Come affrontare le nuove epidemie
edizione aggiornata
con una nuova prefazione di Giovanni Rezza
postfazione di Monica Serafini
Come si mette la mascherina? Quando va usata? Come dobbiamo lavarci le mani? Quali precauzioni possiamo prendere in casa? È opportuno assumere antibiotici? Che ruolo hanno i vaccini?
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063380
- Anno: 2020
- Mese: settembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 144
- Tag: Scienza Medicina Attualità
A causa del Covid-19 il mondo sta affrontando oggi un allarme sanitario senza precedenti… ma è davvero così? Non tutti sanno che nel 1918 l’influenza “spagnola” fece 60 milioni di vittime e la pandemia durò 15 mesi alternando picchi e periodi di remissione. Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è allora l’ultimo di una serie di virus capaci di mettere in ginocchio la sanità mondiale. Come affrontarli?
Per predisporre sistemi di prevenzione efficaci, e garantire la salute di tutti, è necessario mantenere alto il livello di informazione e di attenzione: questo libro ci presenta i più insidiosi nemici virali e ci offre strumenti pratici per comprendere i rischi a cui siamo esposti e affrontare i pericoli senza allarmismi e con consapevolezza.
Misure generali
Per meglio comprendere gli strumenti e le misure efficaci che permettono di proteggersi, ritorniamo all’analisi delle modalità di contagio, specificamente dell’influenza umana. I suoi virus sono di natura respiratoria, si trasmettono cioè attraverso goccioline emesse dai malati quando tossiscono, starnutiscono o parlano. Per informazione, uno starnuto lancia goccioline di saliva a 150 km/h.
Poiché il malato è già contagioso quando incomincia ad avvertire i primi sintomi influenzali e lo rimane per una o due settimane successive, si provi a immaginare quanto possa nuocere agli altri!
Inoltre le mani dei malati sono in genere contaminate, e un semplice pulsante di ascensore può servire da punto di diffusione dell’infezione.
Il contagio di questi virus avviene quindi quando il soggetto respira particelle virali o quando, con le mani sporche, si tocca il viso o si mette le dita in bocca.
Si ha contagio quando il virus riesce a penetrare l’organismo dove raggiunge le cellule bersaglio e si riproduce. Le cellule infette produrranno allora elementi costitutivi dei virus (acido nucleico, diverse proteine e involucro) per poi riunirli. In seguito si romperanno, diffondendo nei tessuti le particelle virali. Queste particelle attaccano altre cellule bersaglio, o escono dall’organismo per infettare nuove persone. Il virus dell’influenza non si diffonde da solo, perché per spostarsi deve utilizzare aiuti esterni, i quali si presentano in forme molto diverse.
Neutralizzare il virus
Se un alimento è contaminato da un virus che provoca disturbi digestivi (gastroenterite), questo si trasmetterà solo in assenza di cottura. Una buona cottura, infatti, uccide la maggior parte degli agenti patogeni. Se invece si trova su un oggetto, la mano che si poserà su di esso servirà da vettore. Se si è depositato sulla superficie di una particella solida o liquida, si muoverà nell’aria insieme a questa e potrà rimanere in sospensione tanto più a lungo quanto più la particella è piccola, cioè inferiore al micron (milionesimo di metro), e potrà essere inalata dal suo ospite.
Per comprendere il modo in cui una persona viene infettata in caso di epidemia, è necessario analizzare le vie di trasmissione predilette del virus. Innanzi tutto questo non può penetrare all’interno di un organismo umano se la pelle è sana. Solo le mucose in senso ampio – bocca, labbra, narici o occhi – costituiscono delle vie di accesso. Una volta raggiunte le vie polmonari, il virus passa nella trachea, nei bronchi e nei polmoni. Le modalità di contagio più frequenti avvengono attraverso l’inalazione di particelle virali emesse da una persona infetta che tossisce o starnutisce. I gesti meccanici, come portare una mano contaminata agli occhi, alla bocca o al naso sono sufficienti: ecco spiegata l’importanza fondamentale di lavarsi le mani.
Per comprendere i rischi infettivi, occorre tener conto della quantità di virus necessaria all’infezione di un organismo. Si tratta di una nozione che, tecnicamente, viene definita carica virale.
A quanto pare, più il virus penetra in profondità, più si moltiplicherà e maggiore sarà il rischio. In linea generale, un solo virus non basta, perché vi è una forte probabilità che sia arrestato dal sistema immunitario, bloccato dai peli del naso, imbrigliato nel muco delle vie respiratorie e poi eliminato attraverso la tosse o distrutto dalle cellule del sistema immunitario. È quindi necessario un numero elevato di virus per far sì che alcuni di questi riescano a superare tali ostacoli e a raggiungere le cellule bersaglio.
A questo stadio, diversi parametri rendono l’organismo più o meno vulnerabile. Se le particelle virali contaminanti restano esposte diverse ore su un oggetto, il loro grado di virulenza decresce e diventano meno pericolose. Più i virus sono «freschi», più sono attivi. Per fare un esempio pratico, esaminiamo un telefono portatile utilizzato da una persona colpita dall’influenza A. Se l’apparecchio resta su un tavolo per diverse ore senza che nessuno lo tocchi, il rischio di contagio l’indomani sarà molto debole, mentre se lo si tocca nel giro di cinque minuti, il rischio sarà notevolmente più elevato.
Altro parametro è lo stato di salute della persona. In pratica, più si va avanti con gli anni, più l’immunità diminuisce. Ecco perché nei periodi d’influenza stagionale gli anziani sono i più vulnerabili. Il loro organismo si difende meno bene dalle infezioni, ragion per cui il vaccino diventa indispensabile.
Nel caso dell’influenza messicana o, in passato, della spagnola, sorprende che le persone più colpite siano proprio i giovani.
La spiegazione potrebbe derivare dal fatto che il loro organismo, incontrando per la prima volta questo tipo di virus, non dispone delle difese che i loro avi invece avevano acquisito essendo stati a loro volta in contatto con un virus influenzale dalle caratteristiche simili a quello dell’H1N1 nord-americano.
Altre categorie di popolazione sono più vulnerabili: i soggetti colpiti dall’AIDS, i pazienti sottoposti a chemioterapia antitumorale o che assumono cortisone, i diabetici. Appare altrettanto evidente che una persona affetta da tabagismo, soggetta quindi a bronchite cronica, che dispone di un apparato respiratorio fragile, irritato e molto più sensibile alle infezioni, sarà maggiormente ricettivo all’influenza di tipo A.
Se il virus non incontra l’ospite e si viene a trovare su una superficie secca, diventerà inattivo e morirà rapidamente. Poiché la temperatura e l’umidità sono importanti fattori di condizionamento per la sua sopravvivenza, la pulizia si rivela uno strumento efficace per combatterlo. Tuttavia, qualora trovi una via d’ingresso in un altro organismo, questo diventerà terreno di conquista e di sviluppo. I soggetti colpiti diventano, infatti, veri e propri diffusori di virus. Conviene quindi limitare i contatti, evitare di toccare o di utilizzare gli stessi oggetti dei malati.
Le persone in fase di incubazione, cioè quelle contagiate dal virus ma che non presentano ancora sintomi, sono in compenso molto meno contagiose. Tuttavia il virus può essere escreto da 24 a 48 ore prima della comparsa dei segni clinici iniziali.
L’assenza di tosse e di starnuti limita per fortuna la diffusione dei virus alle altre persone, ma il contagio può ugualmente avvenire attraverso la saliva, i baci o le goccioline emesse quando si parla. Per contro, sin dai primi sintomi – anche una semplice tosse – il rischio di diffusione aumenta bruscamente. Appare chiaro come l’isolamento dei soggetti a rischio aiuti a curare meglio e a limitare la diffusione del virus. Il fatto di auto-segnalarsi, o di segnalare alle autorità sanitarie un soggetto che presenti sintomi influenzali, in fase di epidemia di tipo messicano, è quindi un gesto di utilità sanitaria oltre che un dovere civico.