La fine della virtù
Gracián La Rochefoucauld La Bruyere
La paura medievale delle passioni, la virtù come arte e tecnica, la realtà contraddittoria della natura umana, in tre famosi moralisti del Seicento.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822061430
- Anno: 1993
- Mese: gennaio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 256
- Tag: Storia Filosofia Etica
Con i moralisti del XVII secolo, l'etica entra in quella età del sospetto che conduce a Nietzsche e a Freud (Jean Lafond). Questo volume prende in esame la riflessione di tre moralisti secenteschi - lo spagnolo Baltasar Gracián e i francesi François de La Rochefoucauld e Jean de La Bruyère - la cui tesi è che le virtù morali, quali sono comunemente esercitate dagli uomini, non sono che maschere e strategia di passioni egoisticamente orientate, istinti, pulsioni, che si rivelano, così, essere le autentiche motivazioni dell'essere umano. Come più tardi Nietzsche e Freud, essi identificano un livello nascosto ma fondante dei comportamenti umani, variamente trasfigurato e mimetizzato nel linguaggio della morale. Non viene meno, certo, il riferimento alle virtù morali nel senso tradizionale. Ma ad esso si affianca quello a un nuovo e più generale tipo di virtù, alla virtù come arte o tecnica nella prospettiva della più razionale costruzione che dì sé l'uomo possa tentare. Per questo aspetto, con Gracián, La Rochefoucauld e La Bruyère, nelle forme consentite dall'epoca, si predelinea il progetto teorico e pratico che, un secolo dopo, Kant chiamerà "antropologia pragmatica", intendendo con ciò la conoscenza dell'uomo finalizzata ad accertare quel che l'uomo fa oppure può e deve fare di sé stesso.