Homo academicus
prefazione di Mirella Giannini - postfazione di Loïc Wacquant
traduzione della postfazione di Vito Carrassi
Homo academicus è una riflessione scientifica sul mondo universitario che, pur apparendo omogeneo, è in realtà pervaso da conflitti sociali e disciplinari, da vere e proprie lotte di potere.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002587
- Anno: 2013
- Mese: ottobre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 376
- Tag: Sociologia Potere Università
Può il sociologo giungere a una comprensione oggettiva del mondo sociale al quale appartiene? È questa la questione epistemologica che Pierre Bourdieu pone al centro della sua riflessione sul sistema accademico a cui egli stesso è legato. In questo libro tenta di superare una visione parziale e «interessata» della realtà universitaria, tipica della polemica ad hominem. Costruisce il suo oggetto di studio in una rete di relazioni, che definisce «campo», e usa una tecnica d’indagine scientifica che oggettivizza lo spazio delle posizioni accademiche in termini di potere. L’università, quindi, appare simile a una struttura relazionale in cui i docenti, differenziati per risorse e caratteristiche sociali, si scontrano per trasformare i rapporti di forza o per mantenere lo status quo. Bourdieu ci consegna un’immagine e soprattutto una strumentazione scientifica per comprendere l’accademia italiana, in particolare le dinamiche interne che muovono carriere e poteri.
Prefazione di Mirella Giannini - Nota della traduttrice - 1. Un «libro da bruciare»? - Il lavoro di costruzione e i suoi effetti - Individui empirici e individui epistemici - 2. Il conflitto delle facoltà - Distacco e adesione - Competenza scientifica e competenza sociale - 3. Tipi di capitale e forme di potere - La struttura dello spazio dei poteri - I professori ordinari e la riproduzione di corpo - Tempo e potere - Gli eretici consacrati - Avversari complici - L’aggiornamento - Posizioni e prese di posizione - 4. Difesa di corpo e rottura degli equilibri - Le sostituzioni funzionali - Una crisi di successioni - Una finalità senza fini - Un ordine temporale - La rottura degli equilibri - 5. Il momento critico - Una specifica contraddizione - La sincronizzazione - La crisi come cartina di tornasole - Sulle opinioni in pubblico - L’illusione della spontaneità - Appendice 1 - Le fonti utilizzate - Appendice 2 - Le trasformazioni morfologiche delle facoltà e delle discipline (tabelle) - Appendice 3 - La hit-parade degli intellettuali francesi, ovvero chi sarà giudice della legittimità dei giudici? - Appendice 4 - Le analisi delle corrispondenze - Postfazione - Vent’anni dopo - Postfazione all’edizione italiana di Loïc Wacquant - Sociologia come socio-analisi: storie di Homo Academicus - Indice analitico
Capitolo quinto
Il momento critico
Poiché molti dei saggi dedicati alle giornate di Maggio sono parziali e superficiali in quanto legati all’esperienza biografica ma guidati dall’ambizione di giudicare e di spiegare, essi ricordano ciò che Poincaré diceva delle teorie di Lorentz: «Mancava una spiegazione, è stata trovata; si trova sempre; le ipotesi, certo non sono queste che mancano». Gli specialisti delle scienze sociali non sono mai tanto tentati di moltiplicare illimitatamente ipotesi ah hoc come quando hanno a che fare con eventi e in particolare con eventi critici.
I momenti in cui è in bilico il senso del mondo sociale diventano una vera sfida, non solo intellettuale, per tutti quelli che professano di comprendere il senso del mondo e che, dietro l’apparenza di dichiarare la realtà dei fatti, pretendono di far esistere le cose conformemente a ciò che dicono, dunque di produrre effetti politici immediati; il che implica che essi prendono la parola sul campo e non dopo una riflessione, ma anzi dopo la battaglia.
La lettura di un evento sociale può procurare vantaggi politici, poiché questi dipendono strettamente dalla sua «attualità», vale a dire dal livello di interesse che suscita affinché diventi la posta in gioco di conflitti di interessi materiali e simbolici (è la definizione stessa di presente, mai completamente riducibile a ciò che è immediatamente dato). Ne consegue che nella maggior parte dei casi il principio che differenzia le produzioni culturali risiede nei mercati ai quali sono – inconsciamente più che consciamente – destinate: un mercato ristretto, nel quale il produttore ha, al limite, come soli clienti quelli che producono le stesse cose, oppure il mercato della grande produzione. Questi mercati assicurano ai prodotti culturali (e ai loro autori) dei vantaggi materiali e simbolici, cioè dei successi di vendita, di pubblico, di clienti e una visibilità sociale, una fama – misurate in base allo spazio occupato nei giornali – estremamente ineguali, sia per importanza sia per durata. Una delle ragioni del ritardo delle scienze sociali, che costantemente corrono il rischio di ridursi al saggismo, è che le possibilità di ottenere un successo puramente mondano, legato a quanto vi possa essere dell’attualità, diminuiscono quanto più ci si allontana nel tempo dall’oggetto studiato, ovvero quanto più aumenta il tempo investito nel lavoro scientifico, condizione necessaria, benché non sufficiente, della qualità scientifica del prodotto. Il ricercatore non può arrivare se non dopo la festa, quando le luci sono spente e le scene smontate, e con un prodotto che non ha nulla del fascino di una improvvisazione. Il protocollo scientifico è costruito in opposizione alle questioni che nascono dall’immediatezza dell’evento, enigmi piuttosto che problemi, che richiedono prese di posizione totali e definitive piuttosto che analisi necessariamente parziali e discutibili; non è fatto per la bella chiarezza che può avere un discorso di buon senso, a cui non riesce difficile essere semplice dal momento che tende sempre a semplificare.
L’attenzione immediata all’immediato che, persa nell’evento e nelle sensazioni che suscita, isola il momento critico – definito quindi come una totalità che ha in se stessa la sua spiegazione –, finisce proprio per questo per introdurre una filosofia della storia: porta a presupporre che ci sono nella storia periodi privilegiati, più storici di altri in qualche modo (si può vederne un caso particolare nella visione escatologica, classica o modernizzata, che descrive la rivoluzione come stadio ultimo, telos, e punto culminante, acmè, e i suoi agenti – proletari, studenti o altri – come classe universale, dunque definitiva). Chi vuol essere scientifico, al contrario, va a riposizionare l’evento straordinario nella serie degli eventi ordinari, all’interno della quale può essere spiegato. Questo per cercare poi di capire in cosa consiste la singolarità di ciò che resta un momento qualunque della serie storica, come si può chiaramente osservare in tutti i fenomeni soglia, salti qualitativi in cui la successione continua di eventi ordinari conduce a un istante singolare, straordinario.
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