Omofobia
Storia e critica di un pregiudizio
postfazione di Stefano Fabeni
Un’analisi critica dell’omofobia. Un libro che fa luce sulla realtà di un fenomeno troppo a lungo ignorato della nostra storia, e ci obbliga a prendere posizione in un dibattito politico oggi più che mai di attualità.
- ISBN: 9788822055132
- Anno: 2009
- Mese: maggio
- Formato: 12,5 x 21 cm
- Pagine: 168
- Tag: Sociologia Sessualità Omofobia Attualità
L’omofobia, per dirla con Foucault, è un dispositivo e, come tale, viene sottoposta da Borrillo a un incessante lavoro critico che convoca non solo il diritto ma, al tempo stesso, l’intero spettro delle scienze umane: antropologia, filosofia, storia delle religioni, psicoanalisi. È solo a questa condizione, in effetti, che diventa possibile procedere a una vera e propria decostruzione dell’atteggiamento omofobo. Attraverso le quattro grandi sezioni in cui si articola il testo, l’autore interroga l’odio dell’omosessuale come fenomeno che attraversa e struttura una gran parte della nostra storia e dei nostri comportamenti quotidiani; l’omofobia si situa, al tempo stesso, sul piano dell’irriflesso e del simbolico, dell’habitus e dell’immaginario: in altre parole, di quell’ideologia dominante che Daniel Borrillo mette radicalmente in questione.
Introduzione - 1. Definizione e questioni terminologiche - Omofobia irrazionale e omofobia cognitiva - Omofobia generale e omofobia specifica - Omofobia, sessismo e eterosessismo - Razzismo, xenofobia, classismo e omofobia - 2. Origini ed elementi precursori - Il mondo greco-romano - La tradizione giudaico-cristiana - La Chiesa cattolica contemporanea e la condanna dell’omosessualità - 3. Le dottrine eterosessiste e l’ideologia omofobica - L’omofobia clinica - L’omofobia antropologica - L’omofobia liberale - L’omofobia «burocratica»: lo stalinismo - L’omofobia al suo parossismo: «l’olocausto gay» - 4. Le cause dell’omofobia - L’omofobia come elemento costitutivo dell’identità maschile - L’omofobia, guardiana del differenzialismo sessuale - L’omofobia e lo spettro della disintegrazione psichica e sociale - La personalità omofobica - L’omofobia interiorizzata - Conclusione: Dei mezzi per lottare contro l’omofobia - La prevenzione dell’omofobia - La sanzione dei comportamenti omofobi - La legge contro l’omofobia e l’identità gay - L’Italia delle omofobie, postfazione di Stefano Fabeni - Introduzione - La legge del silenzio - La legge della Chiesa - Omofobia di destra, omofobia di sinistra - Conclusione - Bibliografia
Introduzione
L’omofobia è l’atteggiamento di ostilità nei confronti degli omosessuali, uomini o donne che siano. Il termine sembra sia stato utilizzato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1971, ma è solo alla fine degli anni ’80 che appare nei dizionari di lingua francese. Per il Nouveau Petit Robert, omofobo è colui che prova un sentimento di avversione per gli omosessuali e per il Petit Larousse l’omofobia è il rifiuto dell’omosessualità, l’ostilità sistematica nei confronti degli omosessuali. Se la componente primaria dell’omofobia è effettivamente un rifiuto irrazionale o addirittura un odio verso gay e lesbiche, essa non può tuttavia essere ridotta solo a questo.
Come la xenofobia, il razzismo o l’antisemitismo, l’omofobia è una manifestazione arbitraria che consiste nel definire l’altro come «contrario», inferiore o anomalo. Nella sua irriducibile differenza, l’altro viene situato altrove, al di fuori dell’ambito comune degli esseri umani. Crimine abominevole, amori vergognosi, gusti depravati, costumi infami, passione ignominiosa, peccato contro natura, vizio sodomitico, sono altrettante designazioni che per secoli hanno definito il desiderio e le relazioni sessuali o affettive tra persone dello stesso sesso. Relegato a emarginato o a eccentrico, l’omosessuale viene designato dalla norma sociale come un essere fuori dal comune, strano o strambo. E, siccome il male viene sempre da fuori, in Francia l’omosessualità è stata chiamata «vizio italiano», «costume arabo» o «coloniale». Come il nero, l’arabo o lo straniero, l’omosessuale è sempre l’altro, il differente, quello rispetto al quale qualunque identificazione resta impensabile.
La recente preoccupazione per tale ostilità nei confronti dei gay e delle lesbiche modifica la maniera in cui la questione è stata finora affrontata. Invece di concentrarsi, come in passato, sullo studio del comportamento omosessuale in quanto deviante, l’attenzione viene ormai posta sulle ragioni che hanno portato a considerare come deviante proprio questa forma di sessualità: lo spostamento dell’oggetto d’analisi verso l’omofobia corrisponde a un cambiamento tanto epistemologico quanto politico. Epistemologico, dal momento che non si tratta tanto di conoscere o di comprendere l’origine e il funzionamento dell’omosessualità, quanto di analizzare l’ostilità suscitata da questa specifica forma di orientamento sessuale. Politico, poiché non è più la questione omosessuale (in fin dei conti banale dal punto di vista istituzionale) ma proprio la questione omofobica che merita oggi di essere affrontata in quanto tale.
Che si tratti di una scelta di vita sessuale o di una caratteristica strutturale del desiderio erotico verso le persone dello stesso sesso, l’omosessualità va oramai considerata una forma di sessualità legittima al pari dell’eterosessualità. Null’altro, in effetti, che la semplice manifestazione del pluralismo sessuale, una variante costante e regolare del la sessualità umana. In quanto atti tra adulti consenzienti, i comportamenti omoerotici sono protetti, perlomeno in Francia, allo stesso titolo di ogni altra manifestazione della vita privata. Come attributo della personalità, essa dovrebbe finire con l’essere ritenuta istituzionalmente irrilevante. Come il colore della pelle, l’appartenenza religiosa o l’origine etnica, l’omosessualità deve essere considerata un dato non pertinente nella costruzione politica del cittadino e nella qualificazione del soggetto di diritto.
Eppure, se di fatto l’esercizio di una prerogativa o il godimento di un diritto non sono più subordinati all’appartenenza, reale o presunta, a una razza, a uno dei due sessi, a una religione, a un’opinione politica o a una classe sociale, l’omosessualità – al contrario – permane un ostacolo alla piena realizzazione dei diritti. E l’omofobia, all’origine di questo trattamento discriminatorio, svolge un ruolo centrale come forma di interiorizzazione derivante dalla gerarchizzazione delle sessualità: l’eterosessualità ha un rango superiore in quanto situata sul piano del naturale, dell’ovvio. Il dizionario definisce l’eterosessualità come «la sessualità (considerata normale) dell’eterosessuale» e l’eterosessuale come colui che «prova un’attrazione sessuale (considerata normale) per gli individui del sesso opposto»; l’omosessualità è invece priva di un tale connotato di normalità. Nel dizionario dei sinonimi il termine «eterosessualità» non appare da nessuna parte. Al contrario, androgamia, androfilia, omofilia, inversione, pederastia, pedofilia, uranismo, androfobia, lesbismo, saffismo, tribadismo sono altrettanti termini equivalenti di «omosessualità». Per qualunque dizionario l’eterosessuale è il semplice opposto dell’omosessuale ma i vocaboli per designare quest’ultimo abbondano: gay, frocio, culo, zia, culattone, invertito, pederasta, sodomita, checca, finocchio, diverso, lesbica, tribade, bisessuale. Questa sproporzione linguistica rivela l’operazione ideologica per cui si designa in modo sovrabbondante quello che appare problematico e si rinvia all’implicito quello che invece si pretende naturale ed evidente.
La differenza omo/etero non viene soltanto constatata, ma serve soprattutto a costruire un regime delle sessualità in cui solo i comportamenti eterosessuali meritano di essere considerati un modello sociale di riferimento per ogni altra forma di sessualità. È così che, in questo ordine sessuale, il sesso biologico (maschio/femmina) determina al tempo stesso un desiderio sessuale univoco (etero) e un comportamento sociale specifico (maschile/femminile). Sessismo e omofobia appaiono quindi come le componenti necessarie del regime binario delle sessualità. La divisione dei generi e il desiderio (etero)sessuale funzionano come dispositivi di riproduzione dell’ordine sociale prima ancora di essere dispositivi di riproduzione biologica della specie. L’omofobia diviene in questo senso la sentinella delle frontiere sessuali (etero/omo) e di quelle del genere (maschile/femminile). Ecco perché gli omosessuali non sono più le sole vittime della violenza omofoba, la quale si scaglia egualmente contro tutti coloro che non si adeguano al classico ordine dei generi: travestiti, transessuali, bisessuali, donne eterosessuali dalla forte personalità come uomini eterosessuali «delicati» o dotati di una grande sensibilità.
L’omofobia è un fenomeno complesso e vario, che ritroviamo nelle battute volgari attraverso le quali si prende di mira l’effeminato, ma può anche assumere forme più brutali e spingersi fino alla volontà di sterminio, come è stato il caso della Germania nazista. L’omofobia, come ogni altra forma di esclusione, non si limita a constatare una differenza: la interpreta e ne trae delle conclusioni di ordine materiale. Così, se l’omosessuale è colpevole del peccato, la sua condanna morale appare necessaria e la purificazione attraverso il fuoco dell’inquisizione ne è la logica conseguenza. Se viene assimilato al criminale, il suo destino naturale resta, nel migliore dei casi, l’ostracismo e, nel peggiore, la pena capitale, come avviene ancora in alcuni paesi. Considerato un malato, l’omosessuale costituisce l’oggetto dello studio medico e deve sottoporsi alle terapie che la scienza gli prescrive, in particolare l’elettrochoc, che è stato utilizzato in Occidente fino agli anni ’60. Se alcune forme più raffinate di omofobia ostentano una tolleranza nei confronti di gay e lesbiche, è solo a condizione di attribuire loro un posto marginale e silenzioso, quello di una sessualità considerata non del tutto matura o secondaria. Accettata nella sfera intima della vita privata, l’omosessualità diviene insopportabile nel momento in cui rivendica pubblicamente la sua equivalenza con l’eterosessualità.
L’omofobia è la paura che quest’identità di valore venga riconosciuta. Essa si manifesta, tra le altre cose, sotto forma di angoscia per la scomparsa della frontiera e della gerarchia dell’ordine eterosessuale. Essa si esprime attraverso l’insulto e l’offesa quotidiana ma anche negli scritti di professori ed esperti o nel corso di dibattiti pubblici. L’omofobia è familiare, intorno ad essa vi è ancora consenso e la si considera un fenomeno banale: se ben pochi sono i genitori che si preoccupano quando scoprono l’omofobia di un
figlio adolescente, l’omosessualità di un figlio o di una figlia è ancora una fonte di drammi in famiglia e finisce molto spesso con la visita da uno psicoanalista.
Invisibile, quotidiana, condivisa, l’omofobia fa parte del senso comune, sebbene finisca ugualmente con il procurare una forma di alienazione certa degli stessi eterosessuali. È per queste ragioni che è indispensabile metterla in questione, e ciò sia per quanto riguarda le prese di posizione e i comportamenti che le strutture ideologiche che la accompagnano. Che cos’è l’omofobia? Quali sono i suoi rapporti con altre forme di stigmatizzazione? Quali ne sono le origini? Come e a partire da quali discorsi la supremazia eterosessuale e il correlato deprezzamento dell’omosessualità sono stati edificati? Come definire la personalità omofobica? E attraverso quali mezzi possiamo opporci a questa forma di violenza? Ecco le principali questioni alle quali ci sforzeremo di rispondere attraverso i cinque capitoli in cui si articola il presente testo, che include anche misure concrete attuate nel contesto francese, e nella conclusione, dove ci si concentrerà invece sul contesto italiano.
Cominceremo quindi dall’analisi delle possibili definizioni e dei problemi metodologici che si incontrano nel tentativo di circoscrivere il fenomeno omofobia e di paragonarlo ad altre forme di esclusione (come il razzismo, l’antisemitismo, il sessismo o la xenofobia) al fine di comprendere meglio la portata della questione e le sue prospettive.
Ci dedicheremo poi allo studio delle origini dell’odio omofobico. La relativa tolleranza di cui le relazioni omosessuali hanno goduto nel mondo pagano contrasta fortemente con l’ostilità del cristianesimo trionfante. La condanna della sodomia nella tradizione giudaico-cristiana – chiave di volta del sistema repressivo – appare come l’elemento precursore centrale delle diverse forme di omofobia.
Analizzeremo quindi l’ideologia eterosessista trasmessa dalle principali dottrine che sostituiscono la nozione di «vizio sodomitico» con quella di «perversione sessuale» e fanno ormai dell’omosessualità un «incidente nell’evoluzione affettiva», una «regressione della cultura amorosa», una «semplice scelta di vita privata», un «vizio borghese» o un «pericolo per la razza». Non è più in nome dell’ordine naturale o della religione che gay e lesbiche verranno perseguitati ma in nome della psichiatria, dell’antropologia, della coscienza di classe e/o dell’igiene del Reich: prendendo il posto della teologia, non faranno che rendere di nuovo attuale l’odio omofobico. La doppia dimensione della questione – il rifiuto irrazionale (affettivo) da una parte, la costruzione ideologica (cognitiva) dall’altra – ci obbliga a prendere in considerazione sia il livello individuale che quello sociale dell’omofobia. In questo senso, verranno analizzate nella quarta parte le predisposizioni psicologiche della personalità omofobica e gli elementi dell’ambiente eterosessista.
Per finire, prenderemo in esame, a mo’ di conclusione, le strategie istituzionali, preventive e/o repressive, in grado di opporsi a questa forma particolare di ostilità e di esclusione.
Il nostro lavoro si propone solo di fornire alcuni elementi di riflessione a proposito di un fenomeno la cui elaborazione teorica viene svolgendosi proprio in questi anni. Le citazioni storiche, quanto le referenze teoriche del discorso omofobico, sono necessariamente incomplete e aperte a ulteriori approfondimenti. L’ostilità nei confronti di tutte le forme di «devianza sessuale» – e dell’omosessualità in particolare – è antica almeno quanto la civiltà giudaico- cristiana. Il solo censimento di tutte queste manifestazioni richiederebbe chissà quanti volumi. I singoli esempi tratti dalla Storia hanno come solo fine quello di fornire alla dimostrazione teorica un’illustrazione, senza alcuna pretesa di esaustività. Più che un’inchiesta sociologica, un’analisi psicologica o uno studio giuridico, questo lavoro intende offrire il punto sulla questione dell’omofobia oggi.
01 novembre 2009 | Critica Liberale |
15 ottobre 2009 | La Repubblica |
21 settembre 2009 | La Gazzetta del Mezzogiorno |