Educazione e formazione a Roma
Storia, testi, immagini
prima edizione 1996
nuova edizione
Un’occasione piacevole e insieme stimolante per conoscere la vita quotidiana nella Roma antica attraverso una ricca e varia testimonianza letteraria, epigrafica, giuridica, iconografica.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063144
- Anno: 2011
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 632
- Note: illustrato in bianco-nero
- Tag: Storia Roma Storia antica Didattica
Chi, e in base a quali criteri, definiva a Roma i limiti di ciò che era lecito e ciò che non lo era? A che età era consentito strizzare l’occhio a Venere? Quali erano le regole che guidavano i rapporti amicali, sessuali, amorosi? Come ci si doveva comportare per propiziarsi gli dèi? Come ci si preparava ad affrontare il dolore e la morte? Dove si imparava il mestiere del medico, della levatrice, del veterinario, dell’agrimensore, dell’architetto, dell’avvocato, del soldato, dell’insegnante? Quali erano i centri di formazione artigianale e artistica? Tutto questo – e altro ancora – fu oggetto di precisa educazione presso un popolo che visse in un sistema sociale in cui il privato era votato al pubblico, e la vita scorreva in un funambolesco barcamenarsi tra realtà e rappresentazione. Dalla primissima infanzia alla vecchiaia i romani, senza esclusioni di sesso e di status, furono coinvolti in un programma educativo ininterrotto e totalizzante. Esso si avvalse, per raggiungere i propri obiettivi, di tutti i mezzi di comunicazione di cui poteva allora disporre, non tralasciando, se necessario,
neanche sofisticati sistemi di «persuasione occulta» attraverso la voce, il gesto, la scrittura, l’immagine.
Indice - Al lettore - I. EDUCAZIONE E SOCIETÀ - 1. L'educazione: realtà e rappresentazione - L'educazione, una questione sociale - L'educazione liberale amplia o limita la libertà? - La formazione professionale e l'ideologia del lavoro - Un'educazione permanente - Fonti - Immagini - 2. I mediatori espressivi e culturali dell'educazione. La voce, la scrittura, l'immagine - Una comunicazione educativa multimediale - La voce, la scrittura, l'immagine - Leggere, scrivere e dipingere per conto terzi - L'immagine che educa - La rappresentazione iconografica e la tipizzazione dell'uomo ideale, dalla fase "eroica"... - ...a quella "politica - L'animorum imago - L'educazione e la mitopoiesi femminile - 'illustrazione nel testo didattico - Educa più la parola o l'immagine? - Interpretazione e uso del documento iconografico - Fonti - Immagini - II. L'EDUCAZIONE AI RAPPORTI INTERPERSONALI E AI RUOLI SOCIALI - 3. I rapporti sessuali e amorosi: realtà e rappresentazione educativa - A che età è consentito strizzare l'occhio a Venere? - La casistica della liceità: un fatto culturale - La politica dello struzzo - Se il maestro allunga le mani - Fonti - Iminagini - 4. L'educazione ai ruoli e ai rapporti matrimontali - Come sposarsi? - I messaggi educativi del rito matrimoniale - L'educazione al rispetto del "patto maritale" - Quando il costume sconfigge l'educazione - L'amore coniugale, una fortunata possibilità - Come pianificare la famiglia - Il prestito del ventre - Al di là della vita - Fonti - Immagini - III. I MEDIATORI ISTITUZIONALI E AMBIENTALI DELL'EDUCAZIONE - 5. La familia - La familia, pasilla res publica - Sarà allevato o esposto? La famiglia è una conquista - Tutti insieme, educatamente - Come prendersi cura dei bambini: educere, educare, instruere, instituere, docere - Le coccole della nutrice - La presenza vigile e severa del pedagogo - Il padre naturale e quello adottivo - La madre educatrice - Perché proprio a Cornelia? - Ma se si fosse risposata? - I ruoli pedagogici della cerchia parentale e del tutore - Fonti - Immagini - 6. La scuola e l'educazione scolastica - È legittimo parlare di scuola? - Perché le scuole? - Nel secolo degli Scipioni la scrittura si inserisce nel sistema di comunicazione sociale - Il ludus primi magistri - Meglio a casa o a scuola? - È più produttiva la scuola pubblica o quella privata? - L'avvio a lettura e scrittura - Le strategie della lettura - Il computo - E alla fine del corso... - L'approdo nella classe del grammaticus - Il dogmatismo dell'incertezza - Un programma molto ambizioso e poco pedagogico - L'emendata lectio - Imparare a leggere e scrivere per sé e per gli altri - La scuola del rhetor: palestra di narcisismo e fabbrica di sogni - Il problematico accesso dell'ars rhetorica nella scuola romana - Fonti - Immagini - 7. La bottega, il paedagogium,ilcollegium - La bottega artigiana, una struttura pedagogica in senso ampio - Un apprendistato lento e ripetitivo - Quel che si conosce del pardagogium è solo la punta di un iceberg - L'apprendistato pedagogiano. Una storia senza storici - Il collegium, luogo di assimilazione e esaltazione dell'ideologia di gruppo - Fonti – Immagini - 8. Le associazioni giovanili. L'educazione ginnico‑sportiva e civico‑religiosa, tra gioco, rito iniziatico e politica - L'educazione fisica, incompresa sì, ma non trascurata - I Collegia iuvenum e gli antenati romani dei "Giochi della gioventù" - Diventare uomini. Le feste iniziatiche e i riti di passaggio - Due sport blasonati: la corsa dei Lupercalia e il ludus Troianus - Il nuoto e i bagni termali, tra igiene e relax - Fonti - Immagini - 9. L'esercito - L'esercito come istituzione educativa - L'esercito come scuola di lingua - Il miles litteratus - L'esercito come scuola morale ed etica - Fonti – Immagini - IV. - L'ISTRUZIONE PROFESSIONALE - 10. L'agrimensore - Le origini magico-sacrali dell'agrimensura - L'evoluzione sociale e professionale dell'agrimensore - Il patrimonio di scrittura e iconografia per uso didattico - L'ars geometrica - Fonti - Immagini - 11. L'architetto - Lamemoria, lo spazio e il tempo - La scienza delle costruzioni al servizio della comunicazione sociale e politica - L'opera architettonica, un libro aperto - L'architetto e il sistema delle committenze - Il curriculum degli studi di architettura - La tecnologia trasforma i tradizionali canali didattici e potenzia la sperimentazione - Una borsa di studio per gli studenti di architettura - Fonti - Immagini - 12. Il geografo - La scienza geografica e lo spazio polivalente - Il geografo: chi è, e dove si forma - Le opere geografiche: trattati, manuali, carte e mappe Strabone, "il geografo" - Fonti - Immagini - 13. Il medico - Le origini della medicina secondo la tradizione romana - L'ingresso a Roma dell'ars medendi - L’adesione a una setta, passaggio obbligato per la formazione professionale - Le più accreditate sette mediche - L'insegnamento, tra teoria e pratica - Impostori, ignoranti e mascalzoni - I più prestigiosi maestri dell'ars medendi a Roma - Asclepiade di Prusa e l'arte di curare senza far soffrire - Galeno di Pergamo, il secondo padre della medicina - Sorano di Efeso, il medico delle donne - Fonti - Immagini - 14. La levatrice - Il passaggio cli un mestiere vecchio quanto il mondo dal pressappochismo all'ars - La professionalità e la deontologia della medica/obstetrix - La brava ostetrica è anche maestra delle proprie pazienti - Fonti - Immagini - 15. ll veterinario - L'ars veterinaria e il mulomedicus - La preparazione professionale del mulomedicus - Il patrimonio di scrittura veterinaria di uso didattico - I contenuti degli insegnamenti - Fonti - 16. Il maestro, il grammatico, il retore - Litterati, litteratores, grammatici: chi sono costoro? - Guadagni miseri e aleatori - I complessi rapporti tra ricerca e didattica - L'origine del linguaggio e la nascita dell'ars grammatica - I primi grammatici romani - La fonetica e l'ortografia, la morfologia e la sintassi - Dalla tèchne rhetorikè all'ars rhetorica - Fonti - Immagini - Abbreviazioni e sigle bibliografiche - Indice delle edizioni - Indtce dei passi citati - Bibliografia
Capitolo primo
L'educazione: realtà e rappresentazione
L'educazione, una questione sociale
I romani vivevano intensamente tutti i rapporti che li integravano alla città, tanto che è difficile distinguere l'uomo dal cittadino. Essi avevano inventato una grande quantità di istituzioni, di natura ed entità numerica variabili, che offrivano loro l'occasione per raggrupparsi, e dare così corpo sociale a tutto quanto facevano, sia per dovere che per piacere. Ci si associava perché si svolgeva lo stesso lavoro, o perché si era devoti alla stessa divinità, o perché si tifava per la stessa squadra di aurighi, o perché si avevano i medesimi gusti in fatto di culinaria e banchetti. Talvolta l'affinità era un pretesto, spesso aveva reali fondamenti. Per quel che riguarda le associazioni di tipo lavorativo (corpora, collegia), la tradizione le fa risalire nientemeno che a Numa Pompilio1; vera o no l'attribuzione, rimane certo che l'esigenza di associazionismo si manifestò presso questo popolo già agli albori della sua storia. In un sistema sociale cosl correlato, la città conferiva a ciascun cittadino una dimensione umana in cui il privato era votato al pubblico, e a tal punto intrecciato ad esso, da arrivare in taluni casi a identificarvisi.
È naturale che esigcnze cosl partecipate di integrazione e interazione richiedessero di fissare dei principi mentali e comportamentali atti a facilitarle. Niente di strano, dunque, che a Roma l'educazione fosse un fatto soprattutto sociale. Attraverso l'educazione i romani si aspettavano di mediare i rapporti con se stessi e con gli altri, con lo spazio e il tempo, con la città. Si costruirono pertanto una morale che potesse tradursi in un'etica funzionale a questi presupposti e a queste aspettative. Del resto, ogni società pone in essere i dispositivi di educazione funzionali a se stessa, e dunque all'immagine ideale di sé, a come vorrebbe essere o diventare: è questo un modo culturale con cui il sistema si cautela. Che poi tra il pensare e la sua traduzione in prassi non ci sia quasi mai una soddisfacente correlazione produttiva, è un altro paio di maniche. Allo storico dell'educazione non compete stigmatizzare i fallimenti pedagogici; già è tanto se egli, soprattutto quando si tratta di tempi e mentalità così remoti, riesce a rappresentare da una parte le idee, e dall'altra i fatti, e a far notare sia le corrispondenze, che le disfunzioni, le contraddizioni e gli scarti tra le une e gli altri: e non per ergersi a giudice, ma per penetrare e interpretare le mentalità e i costumi.
Qualsiasi discorso sull'educazione romana deve partire da due presupposti, tra loro conseguenziali: che essa ebbe un obiettivo preminentemente civico, e che mirava a guidare ideologie e comportamenti in modo tale da votare il privato al pubblico, assecondando le modalità collettive del sentire. Il processo educativo impegnava indistintamente tutti, e coinvolgeva persone e istituzioni; esso era rivolto soprattutto all'età infantile e giovanile, ma per certi ambiti e attraverso particolari dispositivi continuava ad esercitarsi sugli adulti, fino alla morte; si riteneva riuscito se l'individuo si mostrava capace di pensare e di comportarsi, di fronte alla collettività, in maniera confacente all'età e al ruolo sociale. Persino il modo di parlare, di incedere, di vestire, di arredare la casa e di ricevere gli amici era soggetto all'osservazione, al vaglio e alla censura sociale, e dunque doveva obbedire a regole chiaramente codificate. Non c'era una morale comune e generale, ma una morale ‑ e conseguente etica ‑ per ciascun momento e situazione; esse si situavano tra i due poli antitetici del decet e del dedecet, del decoroso e dell'indecoroso, «in rapporto alle persone, alle circostanze e all'età», precisa Cicerone a suo figlio Marco, cui intende insegnare come gira il mondo e quali siano gli officia della persona perbene. Se si vuole stare con gli altri, bisogna mostrarsi gradevoli, altrimenti non si è ben accetti, e la società ci respinge.
Messa in questi termini, la questione si capovolge completamente rispetto a come in genere si pone, circa le finalità attribuite dai romani all'educazione. Essa dunque, in realtà, non mirava ad insegnare ad essere, ma ad apparire. Il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, nell'agire umano, non erano valutati in sé, ma in rapporto alla convenienza sociale: «[...] nella scelta dei doveri, prevalga quella specie di doveri che è intrinseca alla società umana». L'affermazione, si capisce, può stupire, e persino scandalizzare, ma cercheremo di giustificarla analizzando fatti e comportamenti.
Cominciamo dalla distinzione tra pubblico e privato. Dire che i romani non davano molto spazio alla vita privata, che sacrificavano questa alla vita pubblica, non significa voler sostenere che non avessero una vita intima, tutta loro, a prescindere dagli altri. Essi ce l'avevano e come; però se era tale da potersi configurare come decente, la rendevano pubblica; viceversa, la mantenevano segreta. La differenza tra privato e segreto è soprattutto questa: il privato riguarda qualcosa che scegliamo di non condividere con altri perché preferiamo sia tutto nostro; si tiene segreto (ossia separato, occultato, nascosto) ciò di cui proviamo vergogna, o che temiamo venga rimproverato o disapprovato. I comportamenti di relazione (di affari, amicale, parentale o d'altro), e soprattutto quelli che investivano la sfera affettiva, ed ancor più quella sessuale, obbedivano a questa logica. La legge, o l'opinione pubblica, non censuravano tanto la sostanza dei comportamenti, quanto ciò che di essi appariva all'esterno.
In questo sistema di relazione, dunque, non c'era spazio per il privato; ogni azione o era pubblica, ed allora riguardava tutti, e tutti avevano il diritto (e persino il dovere) di giudicare e censurare; oppure bisognava tenerla segreta, per cui nessuno ne sapeva niente (o comunque tutti potevano far finta di non saperne niente). Il concetto di bene e di male come noi l'intendiamo apparteneva all'empireo elitario dei filosofi, e sarà assimilato dalle masse solo con l'awento del cristianesimo. Nella cultura pagana anche la religione era regolata secondo la logica dell'apparenza, e ignorò a lungo valutazioni di ordine morale; l'orante pretendeva di accattivarsi la benevolenza divina per implorarne il favore non con la correttezza del comportamento, ma con quella ‑ formale ‑ dell'offerta sacrificale e dell'apparato liturgico; egli era infatti convinto che non la fides e la pietas, ma l'attinenza scrupolosa al formalismo lessicale e gestuale garantiva la protezione degli dèi.
Entrava invece costantemente in ballo il principio dell'onestà ‑ e del suo contrario ‑ interpretati anch'essi secondo un'ottica sociale. L'honestas solo in termini filosofici aveva il significato etico‑morale che gli attribuiamo noi, di onestà = rispetto delle leggi umane e divine; nell'accezione comune era la stima, il buon nome, la considerazione, e inoltre il decoro e la dignità esteriore. Essere ‑ ed essere ritenuti ‑ honesti era prerogativa dei soli cives, per lo più appartenenti ai ceti dominanti, sufficiente e necessaria per adire, gradino dopo gradino, al cursus honorum, ossia la scala degli onori civili, politici e religiosi.