Incontri con la filologia del passato
Una pregevole raccolta di studi sulla storia della filologia classica. Grazie anche a nuovi documenti l’autore «incontra» classicisti del passato – filologi ma anche papirologi, storici, archeologi – che hanno lasciato una traccia profonda nel loro campo di studio.
- Collana: Paradosis
- ISBN: 9788822058195
- Anno: 2012
- Mese: luglio
- Formato: 14,5 x 21 cm
- Pagine: 944
- Note: stampato su carta vergata pregiata-edizione numerata in 650 esemplari
- Tag: Storia Filologia Storia antica Classicismo Papirologia
La prima parte del libro corre lungo il filo della modernità all’insegna di Callimaco «moderno» tra i classici. La seconda parte è dedicata a una serie di antichisti italiani a partire dalla fine del XVIII secolo. Seguono vicende della filologia, della papirologia e dell’archeologia britannica nella grande èra che va dal regno di Vittoria al secondo dopoguerra. Wilamowitz e la sua eredità sono al centro del volume, mentre in chiusura sono commentate alcune istantanee recuperate dalla belle époque degli studi classici. In biblioteche inglesi e tedesche l’autore ha potuto esaminare nuovi documenti relativi alla storia dell’antichistica. Di molti sono qui forniti gli estremi per la prima volta. Altri sono pubblicati per esteso: come una lettera indirizzata da Wilamowitz al papirologo inglese A.S. Hunt allo scoppio della Prima guerra mondiale, o le memorie in precedenza inedite del grecista oxoniense J.U. Powell, editore dei frammenti dei poeti ellenistici.
Premessa - Filologia classica e altro - I. DALLA RES PUBLICA LITTERARUM - Iter Callimacheum - Callimaco redivivo tra Thomas Stanley e Richard Bentley - J.H. Withof, Callimaco e i Telchini - In margine a un libro sulle ideologie del classicismo - II. ANTICHISTI ITALIANI - Cesarotti e la questione omerica - Il cavallo alato d’Arsinoe - Rileggendo Untersteiner interprete di Pindaro - Una lettera inedita di M.A. Levi a A.S. Hunt - Vogliano filologo e la Germania - Enzo Degani e l’epigramma greco - Gigante interprete di poesia antica - Ricordo di Dario Del Corno - III. DOCUMENTI PER LA STORIA DEGLI STUDI CLASSICI IN INGHILTERRA - Some Oxford Scholars: una conferenza inedita di J.U. Powell - Mommsen a Cambridge - B.P. Grenfell (1869-1926) e A.S. Hunt (1871-1934) - Housman and A.S. Hunt - La dedica dell’Antigonos Gonatas di W.W. Tarn - J.U. Powell, Wilamowitz, e i Collectanea Alexandrina - Wilamowitz e Powell: un nuovo documento - Una lettera inedita di Sir W.M. Ramsay a J.U. Powell, ovvero il Dr. Jekyll tra Cnosso e Oxford - J.D. Denniston a J.U. Powell: osservazioni parzialmente inedite su Filostrato - Edgar Lobel (1888-1982) - Ricordo di Sir Hugh Lloyd-Jones - IV. L’OMBRA DI WILAMOWITZ - Wilamowitz a Hunt: la pace dei cento anni nel suo ultimo giorno - Ulrich, Tycho, e J.S.M. - Wilamowitz a Norden su Rudolf Pfeiffer - Wilamowitz a Cirene: un dettaglio - Ippocrate, Prognostico: voci dalla Graeca di Wilamowitz - “Gregorium diligo”: Wilamowitz e i tre Gregori - Due aggiunte alla bibliografia wilamowitziana - Postilla bibliografica wilamowitziana - L’antichistica berlinese nella formazione di P.O. Kristeller - Maas e Filinna - Una curiosità bibliografica maasiana - Contributi inediti di Paul Maas al testo dell’epitafio per i caduti ateniesi del 480-479 (26 I Meiggs-Lewis2 = ‘Sim.’ - FGE 764-767 = CEG I 2ii = IG3 I 2, 503/504 A I) - Repertorio di libri ed estratti postillati da Paul Maas - Repertorio di carte di Paul Maas e di documenti da lui provenienti o a lui indirizzati - L’ombra di Wilamowitz - V. ENVOY - Nel Peloponneso con Wilhelm Dörpfeld - Filologia del futuro remoto e nuova escatologia - Dalle Memorie di Otto Kern, ovvero “Peloponnesreise 1890” - Indice dei nomi moderni
La filologia non è un mestiere (quella «professione di filologo» che incorreva negli strali di Nietzsche in Wir Philologen), non è un sapere puramente tecnico (Bruno Gentili, se mai, ne parlava come di un'arte), non è un metodo acquisito una volta per tutte, non è una scienza esatta, e neanche è l'incarnazione del puro piacere della ricerca. Sento spesso dire che scopo ultimo della ricerca sarebbe la ricerca stessa. Capisco il senso sotteso a questa formulazione ma credo che ci sia qui un eccesso di understatement. Non sarebbe più semplice confessare che scopo della ricerca è la scoperta, e che attraverso la scoperta il vivente aspira a capire che cosa gli permetta di perpetuarsi e di espandersi?
Per fortuna non tocca a me farlo, ma se fossi costretto a dire che cos'è secondo me la filologia direi (con tutte le riserve del caso) che è un saper guardare intensivo attraverso le testimonianze del tempo, verso un passato sempre più remoto e accostabile tramite leggi vieppiù fondamentali. È una pratica di intelligenza e di correttezza e un po' anche uno stile di vita volto alla ricerca della realtà intrinseca alla complessità. C'è nella filologia per quanto possa sembrare esagerato dirlo un intento universale e non sarà un caso che il primo a definirsi filovlogo" non fosse né Zenodoto né Callimaco ma il geometra e cosmografo Eratostene, che mentre poetava con la maestria di un Callimaco misurava con sbalorditiva approssimazione le dimensioni del mondo. Molti tra i moderni eredi dello scienziato Eratostene sono alla ricerca di una «teoria del tutto», o teoria definitiva come la chiama Steven Weinberg, sia essa la teoria delle stringhe o altro. Credo che i filologi, anche loro eredi diretti di Eratostene, non possano restare fuori da questo tipo di orizzonte conoscitivo, in cui del resto già si iscrivevano lo Scaligero e Bentley. A sua volta la moderna cosmologia, come apprendiamo dalla relatività ristretta einsteiniana, è essa stessa inevitabilmente studio del passato, data la natura finita della velocità della luce; e nient'altro che passato che ci arriva direttamente dalla profondità del tempo è il cielo stellato, oggetto comune della contemplazione di tutti gli scienziati, dello spirito e della natura.
Neppure è un caso che l'umanesimo filologico, legato com'è all'improvviso viaggio di dotti e libri da oltralpe e Bisanzio all'Italia del XV secolo, nascesse in coincidenza con l'esplosione del vecchio orizzonte cosmico nell'era dei grandi viaggi e della rivoluzione copernicana. Oggi che i confini del mondo si sono così drammaticamente ristretti e che viaggiare ha perso molto del suo senso, sempre più l'esplorazione si va trasformando (lo dico da osservatore molto esterno ma la cosa è sotto gli occhi di tutti) in ricerca di altri luoghi e di altra vita al di là dello spazio. Diversamente dal mondo alla vigilia delle grandi scoperte, che era esplorabile ma non visibile, il nostro universo è visibile ma quasi certamente irraggiungibile (o comunque non raggiungibile nella forma concreta in cui si sono svolti finora i viaggi). Di qui il bisogno di proseguire con altri mezzi sempre meno materiali, dunque attraverso l'osservazione, la grande esplorazione che langue; e c'è anche e forse soprattutto il bisogno di verificare un principio che comunque ha a che fare con l'essenza e i limiti dell'umanesimo - intendo il principio copernicano, o principio di medietà - e di sapere quanto, se molto o poco, la vita sulla terra abbia di comune o addirittura di casuale, di speciale o addirittura di unico.
A tutto questo la conoscenza della fisica e delle sue leggi potrà dare delle risposte. Purché non si dimentichi che osservando il cielo stellato astronomi e matematici guardano la stessa cosa che è oggetto di studio professionale da parte di storici e filologi, cioè il passato. Che avesse ragione Platone sostenendo che la conoscenza è reminiscenza? Non sono un filosofo e non vorrei avventurarmi in fantasie così profonde. Osservo semplicemente che il passato è il regno della memoria, e con una riflessione (da filologo antichista) sulla archeologia cosmica e sulla natura della memoria rapidamente concludo.
Esiste una memoria sigillata nel contenuto di informazione dei monumenti, e che parla attraverso l'analisi di questi. Essa consiste in estrema approssimazione nel disporre in sequenza la catena di ricordi previamente registrati. Questa memoria può arrivare dappertutto ma tace in assenza di documenti. C'è poi un'altra memoria, che definirei abissale e che sembra assai diversa dalla precedente. Essa tocca strati profondi della nostra esperienza e non si può evocare a comando. «Spesso la sera prima di addormentarmi - scriveva il quasi centenario Jean Guitton all'inizio di Dio e la scienza - risalgo a quell'alba lontana che illuminava la mia giovinezza intorno ai primi anni del Novecento. In quell'angolo rischiarato della mia memoria ritrovo immagini d'altri tempi: una carrozza tirata da cavalli che percuote l'acciottolato con le grandi ruote cerchiate di ferro; una ragazza in abito lungo che dorme tranquillamente all'ombra di un castagno; un vecchio signore che raccoglie la sua tuba spazzata da un colpo di vento». Molti di noi conoscono personalmente questo tipo di ricordo. Esso è chiaro («rischiarato» dice Guitton) quanto improvviso, più chiaro del ricordo solidificato nei monumenti ma quasi impossibile da fissare. Proust impiegò l'intera estensione della Recherche per ritrovare il tè e le maddalene della zia Léonie.
Quando dopo la smobilitazione dell'URSS la televisione cominciò a trasmettere vecchi filmati rimasti sepolti nel Cremlino uno di questi mi colpì in particolare. Era se non sbaglio il primo anno di esistenza del cinema, e lo zar Nicola II festeggiava con i suoi dignitari il primo anno di regno; si era dunque nel 1895. Tutto sa di passato remoto: le divise, il piglio militaresco dei presenti, il movimento a scatto delle immagini tipico dei filmati dell'epoca, il portamento autorevole dello zar per nulla ancora sfiorato dal suo incombente destino. Fin qui la memoria storica; ma non è questo il punto. L'imperatore è in visita a un ospizio per grandi invalidi ed eroi di guerra; tra immagini fatalmente confuse la macchina da presa indugia sul volto improvvisamente nitido di un vegliardo che dalla carrozzina sorride al sovrano, che si china su di lui. L'uomo in carrozzina ora guarda direttamente nella cinepresa: quell'uomo, ci informa la fugace didascalia, aveva combattuto a Borodino il 5 settembre 1812. Vivo per un attimo sotto i miei occhi quel veterano dell'armata di Kutuzov aveva «visto» Napoleone, pensai, e Napoleone era nato nel 1769, l'anno in cui il capitano Cook osservò da Tahiti il transito di Venere sulla superficie del sole. Per quell'attimo, nel breve scorrere della visione, il tempo che fastidiosamente nella narrazione storica ci separa dal passato aveva cambiato orientamento e si era disteso sulla superficie del mio presente, come la pellicola orizzontale e tuttavia abissale di una sera stellata.
Apparentemente tra loro estranei la contemplazione della natura e il ricordo del passato sono davvero res dissociabiles? A livello dell'esperienza comune prevale nell'una il calcolo e nell'altro l'erudizione, nell'una l'esperimento e nell'altro il documento, ma se invece di parlare idealisticamente di scienze della natura e scienze dello spirito usassimo per una volta il concetto illuministico di «storia naturale» le cose potrebbero non apparire così. Beninteso, sapere fisico-matematico e sapere storico-filologico hanno in comune la ricerca disinteressata, l'impostazione metodica e la sensibilità umanistica che fa di scienziati e storici in egual misura degli scholar. Ma la loro convergenza ultima viene dalla realtà profonda, dal fatto che entrambi quei saperi hanno di fronte uno stesso oggetto, il passato, sia pure visto a distanze e con metodiche enormemente diverse. Non ci svii questa diversità. Tutto indica che a intervalli crescentemente lunghi storia, preistoria, paleontologia e storia cosmica si dispongono su un'unica linea[1].
La volta celeste e la memoria abissale non sono documentazione storica ma esperienza diretta del passato. Da loro non ci separa il testo di un racconto di cui si occupino i filologi; ma da specialista del passato il filologo antichista non dovrebbe trascurare di associare idealmente l'una all'altra. Hanno a che fare con la fedeltà e con l'amore e dovrebbero spingerci a salvare in uno sforzo congiunto la natura e la storia.
[1] «Gli argomenti del tempo, dell'entropia, dell'informazione e della complessità, tutti intrecciati tra loro, interessano una incredibile varietà di discipline intellettuali: fisica, matematica, biologia, psicologia, informatica, arte» scrive S. CARROLL, Dall'eternità a qui [...], Milano 2011, p. 394. Ma perché non anche la filologia e la storia?