La formazione dell'Io
Dalle saggezze antiche alla conquista della personalità
L'avventura dell'Io, le sue radici, la sua formazione. A confrontarsi con essa, i rimedi più alti e sicuri formulati dalle culture occidentali e orientali per preservare l'uomo dall'infelicità e dal dolore.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002334
- Anno: 2007
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 328
- Tag: Coscienza Psicologia Filosofia
Cosa c'è, per ognuno di noi, di più caro, di più importante, ma anche di più rischioso dell'Io? Esso è già completo e si accompagna a noi dal momento della nascita, o è il risultato di un processo di formazione, elaborazione e consolidamento? A queste e ad altre domande, Dubuisson risponde in maniera esaustiva, consultando sul tema filosofi, letterati, antropologi, sociologi e uomini di fede di tutti i tempi. Differenti, piene d'interesse e spesso affascinanti, le varie posizioni vengono ampiamente e chiaramente raccontate dall'autore. Posizioni che si possono raccogliere in due schieramenti contrapposti: da una parte chi non ha dubbi sull'esistenza sostanziale dell'Io e sul suo stato di buona salute (come Descartes, Kant e gran parte della cultura filosofica occidentale, da Platone a Sartre); dall'altra chi parla di «coscienza labile» pronta a smarrirsi (Ernesto de Martino), di «intermittenze del cuore» (Proust), o di impermanenza e vacuità del soggetto (Buddha). L'atteggiamento più giudizioso, secondo l'autore, sarà allora quello di ricostruire le tappe e i modi in cui l'uomo è giunto alla propria formazione: i maggiori contributi sono venuti dalle sapienze antiche e orientali, dalla spiritualità mistica cristiana; le moderne scienze umane hanno, invece, perso di vista l'individuo nella sua singolarità e nella sua problematica esistenziale.
Introduzione - L'oggetto delle saggezze - I. CERTEZZA O INANITÀ? - 1. Un Io fragile e incerto - La formazione cosmografica - Antropologia poetica - 2. Una coscienza labile - 3. La coscienza pura dei filosofi - 4. Impermanenza e vacuità - 5. L'uomo incompiuto II. TECNICHE CRISTIANE DELL'ANIMA - 6. Tecniche del corpo ed esercizi spirituali - 7. Il paradigma cristiano - Dio - L'anima - 8. Disciplina della vita interiore - Rottura con il passato e cambiamento di vita - Risoluzioni - Rinuncia - Esercizi - Disciplina del corpo e dei sensi - Disciplina del cuore e del carattere - Disciplina dello spirito - 9. Sofferenza e colpa - III. LA SAGGEZZA DELLE CULTURE - 10. Saggezze e scienze umane - La fragilità umana - L'oggetto delle scienze umane - La specificità delle creazioni culturali - La saggezza delle culture - Tecniche ed esercizi spirituali - Saggezza cristiana e saggezze pagane - 11. Metafisica e religioni - 12. Antropologia e saggezze - Conclusione: La saggezza dimenticata
Introduzione
L'oggetto delle saggezze
La soggettività di questo processo di appropriazione in apparenza non sembra possa essere sottoposta a discussione. Chi sarebbe capace di concepire qualcosa di più sicuro e di più evidente? Siete proprio voi, e solo voi, che vi state apprestando a leggere, in questo momento, e tutte le attività connesse a questo scopo si vengono succedendo solo in voi e non interessano in primo luogo altri che voi. Questo tempo passato nella lettura, d'altro canto, non appartiene che a voi e sempre voi siete colui che se ne ricorderà forse fino al momento di morire. Questa evidenza massiccia e vissuta con immediatezza è però così incontrovertibile? Per dirla con altre parole, è così limpida e indiscutibile come abbiamo appena detto? Si risponderà senz'altro di sì, se ci si accontenta della superficiale prima impressione, simile a tutte quelle che costituiscono la grana ordinaria della nostra esistenza. Tuttavia, esiste anche la possibilità di non fermarsi a queste prime e rassicuranti impressioni, domandandosi per esempio: che cos'è questo Io interiore, questa coscienza che in questo momento legge? Coincide con precisione con ciò che io sono in effetti? E come potrei mai sapere ciò che io sono al di fuori di essa, sempre che io sia ancora qualcosa lontano da essa? È sempre stata lì, immutabile, sotto le stesse forme rassicuranti? O si modifica? È sicura e stabile, o rischia in ogni momento di deformarsi, di offuscarsi e di deteriorarsi? Di che cosa è fatta? Di cosa si nutre, di quali sensazioni e conoscenze? Su che si poggia? Si conserva nello stesso modo di un processo dinamico, o somiglia piuttosto a una struttura pietrificata? Come è venuta a costituirsi? (se veramente lo è). Esiste al di fuori dei processi di «messa in atto», quale quello del nostro esempio, la lettura attenta? E, se così è, essa cambia, si dissimula, o resta sempre la stessa? Se tali incertezze vengono introdotte nel cuore di questa riflessione sull'elemento ultimo e nello stesso tempo centrale della personalità umana, subito si affaccia una prospettiva supplementare con il suo seguito di domande non meno perturbanti: questa coscienza, nel suo principio, è identica in tutti gli uomini? E questo principio, è stato sempre lo stesso, o è cambiato nel corso dei secoli? Inoltre, in che rapporti è, se lo è, con l'insieme o con parte di quel complesso composto di credenze, di costumi e di pratiche particolari che formano una cultura? Esiste, fra queste ultime e le zone del nostro Io più intimo e personale, una serie di affinità funzionali profonde destinate in modo particolare alla sua costituzione e preservazione? La nostra coscienza, alla quale si riducono comunque la percezione e forse anche la sostanza del nostro Io, non sarà in definitiva una conquista perennemente fragile e un compito imprescrittibile la cui soluzione resterà per sempre incerta? Fragilità interiore che le prove dolorose dell'esistenza, le sofferenze sopportate dal corpo, le affezioni dell'anima e la prospettiva della morte contribuiscono da parte loro a ribadire, o addirittura ad aggravare. Nel qual caso bisognerebbe ammettere che le antiche saggezze, sia quelle classiche che quelle orientali – che ricercarono sopra ogni cosa il distacco, la padronanza di se stessi, la serenità, l'apatia e l'atarassia – avevano senza dubbio compreso che l'unità e la coesione dell'Io venivano rinforzati da questi abiti, ma che essi non venivano acquisiti sempre e comunque se non a titolo individuale e a condizione di sottomettersi a sforzi penosi che oggi ci sembrerebbero ancora più insopportabili. Verteranno dunque sull'uomo interiore, sull'Io e sulla coscienza, questo luogo situato al centro di noi stessi, le prime domande che qui ci rivolgeremo. I punti di vista, indiretti talora, che noi mutueremo da quelle antiche discipline e scuole di saggezza, ci serviranno appunto a mettere meglio in luce tali tematiche. Già dal leggero turbamento che esse provocano, si sarà compreso che queste domande presentano una curiosa ambivalenza. Da un lato, infatti, esse si riferiscono a qualcosa con cui noi abbiamo o crediamo di avere un'assoluta familiarità. Cosa c'è, per ciascuno di noi, di più vicino, di più tangibile, di più evidente che il nostro Io, giacché quest'ultimo (andiamo dritti in fondo, senza deviare, alla tautologia di cui si nutre il senso comune) cos'altro è se non me-stesso? E di questo «me-stesso» noi ab- biamo una coscienza immediata, confermata e sostenuta dalla salda percezione del nostro corpo nel mondo. Come sarebbe d'altra parte possibile distendere la nostra coscienza fino al punto che essa diventi coscienza di se-stessa, in qualche maniera la coscienza della coscienza di se-stessa? E questa a sua volta non supporrebbe un'istanza immediatamente superiore, e così via? Da un altro lato, tuttavia, nel sentire queste domande, noi proviamo qualcosa che assomiglia a un'inquietudine o a un'irritazione. Certo, in questo momento, voi siete lì, presenti a voi stessi, così reali quanto il mondo che vi circonda. Tuttavia, potete forse dimenticare che ieri, e anche avant'ieri, un mese fa, in seguito a qualche preoccupazione, d'altro canto del tutto comune, questa certezza vi è sembrata meno solida, come se il vostro Io, d'un tratto meno sicuro, fosse divenuto vulnerabile? Forse che non avete pensato talvolta, con un certo sgomento, che quelle leggere alterazioni potrebbero, se perdurassero e si aggravassero, provocare il disgregarsi o lo sconnettersi della vostra personalità? Qualche ora di sonno in meno, un bicchiere di vino di troppo non sono sufficienti talvolta per incrinare questa certezza vitale? E queste alterazioni, di cui abbiamo appena elencato le ricorrenti e penose manifestazioni, non devono impegnarci ad assumere un punto di vista più sfumato? Alla visione abituale e tanto rassicurante di un soggetto dotato d'un Io saldo e solido di cui la coscienza sovrana sarebbe in grado di disegnare la silhouette rassicurante, forse è giunto il momento di contrapporre in primo luogo, dal punto di vista psicologico, le alterazioni e le modificazioni della coscienza che continuamente minacciano l'unità e la coerenza di quello stesso Io; in seguito, dal punto di vista antropologico, l'instabilità, la malleabilità e la fragilità costitutiva degli individui, considerati ormai come delle entità da costruire e da preservare, e non più come delle istanze dotate ciascuna a priori di un nucleo solido che sfuggirebbe alla storia o che la sorvoli; e infine, dal punto di vista storico, le differenti «tecniche» (del corpo, dello spirito, del respiro, dell'anima…) che ogni cultura ha pazientemente elaborato nelle sue «saggezze» con lo scopo di lottare contro le minacce di entropia e di disgregazione. Non ci sono ragioni decisive che possano impedirci di riconoscere in questa triplice constatazione nient'altro che un dato innato e immutabile dell'uomo e delle sue culture […].