Riace, il futuro è presente
Naturalizzare «il globale» tra immigrazione e sviluppo interculturale
A Berlino, Wim Wenders ha dichiarato che «la vera utopia non è la caduta del muro, ma quello che è stato realizzato in alcuni paesi della Calabria, Riace in testa». Tanto da farci un film. Ma non si tratta di utopia. Lo sviluppo interculturale proposto dal modello Riace è un futuro che si è già fatto presente e reinterpreta in modo originale e sorprendente le sfide della globalizzazione.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053831
- Anno: 2010
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 192
- Tag: Antropologia Sociologia Etnologia Immigrazione Futuro Globalizzazione
A Riace e nei comuni limitrofi della Calabria jonica stranieri e rifugiati vengono accolti, anziché respinti, e per di più invitati a cooperare nel rilancio socio-economico del territorio. Questa straordinaria esperienza ha attirato l’attenzione dei media, dalla carta stampata alla televisione, sino al cinema, con Il volo di Wim Wenders. Nel libro essa viene osservata scandendone gli aspetti istituzionali e politici, antropologici e comunicativi, nel tentativo di tracciare un progetto di sviluppo durevole. Il codice emotivo dell’ospitalità ai rifugiati, le strategie di ripopolazione dei luoghi svuotati dall’emigrazione, il tacito operare di saperi antichi della gente di Calabria, offrono una ricetta di convivenza e comprensione reciproca delle diversità che fa da modello all’Italia, se non pure all’Europa e al mondo intero. Grazie anche a una progettazione legislativa regionale d’avanguardia, quello di Riace si presenta insomma come un vero caso politico. Una ricetta tutta nostrana, che risponde al globale senza autodistruttivi cedimenti, né vane chiusure, ma naturalizzandolo, offrendogli dimora e adattandolo attraverso la forza di una tradizione che acquisisce consapevolezza del suo passato e simultaneamente si rinnova.
1. Fiori nel deserto. L’intercultura negli spazi della ripopolazione - Prologo. Temi, fatti, personaggi di una sfida politico-culturale - «Naturalizzare» a parole - Genealogie territoriali e propellenti etnici - Immissioni. Odori, esalazioni, rumori, volti stranieri, gesti altrui, immigrati e affini - Promiscuità, equivalenze, vivisezioni antropiche - Dall’integrazione all’«intelligrazione» - Incanalare l’immigrazione in un progetto di «ripopolazione» - Traduzione interculturale, tradizioni e grammatica dei diritti - 2. Tra petali e spine. La mappa legislativa, un’escursione guidata - Al via - Partenza lenta, sui binari - Legiferare programmando, verificando e riprogrammando. Una pista nomotetica tra cime (politiche) e precipizi (antropologici) - Entrando nella «sala macchine» della fabbrica legislativa - Decelerazioni programmatiche - Simmetrie interculturali. Un ideale categorico - Laicità muta. La casella vuota della religione - 3. Frutti maturi e prossime gemme. Il fatto e il fattibile, quasi un diario di viaggio - Cartografia - Quel che c’è - Quel che potrebbe farsi. Il lavoro come attività e luogo simbolico di intelligrazione - Proposte per un commercio equo e interculturale - Unidimensionalità dello spazio-tempo, incorporamento della mente e semiosi interculturale - Il reciproco condono dell’alterità. Le culture intercorporate - Turismo responsabile o turismo responsivo? - Epilogo breve - Appendice - Bibliografia
Fiori nel deserto.
L’intercultura negli spazi della ripopolazione
Prologo. Temi, fatti, personaggi di una sfida politico-culturale
Spazio, intercultura, politica, semiotica, antropologia e diritto.
Questi i temi, le chiavi di lettura che incorniciano i contenuti del libro. Cifre proprie di una trattazione generale, astratta, teorica, che invece qui verranno messe al servizio di un evento particolare e, per certi versi, insospettabile. La loro progressiva entrata in scena sarà scandita da uno sguardo sul Meridione d’Italia e – una volta tanto – su una sua esperienza encomiabile.
Non molti ne sono al corrente. Ma a Riace, in Calabria, si sta tentando nientemeno di naturalizzare la globalizzazione, di cavalcarla e addomesticarla, piegandola e controllandone gli effetti per soddisfare (anche) esigenze locali. Un’impresa inedita. Una storia vera, che accade adesso. Una vicenda straordinaria che, in un tempo costellato di rigurgiti xenofobi, riesce invece a far sposare sviluppo e immigrazione nel segno dell’ospitalità, dell’impegno umanitario e della convivenza interculturale. C’è ne abbastanza per rimanere increduli. Cercherò invece di mostrare che è proprio così, l’intelligenza sa germogliare anche ai margini, mettendo radici proprio sull’orlo di quel che manca, colmando di voci nuove i silenzi di terre orfane di benessere. E non solo, in gioco vi è assai più del riscatto dei luoghi. L’esperienza di Riace apre una pista verso il futuro. I suoi semi possono essere raccolti tra le pieghe dei gesti di chi ne è stato attore, inaugurando in solitaria un nuovo cammino, per essere sparsi fuori della Calabria, verso l’Italia e fin oltre i confini dell’Europa. Gli orizzonti però guardano in faccia il presente sospingendosi alle sue spalle, verso il passato, a ricapitolare il tragitto che domani potrà condurre a raggiungerli. E poiché ogni storia ha un inizio, da lì bisogna che si cominci.
Da qualche tempo, la risacca del mondo, l’onda lunga dei suoi avvenimenti, distanti eppure resi vicini dalle dinamiche dell’interdipendenza globale, si infrange anche sulle coste calabresi, materializzata in chi chiede asilo, fugge dai propri paesi, dalla guerra come dalla miseria. E – non ci si stupisca – capita anche che trovi ascolto, addirittura una possibilità di innesto, una prospettiva di trasformazione, rigenerazione, in sintesi, di naturalizzazione. Cosa significhi esattamente naturalizzare il globale nell’inconsueto contesto di Riace al momento sarà lasciato all’intuizione. Procedendo, il senso si chiarirà da sé grazie alla forza intrinseca della narrazione, degli avvenimenti consumati in quel piccolo borgo. Per adesso basta dire che, contrariamente a quanto accade da molte parti nell’Italia di oggi, in quel luogo del Meridione gli stranieri, anziché essere respinti e demonizzati, nientemeno vengono invitati, accolti, ospitati e inseriti nel tessuto urbano e demotico. Per di più, gli si offre casa, lavoro, istruzione, assistenza sanitaria e altro ancora. In poche parole, si fa loro dono del proprio spazio vitale. Succede così che individui provenienti da posti lontanissimi dalla Calabria, spesso con il solo bagaglio dei loro mondi immaginari, si insinuino d’un tratto tra le stradine di Riace, tra le sue mura, mischiando le proprie voci, i propri gesti a quelli degli attori locali, ai ritmi della loro vita di sempre. Lì, questi forestieri prendono dimora.
24 aprile 2010 | Corriere del Mezzogiorno |