Fare cose con le parole
Lavoro, sindacato, politica, femminismo
a cura di Vittorio Capecchi e Donata Meneghelli
Una serie di saggi lucidissimi che ci accompagnano attraverso le trasformazioni sociali, culturali e politiche che hanno investito la società italiana a partire dagli anni ’80, modificando tanto il panorama dei fenomeni e dei conflitti, quanto gli strumenti di indagine per raccontare il mondo, descriverlo e interpretarlo.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822063212
- Anno: 2012
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 400
- Tag: Sociologia Lavoro Femminismo
I saggi raccolti in questo volume prendono le mosse dagli anni ’80 del Novecento, un momento di svolta nella società italiana, in cui troviamo le radici di molte trasformazioni destinate a mutare drasticamente il panorama politico, economico e culturale: la crisi del sindacato, i mutamenti della classe operaia con l’entrata in gioco di nuove traiettorie di vita e nuove soggettività, il femminismo e l’affermarsi delle donne come soggetto politico e intellettuale, i limiti dell’esperienza della militanza nelle organizzazioni storiche, l’impatto delle nuove tecnologie sulla società e sugli individui. Le riflessioni di Adele Pesce su questi temi si articolano a partire da una serie di interrogativi costanti, di nodi problematici che ritornano in contesti diversi: la differenza sessuale, la tensione tra dimensione individuale e processi collettivi, la contraddizione sempre aperta tra aspirazioni all’uguaglianza e senso della diversità, la dialettica tra fenomeni e categorie interpretative, tra ricerca e azione politica. Uno strumento per rileggere la nostra storia recente, ma anche per affrontare e capire il presente.
Nota ai testi di Donata Meneghelli - Vittorio Capecchi - Agire e riflettere tenendo presente la difficile utopia del possibile. Femminismo, sinistra, diversità/società complessa - Alessandra Mecozzi - La strada aperta da Adele - I. SINDACATO, POLITICA E TRASFORMAZIONI SOCIALI - La difficile utopia del possibile. Un’analisi della sconfitta alla Fiat - Se la diversità è un valore - La politica, la persona. Un dialogo-intervista con Vittorio Foa - Classe operaia e innovazione nel secondo dopoguerra - Le donne nella crisi del sindacato - Adele Pesce - Alessandra Mecozzi - II. RIPENSARE IL LAVORO A PARTIRE DALLE DONNE E DAL FEMMINISMO - I percorsi della differenza e dell’uguaglianza: donne in fabbrica e nella vita quotidiana - Spazi maschili e femminili nel lavoro di fabbrica. L’ingresso di un gruppo di donne operaie alla Weber di Bologna - Il valore del lavoro delle donne. L’esplicitarsi del conflitto tra i sessi dentro la società - La forza dell’ambiguità. - Traiettorie sociali di donne in Italia, Francia e Spagna - Lavoro e differenza sessuale - APPENDICE - Progetto per la costruzione di un archivio della memoria sul femminismo sindacale e di un centro di riflessione sul presente delle donne della Fiom - III. ELEMENTI PER UNA STORIA SOCIALE DELLA DIFFERENZA SESSUALE - La famiglia mezzadrile: genealogie, patronage/matronage, comunità femminile - Carattere sociale femminile nell’industrializzazione, trasmissione di saperi tra donne, modello sociale e modello economico - Mediazioni femminili nelle trasformazioni tecnologiche del lavoro - L’ULTIMO SCRITTO DI ADELE PESCE - Fare cose con le parole - Bibliografia degli scritti di Adele Pesce
Alessandra Mecozzi
La strada aperta da Adele
Adele è stata un’amica e una compagna carissima di tante discussioni, riflessioni, viaggi, lotte. Con questa introduzione vorrei trasmettere un po’ di quello spirito che ci ha molte volte animato e sollecitare la lettura, con tempo mentale e disponibilità all’ascolto, di questi testi, che considero strumenti utili anche per pensare e agire oggi. La ricerca e le idee che vi sono contenute, investono infatti, come la crisi globale di questi anni, i fondamenti del mondo in cui viviamo: la democrazia e il lavoro, le diverse soggettività, le relazioni sociali e i movimenti, l’economia e la politica, il presente e il futuro.
Fare cose con le parole è il titolo dell’ultimo articolo di Adele. Le parole non sono inerti, producono azioni e reazioni. L’esempio del linguaggio e delle culture politiche razziste di fronte al fenomeno della immigrazione lo dimostrano.
Nella sua vita Adele ha ricercato e costruito continuamente un riscontro nella pratica di pensieri e parole. Nei suoi scritti si riconoscono l’esperienza sfaccettata della sindacalista, la sua vocazione di «ricercatrice», la chiarezza concreta della giornalista. Convinta e capace di grande attenzione agli aspetti umani e sociali del mondo, della realtà circostante, del lavoro, della sua stessa vita, unisce alla vorace curiosità, un’acuta intelligenza. Potete leggere un suo profilo, parziale ma vivace, nella lunga intervista con Vittorio Foa, La politica, la persona. Vi si trovano molte delle parole chiave che hanno caratterizzato la sua vita, la sua produzione, la sua pratica. Realizzare, autonomia delle donne, fiducia nelle persone, capire il diverso e il nuovo, complessità, inquietudine, ambiguità, identità. In queste parole/ cose, stanno la sua umanità femminile e l’attualità del suo pensiero: sul lavoro, sul sindacato, sul femminismo, sulle donne, sulla politica... Gli scritti si collocano quasi tutti nel corso degli anni ’80, tranne quelli dell’ultimo capitolo (1990-1995): tutti propongono analisi e domande per l’oggi.
La critica al sindacato-istituzione è radicale, fino a parlare di «solidarietà delle burocrazie» e di errore nell’assumere il coinvolgimento di tutti i lavoratori e lavoratrici come mera solidarietà e non come interesse di tutti a un futuro, comune, di diversi rapporti sociali. Gli anni ’80, con il loro carico di distruzione sociale e politica, si incaricheranno di mostrare la giustezza di questa analisi. Oggi siamo in uno scenario che non è la ripetizione, ma il prolungamento di una storia italiana in cui la democrazia viene erosa, dentro e fuori dai luoghi di lavoro, utilizzando ancora una volta e in situazione più grave, la copertura della crisi.
Del resto le prime analisi e teorizzazioni ideologiche sulla globalizzazione nascono negli anni ’80, con la fine delle... ideologie!
Ci vorranno ancora venti anni prima che, nel 1999 (movimenti a Seattle contro la Organizzazione Mondiale del Commercio), questa volta su scala internazionale, si esprima una risposta e una resistenza contro il pensiero unico, generato dalle ceneri del socialismo reale nel 1989, per un altro mondo possibile, per democrazia e giustizia sociale.
Quella resistenza è ancora in corso, contro l’imposizione di un modello autoritario delle relazioni sociali, come negli ultimi tre anni ha operato l’Amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne.
A chi accusa di «difensivismo» la lotta alla Fiat nel 1980, Adele contesta: mentre la difesa si prolunga uguale a se stessa, è in qualche modo passiva, la resistenza è una difesa che guarda al futuro; e a chi subisce il ricatto della Fiat (allora la famigerata marcia dei 40 000!), che porta a un accordo firmato senza consultazione né consenso, provocando un trauma collettivo e un arretramento di lunga durata, Adele chiede: perché non si restituisce la parola ai lavoratori?
E ai partiti «che non hanno coinvolto il parlamento su scelte anticostituzionali», viene rimproverato (anche al Pci, pure l’unico a schierarsi – con Berlinguer – dalla parte della lotta dei lavoratori e delle lavoratrici Fiat) di non essere in grado di dare una svolta sostanziale alla politica del Governo, neanche dopo la sua caduta, in occasione della formazione del nuovo! È questa intelligenza del reale che la porta a coniare la definizione di «difficile utopia del possibile».
Dallo sguardo acuto sulla realtà deriva anche la capacità di leggere il cambiamento sociale e culturale che percorre gli anni ’80, non fermandosi al lamento sulla sconfitta sindacale e operaia, cercando di individuare gli elementi di novità che possano contribuire a una nuova e diversa storia. Per questo analizza sia le economie non ufficiali che quelle ufficiali con la lente della «diversità come valore» che dovrebbe guidare anche le scelte della politica, l’oggetto della critica permanente alla sinistra, in materia di lettura e politica relativa del lavoro. Non concede nulla, articola una dura critica al sindacato compatibilista che comincia ad accettare e addirittura a teorizzare la flessibilità del lavoro, che slitterà nel corso degli anni verso quella «precarietà del lavoro e della vita» che è oggi il nemico pubblico numero uno. La questione, sempre aperta, del conflitto ambiguo tra conservazione e trasformazione viene assunta come terreno di ricerca sociale e politica, opponendo al «nuovismo» che fa sparire la classe operaia – in favore di non meglio definite altre identità, oppure che bolla la medesima come conservatrice –, un’analisi attenta che distingue nell’innovazione «quella tecnologica, quella organizzativa, quella del contesto sociale», facendo emergere la nuova soggettività femminile, quella che non esce sconfitta dagli anni ’80, ma propone una critica radicale all’assetto patriarcale in tutti gli ambiti e in tutte le discipline, utilizzando come «lente» la differenza sessuale. Questa prima parte si conclude perciò con un confronto a due (con la sottoscritta) sulla crisi del sindacato, usando una chiave di lettura femminista (1989).
Ma vale la pena di riprendere oggi alcune di quelle domande; in una realtà sociale e politica in cui è prevalsa, nelle occasioni migliori, sull’interrogazione e sull’indagine, la denuncia e la giusta indignazione verso un governo e un establishment sempre più lontani dalla realtà, che negano o nascondono il lavoro stesso, togliendogli valore e dignità. E adesso che quel governo di pessima qualità è finito, leggo questo lavoro di Adele anche come una sollecitazione alle giovani e meno giovani, operaie e insegnanti, impiegate e assistenti sociali, studiose e non, a riprendere nelle proprie mani e con la propria testa ed esperienza, questa analisi. Il triplo lavoro femminile, «produrre, riprodurre, lavoro intellettuale» (secondo una definizione di Laura Balbo), domanda di essere indagato nuovamente al tempo della crisi. Se l’indignazione è una molla forte che spinge donne e uomini verso una politica della trasformazione sociale, la ricerca, la conoscenza, la discussione, il confronto e la produzione di idee e azioni ne sono indispensabili complementi. Proprio in un tempo in cui il lavoro viene svilito e oscurato, proprio quando la crisi con tante facce, colpisce il lavoro e le persone, proprio quando sembra (vedi il caso Fiat) che l’uso della crisi da parte del potere economico e politico debba portare a un arretramento e a un imbarbarimento delle relazioni sociali, diventa più necessario il lavoro culturale insieme a quello sociale e sindacale. Si tratta di un terreno di lotta a cui i pensieri e le «scoperte» di Adele forniscono alimento.
Chi, soprattutto giovane, è affamato/a di futuro, ha oggi bisogno di cultura e conoscenza, come dimostrano le occupazioni dei teatri o i book blocks degli studenti, non solo per opporsi alla regressione, ma per imprimere la propria impronta sul futuro stesso. Di fronte alla volgarità di «la cultura non si mangia», è sempre più necessario svilupparla in tante direzioni, che riescano a operare trasformazione sociale.
Il lavoro di fabbrica di oggi, con tutte le sue modalità di esistenza, dovrebbe diventare di nuovo un terreno privilegiato di ricerca, come mostrano i risultati della inchiesta Fiom tra 100000 metalmeccanici/che, di conoscenza, oltre che di lotte, per comunicare i sentimenti e i pensieri di chi la abita e lì costruisce una parte della propria identità. E le donne sono in grado di esprimere un punto di vista più critico, dal momento che mescolano al proprio vissuto del lavoro, quello del rapporto con la maternità, della gestione dei rapporti familiari, quello del lavoro di cura. Ed è proprio questo che, in tempi di crisi generale, rappresenta di nuovo un terreno da indagare da un angolo visuale diverso, che non lo releghi né nello «specifico femminile» né nella supplenza di ciò che viene eliminato dai tagli al sociale. Appare invece – come ben documenta la rivista «Leggendaria», in un supplemento attualissimo – l’occasione di una riflessione collettiva, di donne e uomini, sulla trasformazione sociale e la sottrazione alle logiche di dominio, nelle relazioni sociali, nei rapporti tra donne e uomini. Lo strumento di analisi concettuale della differenza sessuale viene utilizzato nella ricerca sociale, portando a una lettura nuova della classe operaia, percorsa da un processo di femminilizzazione senza precedenti nel dopoguerra, dopo che la guerra aveva visto gli uomini combattere e le donne rimpiazzarli anche nei posti di lavoro più pesanti. E il saggio che conclude la seconda parte, scritto in collaborazione con Elda Guerra, fornisce utilmente un ordine storico-cronologico delle concettualizzazioni del lavoro delle donne e della differenza sessuale soffermandosi sul caso italiano attraverso 20 anni (1970-1990), tracciando il percorso che va dal paradigma della debolezza (ancora nei primi anni ’70) all’emergere della complessità (che include l’esperienza del femminismo sindacale) all’irrompere sulla scena sociale e politica della soggettività femminile e della teoria della differenza sessuale, fino a indicare, a chi ne voglia tener conto, alcune possibili tematizzazioni per gli anni ’90, riassumibili nel «dare dignità e valore all’esperienza sociale delle donne così come è andata storicamente presentandosi e consolidandosi [...], facendo emergere l’oggettiva conflittualità tra l’esperienza femminile e quella maschile, e mettere in discussione gerarchie, professionalità, valori consolidati [...]».
Sette tesi per continuare la storia
L’apporto del pensiero di altre donne, come Adriana Cavarero (Per una teoria della differenza sessuale), Luce Irigaray (per il concetto di genealogia, maschile e femminile), di Ulrike Prokop (sul carattere sociale femminile) è forte e dichiarato. A questo Adele unisce la sua conoscenza ed esperienza di sindacalista metalmeccanica, con una lettura della realtà, sia storica che del presente. Ne risultano interpretazioni di storia sociale che hanno senso e utilità anche in un oggi caratterizzato dalla crisi profonda del modello dominante e dalla ricerca di alternative.
Nella famiglia mezzadrile, la donna (arz-doura = reggitrice o massaia) ha sì un notevole potere all’interno della famiglia, ma non «legittimato per contratto» come quello dell’arzdor, l’uomo, e della sua discendenza maschile,ma è in qualche modo legata all’uomo da un patto «asimmetrico» di reciprocità. L’arzdoura deve accettare la cancellazione giuridica della sua genealogia, ma questo non annulla il suo diritto naturale sulle figlie: «Si crea in questo modo una comunità più ampia di madri e figlie [...]». Ovvero, viene messo in discussione il rapporto di potere dell’uomo sulla donna, tradizionalmente considerato fondante nelle analisi sulla famiglia mezzadrile. Adele destruttura questa analisi e preferisce parlare di poteri paralleli, con una dettagliata analisi dei lavori che vengono svolti dalla donna e dei suoi poteri decisionali. Lostesso arz-dor, che ha un potere di rappresentanza, non può fare a meno, per esercitarlo realmente, della mediazione della arzdoura. Con questo viene anche contestata la lettura sulla «divisione sessuale del lavoro», dando rilievo all’esistenza di una comunità femminile costruita sulla base di molteplici mediazioni tra donne e tra donne e uomini, che permane anche al di fuori della dimensione lavorativa.
Questo ribaltamento provocatorio dei canoni di analisi e storia tradizionali ruota attorno a un asse centrale, filo conduttore del pensiero e della ricerca di Adele, con una forte valenza politica: «L’esperienza umana delle donne [...] non può essere letta come l’esperienza di un’oppressione, mutuando questo concetto da una interpretazione semplificata del patriarcato, bensì come quella – molto più complessa – della cancellazione a livello simbolico e giuridico della loro genealogia; cancellazione che non è però riuscita a espropriare le donne della loro capacità di tramandare alle generazioni successive saperi, valori, caratteri anche quando non socialmente valorizzati e legittimati». Lo scardinamento del dualismo «oppresse-oppressori» è anche alla base della lettura del modello industriale a specializzazione flessibile dell’Emilia Romagna, dove abitualmente non si indagano né si riconoscono il legame tra organizzazione produttiva economica e organizzazione riproduttiva sociale, le relazioni tra donne, i rapporti di potere tra donne e uomini. In tal modo viene contestata quella «ideologia» secondo cui le donne non c’entrano nella diffusione di un modo di produzione o modello industriale; mentre invece «le donne c’entrano eccome». In particolare nell’analisi di quel peculiare modello della regione, dove specializzazione flessibile indica il criterio di «cura» del cliente e un orientamento ricco di creatività – radicalmente diverso da quello della produzione di massa – in cui il carattere sociale femminile è visibile soprattutto in due aspetti: la personalizzazione dei prodotti e il mantenimento di una tradizione artigianale nella produzione industriale. Attraverso gli esempi dell’Arte del Truciolo (cappelli di paglia ) e poi dell’industria della maglieria vediamo un ruolo protagonista delle donne e di famiglie in cui esse sono soggetto centrale, con un’organizzazione del lavoro che si intreccia fortemente a quella familiare. Il lavoro a domicilio diventa forma specifica del lavoro femminile. Il realismo della lettura include necessariamente anche l’analisi dei tratti di debolezza del carattere sociale femminile insieme a quelli di forza menzionati. E sono due in particolare: la difficoltà a far fronte al problema della tecnologia; la limitatezza nel commercializzare in mercati più ampi il risultato del proprio lavoro.
Ma è anche alla contestazione del concetto di «estraneità femminile» rispetto alla tecnologia che è dedicato il terzo capitolo, dove la critica ai limiti dell’analisi corrente si basa su due questioni centrali, che vengono evidenziate storicamente: mediazioni femminili per adattarsi al cambiamento tecnologico, influenzandolo; mediazioni femminili che incidono sull’origine delle trasformazioni tecnologiche.
Ma data la passione per l’azione e il rifiuto permanente di Adele a ragionare in astratto, il capitolo si conclude con una proposta di sette tesi «per il presente» e «per l’azione». Sono passati circa 15 anni dalla scrittura di questo saggio, ma quelle tesi, che sono altrettante indicazioni di ricerca politica, andrebbero energicamente prese in mano e messe all’opera, sia per innovare la cultura che per realizzare necessari e profondi cambiamenti sociali. Eccone un rapido sommario: limitatezza del binomio produzione/riproduzione e necessità di nuovi modi per analizzare il lavoro di cura in una società del Welfare State; riorganizzare le statistiche: il genere è parte del catalogo per conoscere il mondo; ripensare la divisione sessuale del lavoro e dare valore all’esperienza femminile; passare da una valutazione soggettiva a una misurazione oggettiva del lavoro delle donne; connettere il paradigma dell’uguaglianza con quello della differenza sessuale e sconfiggere quello della debolezza femminile; ripensare l’orientamento e la formazione, la trasmissione delle conoscenze e l’istruzione tecnica; favorire una formazione tecnologica che non separi il soggetto dall’oggetto e la produzione di merci dalla produzione di rapporti sociali.
15 marzo 2013 | sabato sera |
13 marzo 2013 | Corriere Romagna |