Il contratto
Mussolini editore di Hitler
In un avvincente scoop storico mondiale, i documenti sul primo vero finanziamento di Mussolini a Hitler e sul reale inizio della persecuzione razziale in Italia. Un libro che rivede le tesi dei revisionisti.
- Collana: Nuova Biblioteca Dedalo
- ISBN: 9788822062741
- Anno: 2004
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 240
- Note: illustrato
- Tag: Storia Politica Storia contemporanea Razzismo
A differenza di quanto si sapeva finora, la traduzione in Italia del Mein Kampf di Hitler (che nel 1934 uscì in edizione parziale col titolo "La mia battaglia") non fu un'iniziativa dell'editore Valentino Bompiani. Fu invece il frutto di una lunga trattativa, economica e politica, tra i nazisti e Mussolini. Qui si svela e si documenta questa vicenda inedita, che si risolse in un autentico finanziamento (l'unico fino ad oggi certo) di Mussolini verso Hitler. Non si trattò di un passaggio editoriale e politico semplice, tutt'altro. Proprio in quel periodo quel «mattone» (come lo chiamò Mussolini) diventava un libro celebre, nonché un faro per il razzismo continentale. E Hitler un temibile concorrente (o avversario) ideologico. Eppure il duce protesse quel testo fino alla pubblicazione. Perché lo fece? Di certo ora si viene a sapere che proprio tra il 1933 e il 1934 Mussolini allestì nel paese una serie di iniziative di tipo razzista, contro gli ebrei ma non solo, la maggior parte finora del tutto sconosciute. Fu un avvio - segreto - di ciò che oggi ha l'aspetto di un complesso e lento, ma autentico, progetto razzista, del tutto originale rispetto a quello nazista e destinato a trovare completa realizzazione nel fatidico 1938.
1. Contatti - 2. Un libro sconosciuto - 3. Finanziamento - 4. Soldi e nazisti - 5. Protettore - 6. Tra furbi - 7. Disponibile - 8. Tagli - 9. Razza - 10. Il traduttore - 11. Censura antinazista - 12. - Accoglienze - 13. Ebrei - 14. Prime «eliminazioni» - 15. Censimenti ed altre «eliminazioni» - 16. Neanche più un ebreo - 17. «Nessuno lo legge» - 18. Cancellato - Documenti - Sezione A - Sezione B - Gli estratti del Mein Kampf letti da Mussolini - Indice dei nomi
Capitolo primo
Contatti
Quando, il 3 febbraio 1933, il maggiore Giuseppe Renzetti scrisse al duce, i tedeschi avevano preso da qualche giorno una decisione sul Mein Kampf. Solo il 3 però essa era stata comunicata, almeno in parte, proprio a Renzetti, in modo che fosse trasmessa a Roma. Ciò che i tedeschi volevano, e che Renzetti riferiva a Roma per lettera, era che venisse tradotto in Italia il libro del nuovo Cancelliere del Reich, Adolf Hitler, e di poterne ricavare un po' di soldi in diritti d'autore. A questo scopo un delegato stava arrivando in Italia. Questo scrisse Renzetti a Mussolini (doc. A1; vedi foto 2). La fonte della notizia era il segretario di Hitler, Rudolf Hess. Hess aveva spiegato a Renzetti che i nazisti avevano bisogno di denaro per la dura campagna elettorale che attendeva il loro partito. Anche questo era un modo per farne. Renzetti, maggiore degli alpini nonché presidente della Camera di Commercio italiana in Germania, fin dall'ottobre 1930, quando Mussolini lo aveva ricevuto a Roma, era diventato il suo uomo di fiducia nei rapporti con Hitler e i nazisti1. Una comunicazione affidata a lui sarebbe arrivata sul tavolo del duce con certezza e in un batter d'occhio. E avrebbe ricevuto l'ascolto che meritava. Il 3 febbraio 1933 Hitler era al potere da quattro giorni. Conquistato il Cancellierato, aveva indetto per il 5 marzo le elezioni politiche. Anche Renzetti - che in questo periodo veniva ascoltato attentamente dai nazisti - aveva suggerito di fare qualcosa del genere. Erano le elezioni decisive, che avrebbero dovuto aprire (e avrebbero effettivamente aperto) la via definitiva al potere incontrastato del partito nazi. I nazisti temevano quelle elezioni e si stavano attrezzando, ma senza saper ancora, sembrerebbe, dove sbattere la testa. Il 2 febbraio, proprio il giorno precedente al dispaccio di Renzetti, nel corso di un consiglio dei ministri, il ministro dell'Interno, il nazista Wilhelm Frick, aveva proposto che il governo stanziasse un contributo fino a un milione di marchi per la propria propaganda, ma il ministro delle Finanze, Schwerin von Krosigk, aveva respinto l'idea2. Né i nazi erano certi, in quella fase, di ottenere l'appoggio finanziario degli industriali. Anzi, secondo l'informativa di Berlino, Hitler non avrebbe voluto finanziamenti privati. Per questo Renzetti scriveva al dittatore italiano: perché il duce accogliesse con benevolenza la richiesta, comprando egli stesso i diritti del libro, o finanziandone l'acquisto da parte di qualche casa editrice di fiducia. E soprattutto, gli si chiedeva un sostanzioso appoggio economico all'imminente campagna elettorale dei nazi. Mussolini, letta la comunicazione - e saputo così, come gli scriveva Renzetti, che un rappresentante personale di Hitler, Max Amann, era partito appositamente per l'Italia per discutere della questione - diede ordine di riceverlo subito. Cosa che Gaetano Polverelli, capo del suo ufficio stampa (in quel momento Mussolini era anche ministro degli Affari Esteri) fece prontamente (doc. A 2). Max Amann (foto 3) non era un personaggio qualsiasi. Commilitone ma anche superiore di Hitler durante la Prima guerra mondiale, suo fedelissimo - e, pare, piuttosto brutale - seguace fin dalle prime imprese politiche, era anche direttore della casa editrice del partito la Franz Eher Verlag, di cui Hitler era il principale proprietario. La Eher Verlag, a sua volta, controllava la stampa periodica di partito, compreso il quotidiano ufficiale, il «Völkischer Beobachter». Inoltre, Amann era stato editore del Mein Kampf fin dall'origine - mentre Hess ne era stato uno dei revisori - ed era procuratore e amministratore dei beni personali del Führer3. La politica costava già allora e i politici più rilevanti avevano i loro amministratori personali. Anche Mussolini ne aveva uno, in un certo senso un pendant di Amann: l'amministratore del suo quotidiano, il «Popolo d'Italia », Giulio Barella, che era anche amministratore dei suoi beni personali. E anche il duce sapeva che la politica (ovvero la propaganda) «costava cara». Questo aveva dichiarato pochi mesi prima al principe austriaco Starhemberg, pure lui venuto a chiedergli soldi per il suo partito4. In seguito (dicembre 1933) Amann assunse il ruolo più autorevole di tutta la stampa nazista, perché divenne presidente della Reichpressekammer, il principale organismo di controllo sull'editoria nazionale. Fu una specie di padrone della stampa nazista e non. In questa veste dovette, anche notevolmente, approfittare dei propri poteri per arricchirsi: gli americani alla fine della guerra scoprirono che i suoi conti bancari erano passati da 108 mila marchi nel 1934 a ben 3 milioni e 800 mila nel 1943. A Roma si recò dunque un rappresentante personale autorevolissimo di Hitler. Il libro per cui veniva a trattare, in fondo anche una raccolta di memorie, era un poco pure opera sua e parlava persino di lui. Hitler nel Mein Kampf aveva elogiato le sue «qualità commerciali vaste e profonde», come aveva scritto, e aveva elevato un peana alla sua capacità di dare «ordine e probità» all'amministrazione del partito nazista5. Come referenze, nel suo viaggio a Roma Amann si era portato dietro, e lasciò agli italiani, la procura che Hitler di suo pugno gli aveva firmato (foto 4 e 5 e doc. A 3). E pure lui, come si può constatare da un resoconto di Polverelli a Mussolini, raccontò agli italiani più o meno la stessa storia riferita da Renzetti: «occorrevano molti fondi» per la campagna elettorale e la cessione dei diritti sul Mein Kampf avrebbe potuto contribuire a risolvere il problema. Per questo era venuto in Italia. Nell'occasione, però, Amann disse anche qualcosa di più e di assai interessante: lasciò trapelare alcuni dettagli politici sulla Germania, evidentemente riservati. Per esempio, parlò dello stato d'animo della classe dirigente nazista, e raccontò come essa fosse disposta a tutto pur di mantenere il potere conquistato. Può darsi che raccontare queste cose fosse un modo per rendersi gradito. Oppure era un segno di estrema deferenza o magari di autentica stima e fiducia verso il duce, il grande precorritore dei tempi nazisti: erano sentimenti allora largamente condivisi presso lo stato maggiore del futuro Führer. Di sicuro, e in maniera manifesta, si trattava di fiducia mirata, perché puntava a stabilire un clima di tale lealtà da convincere gli italiani a elargire il finanziamento. Ed erano soldi a cui i tedeschi tenevano evidentemente moltissimo.
1 La migliore biografia di Renzetti resta quella distribuita nelle pagine di FEDERICO SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Giannini, Napoli 1996. Ma si veda ora anche FEDERICO NIGLIA, Il maggiore Roma-Berlino. L'attività di collegamento di Giuseppe Renzetti fra Mussolini e Hitler, «Nuova storia contemporanea », luglio-agosto 2002, pp. 69-81.
2 IAN KERSHAW, Hitler 1889-1936, Bompiani, Milano 1999, p. 730.
3 Su Amann si veda ancora soprattutto ORON J. HALE, The captive press in the Third Reich, Princeton University Press, Princeton (NJ) 1964, pp. 21- 29 (i dati sul reddito a p. 25). Si veda anche la voce che gli ha dedicato HERMANN WEISS in Biographisches Lexikon zum Dritten Reich, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main 1999, pp. 21-22; e I. KERSHAW, op. cit., p. 444.
4 Si cita dall'edizione italiana che in questo punto coincide con quella anglo-americana (1942). Si veda ERNST RÜDIGER STARHEMBERG, Memorie (l'Austria dal 1918 al 1938), Volpe, Roma 1980, p. 138.
5 ADOLF HITLER, La mia battaglia, Bompiani, Milano 1934, p. 305.
06 giugno 2010 | Il Sole 24 ore |
15 giugno 2008 | Corriere della Sera |
12 settembre 2005 | Corriere della Sera |
27 novembre 2004 | Il Riformista |