dall’evidenza scientifica all’azione politica
L’IPCC e la comunicazione sul clima
L’Accordo di Parigi e la scienza
5. COLLABORARE
L’Unione Europea e la politica climatica
La novità del Green Deal
I limiti del Green Deal
6. RIFLETTERE
Perché abbiamo aspettato tanto?
Una base etica per l’azione climatica
7. MIGLIORARE
La transizione necessaria
Crisi pandemica e crisi climatica
Una nuova visione del mondo
Una considerazione finale
Note
Ho voluto trasformare in un breve saggio gli elementi essenziali tratti da una serie di lezioni che ho tenuto negli anni 2019-2020 presso l’Arctic University of Norway (UiT) di Tromsø e la Norwegian University of Science and Technology (NTNU) di Trondheim, lezioni poi riversate in un corso online di 10 podcast sul tema della transizione verso una società a zero emissioni e ulteriormente arricchite in altre lezioni svolte nel 2020 e 2021 anche altrove.
La ragione profonda che mi porta a scrivere di cambiamenti climatici fuori dalle riviste scientifiche dedicate agli esperti è quella di provare a presentare a un pubblico più vasto una serie di fondamenti a mio parere non sempre compresi fino in fondo per la loro portata, e offrire un senso di «possibilità» – di cui parla il brano di Musil in epigrafe – alla soluzione del problema. È molto importante che la conoscenza su questi fenomeni e sulle loro conseguenze venga diffusa, perché conoscere è fondamentale per prendere decisioni, e possibilmente buone decisioni.
Questo saggio non è una trattazione sistematica di scienza dei cambiamenti climatici: oltre a rappresentare un corpus piuttosto vasto e multidisciplinare, difficilmente governabile da una sola persona, è una scienza giovane – anche se già robusta – e il suo continuo progresso renderebbe tale trattazione rapidamente obsoleta. Ho preferito rimandare molti aspetti specifici alle note e ai Qr code, che sono ricchi di riferimenti bibliografici. Chi volesse peraltro studiare tutto il materiale online si farebbe senz’altro una buona cultura sull’argomento.
La scelta dei temi trattati è stata fortemente influenzata dalla mia passata esperienza alla Commissione Europea in qualità di responsabile dei programmi di ricerca sui cambiamenti climatici; sono stato inoltre rappresentante dell’Unione Europea presso l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite che ha il mandato di produrre regolari rapporti sullo stato delle conoscenze scientifiche sul tema dei cambiamenti climatici che rappresentano la summa del consenso scientifico tra gli esperti a livello globale.
Nell’introdurre questo breve saggio devo anche premettere che il suo titolo – poi modificato per ragioni editoriali – avrebbe dovuto essere Lezioni norvegesi, in riferimento al luogo dove le ho tenute, e in omaggio a ciò che quel Paese mi ha insegnato da quando, appena andato in pensione per limiti di età dalla Commissione Europea, mi furono offerte due posizioni di senior advisor e di professore aggiunto prima dall’UiT a Tromsø e poi dalla NTNU a Trondheim.
Non siamo certo ai tempi dello straordinario naufragio del capitano Pietro Querini, sbattuto alla deriva con la sua cocca Querina nell’inverno del 1431-32, dal mare del Nord fino alle isole Lofoten, e allo shock culturale di fronte al quale si trovarono i pochi sopravvissuti. Le mie regolari visite di lavoro in Norvegia (fino all’inizio della pandemia nel marzo 2020) mi hanno messo di fronte a un ambiente nuovo e profondamente diverso da Bruxelles, dove abitavo, e dall’Italia, dove sono nel frattempo tornato. Vorrei quindi concludere questa premessa con un breve inno di ammirazione per la Norvegia e il suo popolo in cinque punti:
1. La parità di genere
Non vorrei dire banalità, ma le prime volte che andai a Tromsø o a Trondheim mi chiedevo cosa mi facesse stare così bene nelle occasioni di lavoro, sociali o anche semplicemente girando per fare compere. Immergendomi sempre più nell’ambiente universitario mi resi conto di trovarmi in mezzo a persone di ogni genere che collaboravano in totale parità, senza che le donne sentissero la necessità di “apparire” per forza, come spesso accade in Italia e in molte altre parti del mondo, unico mezzo per restare con fatica a galla in una società profondamente maschilista.
Peraltro, l’apparente parità sembra offuscata dalle statistiche che riportano per la Norvegia un tasso di violenza di genere non tanto più basso rispetto all’Italia come mi sarei aspettato, anche se sorge il dubbio che i dati italiani siano probabilmente falsati da una diffusissima non-denuncia delle violenze.
2. Il lavoro e la vita
Sembra macchiettistico, ma in Norvegia il lavoro inizia presto al mattino, non ha interruzioni di rilievo a parte un rapido break per un sandwich un po’ prima di mezzogiorno, e alle 16 finisce per tutti. In Italia si direbbe che “si butta giù la penna”. All’università, le porte automatiche si chiudono (anche se con il badge si possono sempre aprire) e la maggior parte delle persone va via. Da quel momento tutti si occupano dei bambini, della famiglia, dei rapporti sociali, della cultura e magari di sport. Il tempo di non-lavoro è prevalente, tutti hanno interessi da coltivare e quasi nessuno soffre di dipendenza da lavoro, quello che in lingua inglese viene chiamato con un efficace neologismo workaholism. Mi sono reso conto che la loro è una vita più sana, e che il lavorare fino a notte è anche molto legato alla disparità culturale di genere, oltre che a una certa confusionarietà del nostro agitarci.
3. L’interesse verso la persona
Rimasi colpito dal fatto di essere cercato perché interessavano le mie competenze e capacità. Fui contattato prima di andare in pensione e mi fu richiesto se fossi stato disponibile dal primo giorno di “riposo”. Io feci presente che come pensionato della Commissione Europea avrei dovuto rispettare due anni di “embargo” per conflitto di interessi, durante i quali dovevo astenermi dal lavorare in attività che si riferissero ai miei compiti precedenti, ma a loro interessavo io. In Italia non ci siamo abituati, e lo sanno molto bene i tanti, come me, che hanno scelto di far apprezzare i propri meriti all’estero. Altre logiche reciprocitarie governano purtroppo i nostri rapporti.
4. La visione del futuro
Ho un profondo rispetto per la visione di lungo termine che ho percepito far parte della cultura e dell’essere norvegese. Basterebbe l’esempio, forse abusato, della gestione delle fortunate ricchezze petrolifere e di gas naturale di questo territorio.
In primo luogo, in Norvegia producono praticamente la totalità del fabbisogno di energia elettrica con fonti rinnovabili ed esportano la quasi totalità del petrolio e del gas estratti.
In secondo luogo immettono la maggior parte della grande rendita così generata in un fondo sovrano che gestisce con grande oculatezza e profitto questa massa di denaro, oggi arrivata a valere più di 1 trilione di euro, una dote di quasi 200000 euro per ogni cittadino. Il governo può attingere dal fondo fino a un massimo del 3% all’anno, ma sempre in quantità inferiore al ritorno degli investimenti del fondo, che si calcola possieda circa l’1,5% del valore di tutte le società quotate in Borsa nel mondo, e applica severe regole etiche e di sostenibilità per i suoi investimenti. I norvegesi usano questa rendita come una riserva a cui attingere nei periodi di crisi. L’hanno usata durante la pandemia di Covid-19.
È vero che purtroppo vendono combustibili fossili, ma sanno benissimo che le loro riserve finiranno presto, e si impegnano politicamente sul piano internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici.
5. Un’educazione diffusa
Certamente i norvegesi sono pochi, solo circa 5,4 milioni, e come abbiamo visto ricchi, ma l’educazione è la loro priorità. È completamente gratuita, dal nido all’università, e la Norvegia è tra i primi posti nel mondo per numero di laureati, con il 44,1% della popolazione tra i 25 e i 64 anni, sei punti percentuali in più della media dei Paesi OCSE, e più del doppio dell’Italia. E non è soltanto ai vertici in termini di numeri, ma anche in termini di qualità del sistema educativo.
Anche queste sono lezioni norvegesi.
21 Marzo 2022 | La Stampa |
17 Agosto 2022 | raiplay.it |