Creativi si nasce o si diventa?
Cos’è la creatività? Una dote innata o qualcosa da stimolare? E qual è il suo legame con l’intelligenza? Tra storia, neuroscienze, arte e umorismo, Bianucci esplora uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi della nostra mente.
- Collana: Le grandi voci
- ISBN: 9788822016164
- Anno: 2022
- Mese: maggio
- Formato: 13 x 18 cm
- Pagine: 96
- Tag: Scienza Psicologia Arte
La creatività è tra le doti più misteriose del cervello. Sfugge alle misure degli psicologi, non sempre è in rapporto con l’intelligenza, assume aspetti molto diversi nell’arte e nella scienza. C’è la creatività “forte” di Picasso o di Einstein, mossa da un pensiero divergente, capace di rovesciare il punto di vista su un problema, o per dirla con Kuhn, di cambiare un paradigma. Le immense fortune messe insieme da Bill Gates, Jeff Bezos e Elon Musk sono invece frutto di una creatività di tipo diverso, che assembla in modo nuovo l’esistente, capace di intravedere scenari futuri.
Si nasce creativi o lo si diventa? Pur senza negare la componente genetica, la plasticità del cervello messa in evidenza dalle ricerche più recenti suggerisce che in parte la creatività si possa imparare. Un ambiente stimolante formato da altre persone creative, la libertà di muoversi nelle direzioni più varie abbassando il proprio livello di inibizione (che trasforma la cultura dominante in un freno alla creatività forte) e di lasciarsi guidare, nella ricerca scientifica o estetica, dalla curiosità e dal divertimento: tutti questi elementi sono potenti motori di creatività.
E non dimentichiamo che Einstein, con il suo caratteristico understatement, diceva: «Creatività è saper nascondere le proprie fonti».
La Casa danzante è una costruzione nel centro di Praga disegnata dagli architetti Frank Gehry e Vlado Milunic´. Ospita uffici del governo olandese e un ristorante panoramico. La chiamano anche “Fred e Ginger” perché si ispira alla coppia di ballerini resa celebre dal cinema. Lei, Ginger, è una flessuosa torre di cristallo su esili colonne inclinate e sembra appoggiarsi a Fred, una torre di cemento su colonne tozze. Oggi è un simbolo di Praga, ma all’inizio suscitò aspre polemiche e fu definita «un abominio». Succede regolarmente quando un atto creativo rompe schemi consolidati.
Nato in Canada nel 1929, cittadino statunitense, Gehry inventa spazi a curvatura variabile. Il Guggenheim Museum di Bilbao è un vascello rivestito da squame di titanio. Il Building 8, a Sydney, sembra accartocciarsi in un collasso strutturale. Si presta a facili battute il Centro per la Salute Mentale di Las Vegas, che pare progettato dai suoi stessi ospiti. A margine, prendiamo nota che la gestione mentale dello spazio e della danza è affidata all’emisfero destro del cervello. Ne riparleremo.
Dall’arte alla scienza. Per estendere ai moti accelerati la relatività speciale che aveva pubblicato nel 1905, da due anni Einstein meditava su che cosa fosse la forza di gravità quando riuscì a concepirla – per l’appunto – come un’accelerazione. Lo raccontò lui stesso in una conferenza tenuta nel 1922 all’Università di Kyoto:
Il punto di svolta mi si presentò improvvisamente. Ero seduto su una sedia del mio Ufficio brevetti a Berna. Di colpo fui attraversato da un pensiero: se un uomo cade liberamente, non sente il suo peso. Ne rimasi sorpreso. Questo semplice esperimento mentale mi lasciò una profonda impressione. Fu esso a condurmi alla teoria della gravità.
Einstein dirà poi che questo fu il pensiero più felice della sua vita. Una delle sue implicazioni è il principio di equivalenza: massa gravitazionale e massa inerziale, pur essendo grandezze diverse (rispettivamente la capacità dei corpi di attrarsi tra loro e la resistenza di un corpo a subire un’accelerazione), risultano sempre direttamente proporzionali in esperimenti capaci di rilevare differenze di una parte su mille miliardi. In breve, coincidono.
Il 24 dicembre 1968 gli astronauti William Anders, Frank Borman e Jim Lovell stavano compiendo la prima circumnavigazione della Luna. Anders fu colpito dalla visione della Terra, piccola, azzurra e con pennellate bianche di nuvole, vicina al bordo arido della Luna. Si fece passare un rullino a colori e scattò l’immagine della fragile bellezza del nostro pianeta che è diventata una bandiera dell’ecologia. Lo scatto non era previsto dalla NASA, esulava dalla checklist della missione. Anders inventò un modo nuovo di guardare la Terra. Capita che l’atto creativo sia frutto dell’improvvisazione.
Il 13 aprile 1970 era in corso la missione lunare Apollo 13 quando Jack Swigert pronunciò la famosa frase «Houston, abbiamo un problema». Era esploso un serbatoio dell’ossigeno; gli astronauti, ormai a 321860 chilometri dalla Terra, rischiavano di morire di freddo e asfissia. Il centro di controllo riprogrammò affannosamente l’itinerario. I tre a bordo modificarono un contenitore usando una borsa di plastica, un calzino, nastro adesivo, un tubo flessibile sfilato da una tuta pressurizzata. La copertina del piano di volo, arrotolata, funzionò da imbuto per portare l’aria nel depuratore. Così respirarono per i quattro giorni necessari al rientro. Talvolta la creatività ha bisogno di vincoli severi.
Gehry reinventò l’idea di edificio. Einstein rivoluzionò il concetto di gravità. Anders colse la Terra da un punto di vista inedito. Gli astronauti dell’Apollo 13 si salvarono mettendo insieme materiali che avevano a disposizione per altri scopi. Questa micro-fenomenologia di tipi diversi di creatività pone due domande. Creativi si nasce o si diventa? E se lo si diventa, la scuola incoraggia la creatività o la soffoca?
Le risposte sono: 1) creativi un po’ si nasce e un po’ si diventa; 2) la scuola dovrebbe “insegnare” la creatività, ma spesso la soffoca.
Generalmente, parlando di Newton, si spiega come le mele cadono dagli alberi. Cioè la legge di gravità. Sapere che due corpi si attraggono con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza è una nozione fondamentale.
Tuttavia, ancora più stimolante è capire come le mele “salgono” sugli alberi. Per farlo, hanno bisogno di radiazione solare con la giusta intensità e lunghezza d’onda, di un pianeta, di una ventina di elementi chimici (19 dei quali prodotti da reazioni termonucleari nel cuore di altre stelle), della fotosintesi e tre miliardi di anni di evoluzione biologica.
Capire come cadono le mele tutto sommato è semplice, capire come ci salgono è complesso, è una sfida per l’intelligenza all’incrocio tra fisica, chimica, biologia. Di solito la scuola insegna tutte queste cose, tuttavia non pone la domanda provocatoria che, sia pure con una forzatura, contrappone “cadere” a “salire”. Si perde così una visione alternativa che aprirebbe la mente non solo sulle nozioni ma sui meccanismi cognitivi. Incidentalmente, osserviamo che salire sull’albero corrisponde a un ribaltamento dello scendere. Ne riparleremo.
Il sostantivo “creatività” è recente. Si diffonde in epoca romantica e deriva dal verbo latino creo, a sua volta parente di cresco. Benché astratta, è una parola che rimanda alla concretezza del “fare”, così come ars e tékne per gli antichi Latini e Greci corrispondono a capacità manuali prima che intellettuali. Oggi riferiamo la creatività al dono della mente di intuire il nuovo, escogitare soluzioni inedite, usare le conoscenze in modo originale, da non confondere con l’ingegnosità, che allude invece ad astuti espedienti. Per il sociobiologo Edward O. Wilson la creatività è il vero tratto distintivo della specie umana.
Il piano europeo Next Generation EU per risorgere dal Covid e il terremoto geopolitico della guerra in Ucraina fanno sentire un bisogno estremo di nuove idee, anche in diplomazia e nella politica estera. Moda e design a parte, la creatività italiana è scarsa. Il Global Innovation Index 2021 mette al primo posto la Svizzera. Seguono Svezia, Stati Uniti, Regno Unito, Corea. L’Italia è al 29° posto. Il Global Creativity Index, in base a tecnologia, talento e tolleranza, premia l’Australia, poi Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada. L’Italia è al 21° posto. In Europa, l’annuario Observa Science, considerati 27 parametri, mette in testa la Svezia. L’Italia è poco sotto la media, tra l’Irlanda e Cipro. Molti studiosi sono scettici su questi indici, ma senza dubbio non ci facciamo una bella figura e rimane un ampio margine di miglioramento.
Nell’arte la creatività implica la produzione di oggetti visivi, verbali, musicali che introducono nel mondo qualcosa che prima non c’era, riorientando la percezione e il senso della vita. La cultura è importante ma non indispensabile: certi pittori non hanno frequentato Accademie di Belle Arti, certi musicisti non sanno leggere uno spartito. Inoltre, poiché la riuscita artistica è individuale e comporta l’unicità dell’opera (anche quando è riproducibile), è diversa dalla scoperta scientifica, che è impersonale e cumulativa. «M’illumino d’immenso» poteva scriverlo solo Ungaretti.
Quando domandai a James Watson come sarebbe stata la storia della biologia se lui e Crick non avessero scoperto la struttura del DNA, la risposta fu: «Tale e quale: la doppia elica l’avrebbe scoperta un altro sei mesi dopo». Il carattere sommatorio della scienza fa sì che conoscere bene l’esistente sia essenziale, altrimenti si riscopre l’acqua tiepida. Per questo la grande intuizione individuale è rara; la regola è una stretta collaborazione: i lavori di fisica, di genetica, le esplorazioni spaziali sono portati avanti da centinaia di ricercatori.
La capacità di meravigliarsi, la curiosità e uno sguardo “insolito” su ciò che abbiamo attorno sono i tre motori primari della creatività. Occorre però sapere che gli istanti magici sono l’eccezione, la regola è il lavoro grigio che (talvolta) prepara l’illuminazione. Sia le arti sia la scienza esigono sudore e la capacità di trarre profitto dagli ostacoli. «Il segreto del mio successo – diceva Edison, 1093 brevetti registrati – all’1% è ispirazione, al 99% traspirazione», e a proposito della sua incessante ricerca sperimentale avrebbe dichiarato: «Non ho fallito. Ho solo trovato diecimila soluzioni che non funzionavano». Nella scienza e nella tecnologia, l’errore è fecondo. La sua utilità è duplice: esclude una strada sbagliata e suggerisce la direzione per andare avanti.
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