50 grandi idee management
Come avere successo nella gestione di un’impresa? Come diventare imprenditori di se stessi o grandi manager di multinazionali? 50 idee semplici, chiare e adatte a tutti, per riscoprirsi e reinventarsi in un mondo del lavoro in continuo cambiamento. Dai concetti di base al management che verrà.
- Collana: 50 grandi idee
- ISBN: 9788822068217
- Anno: 2010
- Mese: novembre
- Formato: 17 x 20 cm
- Pagine: 208
- Note: illustrato, cartonato
- Tag: Economia Management
Dalla teoria della «coda lunga» alla strategia dell’ «oceano blu», il volume propone al lettore un’ampia panoramica sulle teorie e gli strumenti principali della gestione delle imprese, rivela i segreti che stanno alla base della leadership, della strategia e dell’innovazione aziendali e illustra concetti fondamentali quali quelli del branding, della globalizzazione e della corporate governance. Ricco di esempi e aneddoti sulle aziende di successo, e di citazioni dei principali pensatori e studiosi, l’opera di Russell-Walling fornisce una guida agile e di piacevole lettura, indispensabile per orientarsi nel gergo del management, un linguaggio oggi diffuso anche in settori e discipline diversi, dall’economia alla politica.
Introduzione - 01 Adhocrazia - 02 La scheda di valutazione bilanciata - 03 Benchmarking - 04 La strategia oceano blu - 05 La matrice di Boston - 06 Il BPR - 07 Il marchio - 08 La gestione dei canali - 09 Il nucleo di competenze - 10 Corporate governance - 11 La responsabilità sociale d’impresa - 12 La strategia d’impresa - 13 I costi della complessità - 14 La gestione delle relazioni con i clienti - 15 Il decentramento - 16 La diversificazione - 17 Il principio 80/20 - 18 Empowerment - 19 Imprenditorialità - 20 La curva dell’esperienza - 21 Le cinque forze della concorrenza - 22 Le quattro «P» del marketing - 23 La globalizzazione - 24 L’innovazione - 25 Il management giapponese - 26 L’economia della conoscenza - 27 La leadership - 28 La produzione snella - 29 L’organizzazione basata sull’apprendimento - 30 La coda lunga - 31 La fedeltà - 32 La gestione per obiettivi - 33 La segmentazione del mercato - 34 Fusioni e acquisizioni - 35 Eccellenza organizzativa - 36 Esternalizzazione - 37 Project management - 38 L’organizzazione scientifica del lavoro - 39 Six Sigma - 40 Gli stakeholder - 41 Alleanze strategiche - 42 Gestione della catena dell’offerta - 43 Il pensiero sistemico - 44 Le teorie X e Y (e la teoria Z) - 45 Il punto critico - 46 La gestione della qualità totale - 47 La catena del valore - 48 Guerra e strategia - 49 Web 2.0 - 50 In quale industria operate? - Glossario - Indice analitico
40 Gli stakeholder
Il destino di alcune parole è quello di passare rapidamente attraverso le fasi in cui prima sono illuminanti, diventano di moda, poi se ne comincia ad abusare e infine diventano francamente irritanti; «stakeholder» è una di queste. È stata disseminata nelle relazioni e usata a piene mani nelle dichiarazioni di missione, come se citarla bastasse a dimostrare il proprio impegno. Peggio ancora, i politici se ne sono impossessati. Pronunciato da loro, il termine sembra riferirsi alla popolazione in generale, il che conferisce loro l’aria di persone premurose e interessate senza che significhi poi molto. Tutto ciò è un peccato, perché il concetto originario rappresenta un cambiamento radicale nel modo in cui le aziende vedono, o dovrebbero vedere, se stesse.
Il concetto di stakeholder ha iniziato a diffondersi grazie al libro scritto da R. Edward Freeman nel 1984 Strategic Management: A Stakeholder Approach. Freeman sosteneva che le imprese commerciali sarebbero gestite in modo molto più efficiente a livello strategico se si tenesse conto di ciò che sta a cuore ai diversi stakeholder, o portatori di interessi. In altre parole, ciò porterebbe vantaggi a lungo termine agli azionisti. Successivamente, egli ha detto di aver deliberatamente scelto la parola «stakeholder» in contrapposizione a «stockholder», o azionista. Freeman definisce stakeholder di un’organizzazione qualsiasi individuo o gruppo che «può influenzare o è influenzato» dalle sue attività. È una definizione sufficientemente ampia da comprendere anche i concorrenti dell’azienda stessa, il che sembra eccessivamente generoso. Tuttavia, essa richiamava l’attenzione sul fatto che le aziende vivono in una comunità e che dei buoni vicini vivono in genere in modo più soddisfacente.
Il concetto ha agitato gli ambienti accademici, ma è anche penetrato nel mondo delle aziende. Un’ulteriore spinta è venuta dalla Caux Round Table, un gruppo di uomini d’affari europei, nord-americani e giapponesi che si sono riuniti per la prima volta in Svizzera per cercare di trovare una via d’uscita alle tensioni che affliggevano il commercio internazionale.
Nel corso dell’incontro il gruppo ha riconosciuto che le grandi imprese avevano la responsabilità globale di ridurre le minacce sociali ed economiche alla pace e alla stabilità mondiali e, nel 1994, ha prodotto il primo codice internazionale di etica aziendale – i Princìpi di Caux (si veda il riquadro a pagina seguente) – i princìpi dello «stakeholder management».
Dare sostanza Un anno dopo, è iniziato in rete uno straordinario progetto quinquennale che coinvolgeva diverse centinaia di studiosi di tutto il mondo. Si chiamava Ridefinire l’azienda; aveva ottenuto un sussidio dalla Fondazione Alfred P. Sloan e metteva a fuoco il modello dello stakeholder e le sue implicazioni per la teoria, la ricerca e la pratica del management. Nel 2002 James E. Post, Lee E. Preston e Sybille Sachs hanno pubblicato il libro conclusivo del progetto che portava lo stesso titolo. Esso invitava le aziende a ripensare i loro scopi e, basandosi sulle esperienze della Cummings Engine Company, della Motorola e della Shell (compreso il noto caso della Brent Spar – si veda p. 47) sviluppava il concetto di stakeholder.
Gli autori non vedono l’azienda come una cosa distinta dagli stakeholder – l’impresa è una «collaborazione tra diversi gruppi e interessi detti stakeholder».
La loro tesi principale è che i rapporti specifici tra stakeholder vanno al di là di un interesse privato lungimirante. Essi sono centrali per la creazione (o la distruzione) del «benessere aziendale» e, in quanto tale, per gli scopi e le attività fondamentali dell’impresa. In tal modo lo stakeholder management, definito come la gestione delle relazioni con gli stakeholder per il mutuo vantaggio, è di importanza cruciale per il successo dell’azienda.
«Le imprese sono quello che fanno», affermano gli autori. Le aziende ormai non si rifanno più al modello medievale in cui la finalità sociale era centrale. Né dovrebbero seguire l’attuale modello «proprietario» che attribuisce la massima importanza agli interessi privati degli investitori. Lo scopo dell’azienda è creare ricchezza, ma la sua legittimità – il suo statuto sociale o «licenza di agire» – dipende dalla sua capacità di soddisfare le aspettative di un vasto gruppo di soggetti. Il legame tra ricchezza e responsabilità è stato riconosciuto da più di un secolo e se l’impresa deve sopravvivere, essi affermano, deve adattarsi al cambiamento sociale. Gli autori sostengono che vi sono due ragioni per cui occorre ridefinire la grande impresa. Una risiede semplicemente nelle sue dimensioni e nel suo potere e l’altra è che se da un lato gli azionisti ne detengono i titoli, dall’altro non possiedono realmente l’azienda in nessun possibile senso – e non sono certo gli unici soggetti fondamentali per il suo successo. Per loro natura, le grandi multinazionali alterano l’ambiente sociale, politico e fisico in cui operano, e questi impatti devono essere considerati come parte del loro prodotto. Del prodotto di un’azienda sono responsabili i manager, e talvolta esso può essere involontario o addirittura dannoso. Anziché provocare interventi governativi costosi e indesiderati, i manager possono ridurre tali effetti se sono motivati a farlo.
Abbandonare il modello proprietario convenzionale, tuttavia, non significa «la morte dei diritti di proprietà» o «la fine del valore per l’azionista (shareholder value)». Già nel 1946 Peter Drucker definiva «una rozza e vecchia finzione giuridica» l’idea che l’impresa non fosse altro che la somma dei diritti di proprietà degli azionisti. Post, Preston e Sachs affermano che esiste una somiglianza e una comunanza di interessi tra i soggetti costitutivi di un’impresa e che essa non può sopravvivere se non si assume la responsabilità del loro benessere e di quello della società in cui opera.
Un interesse in gioco Il punto essenziale della definizione degli stakeholder è che essi hanno un interesse nel risultato in gioco, e vogliono che l’azienda sia gestita in modo tale da migliorare, o almeno non peggiorare, la loro posizione. In Toward a Stakeholder Theory of the Firm, Thomas Kochan e Saul Rubinstein individuano tre caratteristiche degli stakeholder: forniscono risorse critiche; il loro benessere è influenzato dal destino dell’azienda; hanno, in alternativa, il potere di influire sulle sue prestazioni, in modo favorevole o sfavorevole.
In ogni caso tra gli stakeholder rientrano i dipendenti, gli investitori, i clienti, i sindacati, i fornitori, i legislatori, i cittadini e le comunità locali, diverse organizzazioni private e le amministrazioni pubbliche. I benefìci e i danni costituiscono un flusso biunivoco tra essi e l’azienda, secondo Post, Preston e Sachs – anche gli stakeholder involontari, come quelli che abitano in prossimità di una fabbrica, danno un contributo tollerando la presenza dell’azienda e ricevendone di conseguenza benefìci o danni. Essi possono essere legati tra loro e all’azienda, e possono scontrarsi aspramente su una determinata questione. Le comunità sono fatte così.
01 maggio 2011 | Az franchising |