Aa. Vv.
SA Sovremennaja Arkhitektura 1926-1930
a cura di Guido Canella e Maurizio Meriggi
Un'antologia di articoli della rivista «SA» 1926-1930 con scritti di: Ginzburg, Pasternak, Gan, Barsc, Vladimirov, Mendelsohn, Khiger, Novickij, Le Corbusier, Malevic, Lisickij, Leonidov, Nikol'skij, Sokolov, Okhitovic e altri.
- Collana: Architettura e Città
- ISBN: 9788822006141
- Anno: 2007
- Mese: giugno
- Formato: 24 x 22 cm
- Pagine: 612
- Note: illustrato in b/n
- Tag: Storia Arte Architettura Urbanistica Le Corbusier
Il volume raccoglie in traduzione italiana un'ampia antologia di articoli dalla rivista "SA" 1926-1930 (Sovremennaja Arkhitektura. Architettura Moderna) organo dell'associazione OSA (Associazione degli Architetti Moderni) principale raggruppamento del movimento costruttivista dell'avanguardia sovietica. La rivista documenta il dibattito in corso in seno al movimento "Costruttivista" circa gli indirizzi che l'architettura e l'urbanistica avrebbero dovuto assumere nel corrispondere agli obiettivi fissati dalla pianificazione. Un dibattito esteso a diverse discipline (architettura, urbanistica, economia, pittura, cinema e teatro) e restituito attraverso il confronto tra i progetti dei maestri del costruttivismo - Aleksandr Vesnin, Moisej Ginzburg, Ilja Golosov, Ivan Leonidov e altri esponenti del gruppo OSA - con quelli di alcuni dei maggiori rappresentanti del movimento moderno - da Le Corbusier a Walter Gropius, da Hannes Meyer ad Andre Lurçat, da Theo Van Doesburg a Frank Lloyd Wright e altri. Altresì la rivista documenta con numeri monografici lo scenario delle trasformazioni e della modernizzazione in corso in URSS nella seconda metà degli anni '20, attraverso inchieste su argomenti specifici: nuove tipologie (comune di abitazione, club operai e palazzi della cultura), grandi progetti tecnici (diga sul Dnepr, 1929), concorso per la Città Verde (Mosca, 1929-30), concorsi e mostre internazionali (Centrosojuz, Palazzo delle Nazioni, Esposizione Weissenhof di Stoccarda), innovazioni nella tecnica delle costruzioni (tetto piano, sistemi costruttivi), problemi della forma del nuovo insediamento (ipotesi disurbanista, concorsi di Magnitogorsk e Avtostroj, 1929-30).
Motivi di un'antologia - G. C. - Moisej Ginzburg o dell'eurocostruttivismo - Guido Canella - “SA” - Sovremennaja Arkhitektura 1926-1930 - Note alla lettura dell'antologia - Murizio Meriggi - “SA” - Sovremennaja Arkhitektura 1926-1930 - Antologia Sovremmennaja Arkhitektura 1926-1931 - Indice generale dei numeri della rivista - Indice dei nomi
Motivi di un’antologia
Nel mio primo viaggio in Russia nel 1961, al seguito di una delegazione del Collegio degli architetti di Milano guidata da Gio Ponti, la prima tappa fu a Budapest dove riuscii ad acquistare la raccolta della rivista “Das Neue Frankfurt”. Quel viaggio indimenticabile fece poi tappa a Kiev, Mosca, Leningrado. A Mosca, alla richiesta avanzata (con gli amici Achilli, Asti, Aulenti e Cagna) di sollevarci dagli impegni ufficiali per poter visitare le superstiti architetture del Costruttivismo, Gio Ponti molto generosamente mise a disposizione uno dei due pullman, restringendo gli altri viaggiatori nell’altro.
Di quell’esperienza resta il numero 262 di “Casabella-Continuità” dedicato all’URSS nell’aprile dell’anno successivo. Ma l’interesse per l’architettura del Costruttivismo mi incalzava ormai da una decina d’anni, da quando nella biblioteca di mio fratello avevo potuto consultare alcune pubblicazioni sull’argomento precedenti l’Ultima guerra: le tre cartelle a cura di Jean Bodovici nella serie L’Architecture Vivante, edite a Parigi da Morancé tra il 1926 e il 1930, e Russland. Die Rekonstruktion der Architektur in der Sowjetunion di El Lisickij, edito a Vienna da Scholl nel 1930.
Finché nel 1969, attraverso l’amico greco Dimitris Talaganis, che studiava architettura in URSS, ottenni i microfilm dell’intera collezione di “SA”. Da questa selezionai quei testi che mi parevano particolarmente interessanti e che feci tradurre a Costantino Di Paola. L’intenzione era quella di pubblicare, nella collana “Architettura e città” dell’editore Dedalo di Bari, tre antologie di riviste impegnate nella diffusione dell’architettura moderna in particolari realtà nazionali. La prima era Das Neue Frankfurt 1926-1931 a cura di Aldo Rossi. Questi scrisse ad Ernst May, dal quale ottenne anche la promessa di una presentazione, ma poi, per un contenzioso sulla traduzione, decise di rinunciare, così che l’antologia uscì nel 1975 con altra curatela. La seconda A.C. Documentos de Actividad Contemporánea 1931-1937 a cura di Salvador Tarragó Cid, che apparve nel 1978. La terza SA. Sovremennaja Arkhitektura 1926-1930 che, più volte annunciata ma per vari impegni rimandata, vede ora finalmente la luce grazie all’aiuto di Maurizio Meriggi.
Tuttavia nel frattempo m’è capitato di consultare più volte la traduzione inedita di “SA”. In particolare per il saggio introduttivo a Saggi sull’architettura costruttivista di Moisej Ja. Ginzburg, a cura di Emilio Battisti ed edito da Feltrinelli nel 1977, dove per rimandi e note mi sono riferito ai testi nel frattempo tradotti e pubblicati. Tra essi, specialmente dalla metà degli anni Sessanta, sulla rivista “Rassegna Sovietica”, a cura di Vieri Quilici, parte dei quali si trova raccolta nell’antologia L’architettura del costruttivismo, curata e introdotta nel 1969 dallo stesso Quilici, e successivamente: La costruzione della città sovietica, a cura di Paolo Ceccarelli, Marsilio. Padova 1970; La città sovietica 1935- 1937, a cura di Marco De Michelis ed Ernesto Pasini, Marsilio, Padova 1976; Città russa e città sovietica, a cura di Vieri Quilici, Mazzotta, Milano 1976. Pertanto, esistono forse ragionevoli motivi per dar corso oggi, a distanza di oltre trent’anni, a quell’iniziativa programmata nel 1969? Ritengo di sì.
Nella fase presente, che si pretende definitivamente immune dal contagio dell’ideologia, un primo motivo invita a rileggere, proprio attraverso “SA” – che ne fornisce la prova di maggior evidenza –, il periodo nel quale lo sviluppo del Movimento Moderno risulta fortemente intriso di ideologia, internazionalmente e nelle differenti realtà nazionali. Del resto, non è forse vero che gli accademici russi (Fomin, ·cˇuko, ·cˇusev, Îoltovskij), vituperati sulle colonne di “SA” per essersi riciclati “moderni”, quando agli inizi il regime socialista pareva inclinare verso un’arte radicalmente nuova, riuscivano a produrre le opere migliori proprio in forza dell’ideologia?
Un secondo motivo propone la lettura critica di quella storiografia che assume la vicenda postrivoluzionaria sovietica come soggetta in blocco a un clima orwelliano, dal quale dedurre la fatale sconfitta delle avanguardie culturali. Così che, anche per quanto riguarda l’architettura, assunta come prova di un destino segnato, il suo contributo originale viene ridotto agli impulsi ricorrenti nell’affermazione del Movimento Moderno in Occidente e il Costruttivismo viene depurato da ogni implicazione che non sia quella puramente figurativa. Infatti nella stessa storiografia, da punti di vista anche diversi, si intende la fase postmoderna come quella che avrebbe concluso il ciclo del Movimento Moderno nel comune canone funzionalista.
Ancora nella fase presente, che trova sempre più scaduta l’efficacia funzionale del progetto di architettura a favore del suo significato emblematico, un terzo motivo induce a riflettere sull’istanza comportamentale che, all’interno stesso dell’avanguardia architettonica sovietica, contrappose il dualismo dell’ala formalista dell’ASNOVA al monismo di quella funzionalista dell’OSA. Quest’ultima trincerata dietro tematiche tipologiche assunte volta a volta come strategiche in una fase di transizione o di definitiva affermazione del socialismo: dalla casa-comune al club operaio, dalla città verde al disurbanismo che si proponeva di annullare la contrapposizione tra città e campagna. Tematiche e visioni, queste, da considerare velleitarie e perfino risibili, se osservate oggi da un’urbanistica che sconta come irreversibili la gravitazione e la diffusione degli insediamenti attorno alle megalopoli di una società ormai globalizzata.
Un quarto motivo riguarda l’accusa rivolta da più parti all’OSA e a “SA” di aver cercato nello sviluppo tecnico dell’Occidente, e particolarmente in quello nordamericano, le premesse a una migliore esistenza possibile. Accusa che, allora come oggi, liquida l’utilità dell’architettura, cioè della sua funzionalità non particolaristica ma civile, nel proporsi di differenziare le condizioni di vita coerentemente ad ogni contesto sociale e, quindi, la credibilità stessa della ricerca progettuale che non sia tipologicamente convenzionale e formalmente eccentrica. Non a caso, a fronte di un certo vago presentimento di sconfitta, che aleggiava tra gli architetti costruttivisti dotati di estrazione borghese e studi “regolari”, come Ginzburg, in quelli di origine rurale, come Mel’nikov e Leonidov, persistette più a lungo la certezza (non diversa da quella di Majakovskij consumatasi nel suicidio) che una rivoluzione tanto liberatoria dalle contraddizioni di classe non potesse mancare di estendersi all’intero pianeta. Da qui la rispettiva estremizzazione tipologica e figurativa. Finché, i progetti presentati nel 1934 al concorso per la sede del NarkomtjaÏprom sulla piazza Rossa di Mosca, nonostante la comune formazione alla scuola del VKhUTEMAS, scoprivano i due architetti, ancora una volta in opposizione, a recitare in straniato stile epico. Non tanto diversamente, forse, dai due protagonisti nella Fin de partie di Samuel Beckett, dove l’uno ha bisogno dell’altro per celebrare la fine dell’illusione.