Le strutture antropologiche dell'immaginario
Introduzione all'archetipologia generale
2013², I edizione 1973
nuova edizione con revisione della traduzione di Vito Carrassi
Una sintesi fondamentale delle ricerche antropologiche sulle strutture, sui loro contenuti simbolici e sul significato da attribuire ai miti. Una nuova edizione di un classico del pensiero antropologico.
- Collana: La Scienza Nuova
- ISBN: 9788822002440
- Anno: 2009
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 584
- Tag: Antropologia Immaginazione Simbolismo
Tra le più importanti opere contemporanee di antropologia, il libro di Gilbert Durand rappresenta una sintesi delle ricerche sulle strutture e sulla tipologia dei contenuti simbolici, quali risultano dai miti e dai frequenti rimandi alle arti, alla letteratura e alle diverse civiltà. Una sorta di «giardino» delle immagini, ordinato come la «botanica» di Linneo. Un repertorio organizzato attorno ad alcuni grandi schemi strutturali. Qui l’immaginario si manifesta in una retorica profonda, che conferisce il primato allo spazio «figurativo», sostituendo ai processi della spiegazione discorsiva classica, processi esplicativi spaziali e topologici.
Prefazione alla prima edizione - Prefazione alla seconda edizione - Prefazione alla nuova edizione italiana - Introduzione - Le immagini da «quattro soldi» - Il simbolo e le sue motivazioni - Metodo di convergenza e psicologismo metodologico - Intimazioni antropologiche, piano e vocabolario - LIBRO PRIMO: IL REGIME DIURNO DELL’IMMAGINE - I. I VOLTI DEL TEMPO - 1. I simboli teriomorfi - 2. I simboli nictomorfi - 3. I simboli catamorfi - II. LO SCETTRO E LA SPADA - 1. I simboli ascensionali - 2. I simboli spettacolari - 3. I simboli diairetici - 4. Regime diurno e strutture schizomorfe dell’immaginario - LIBRO SECONDO: IL REGIME NOTTURNO DELL’IMMAGINE - I. LA DISCESA E LA COPPA - 1. I simboli dell’inversione - 2. I simboli dell’intimità - 3. Le strutture mistiche dell’immaginario - II. DAL DENARO AL BASTONE - 1. I simboli ciclici - 2. Dallo schema ritmico al mito del progresso - 3. Strutture sintetiche dell’immaginario e stili della storia - 4. Miti e semantismo - LIBRO TERZO: ELEMENTI PER UNA FANTASTICA TRASCENDENTALE - 1. L’universalità degli archetipi - 2. Lo spazio, forma a priori della fantastica - 3. Lo schematismo trascendentale dell’eufemismo - Conclusione - Appendice I - L’utilizzo in archetipologia della terminologia di Stéphane Lupasco - Appendice II - Classificazione isotopica delle immagini - Bibliografia - Indice dei temi simbolici, archetipici e mitici - Indice dei nomi propri mitologici
Prefazione alla prima edizione
Quando il filosofo comincia a scrivere una sorta di manuale di Antropologia dell’Immaginario, si trova paradossalmente diviso tra una facilità insolita e difficoltà ineluttabili.
Facilità, poiché nel regno delle immagini «tutte le metafore sono uguali» e si cancellano le «precedenze» della logica o della cronologia contemporaneamente allo sfumare delle articolazioni della ragione e dell’ordine concettuale. In questo fantastico territorio la libertà del cultore di studi comparati è regina; l’elucubrazione di uno psicopatico vale un mito di Platone e le visioni di uno sciamano ostiak non sono meno autentiche della Weltanschauung di un pensatore razionalista.
Ma, come contropartita, lo «specialista di generalità», quale è per definizione il filosofo, si trova di fronte ostacoli considerevoli quando è portato a utilizzare il linguaggio e i lavori del tutto specializzati degli antropologi. Bisogna allora che si sottometta con modestia al più prudente criterio d’autorità e preferisca sempre una documentazione di seconda mano, cioè una documentazione già elaborata dagli esperti del settore: etnologi, psicoanalisti, storici delle religioni e mitologi.
Tuttavia, nel corso stesso dei capitoli in cui ho dovuto contentarmi di classificare i materiali forniti dall’antropologia, mi è parso necessario unificare, per quanto possibile, le regole di grammatica e di lessico anarchicamente ammesse dagli specialisti. Dal momento che sia le traslitterazioni sia l’ortografia dei nomi di tribù adottate dai diversi autori presentano innumerevoli varianti, mi sono attenuto ad alcune convenzioni: eccetto i casi di citazioni dirette indicate tra virgolette, restano invariabili i vocaboli riprodotti in corsivo, così come gli epiteti etnografici poco usuali che cominciano per lettera maiuscola; seguono al contrario le regole usuali di concordanza tutti i nomi di gruppi etnici e gli epiteti scritti con iniziale minuscola. Infine, poiché questo libro non ha alcuna pretesa di erudizione filologica, mi sono permesso di semplificare l’accentazione dei nomi traslitterati, attenendomi, ogni volta che fosse possibile, all’ortografia dei nomi propri in uso nel dizionario Larousse.
Intraprendere un tale lavoro comportava certo il rischio di alienarmi la filosofia senza guadagnarmi l’antropologia, pertanto non potrei concludere questa prefazione senza esprimere la mia gratitudine verso tutti coloro, filosofi e antropologi, che mi hanno dimostrato benevola comprensione: Étienne Souriau – che ha volentieri accettato la direzione di un lavoro di cui la presente opera costituisce l’indispensabile introduzione –, il professor André Leroi-Gourhan – che ha indirizzato con tanta pazienza i primi passi di un filosofo verso la documentazione etnologica –, il professor Jean Hyppolite – la cui cortesia ha facilitato in maniera determinante il mio compito –, il mio maestro Gaston Bachelard, i professori Ferdinand Alquié e Leon Cellier, miei amici, e tutti coloro che hanno compreso, incoraggiato, guidato e assistito lo sforzo di sintesi alla base di questo libro: a loro offro l’omaggio dei miei ringraziamenti.
G.D.
gennaio 1960
Libro primo
IL REGIME DIURNO DELL’IMMAGINE
Semanticamente parlando, si può dire che non c’è luce senza tenebre mentre il contrario non è vero, dal momento che la notte ha un’esistenza simbolica autonoma. Il regime diurno dell’immagine si definisce dunque, in maniera generale, come il regime dell’antitesi.
Questo manicheismo delle immagini diurne non è sfuggito a quanti si sono cimentati nello studio approfondito dei poeti della luce. Abbiamo già notato, con Baudouin, la doppia polarizzazione delle immagini di Hugo attorno all’antitesi luce-tenebre. Analogamente Rougemont ha cercato di isolare il dualismo delle metafore della notte e del giorno nei trovatori, nei poeti mistici del sufismo, nel romanzo bretone, di cui Tristano e Isotta è un illustre esempio, e nella poesia mistica di san Giovanni della Croce. Secondo Rougemont si tratta di un dualismo di ispirazione catara che strutturerebbe tutta la letteratura occidentale, irrimediabilmente platonica. Guiraud, da parte sua, rileva in maniera eccellente l’importanza delle due parolechiave più frequenti in Valéry, «puro» e «ombra», che formano «l’asse portante della scenografia poetica». «Semanticamente» questi due termini «si oppongono e formano i due poli dell’universo valéryano: essere e non essere […] assenza e presenza […] ordine e disordine». Guiraud sottolinea la forza di polarizzazione insita in tali immagini assiomatiche: attorno alla parola «puro» gravitano «cielo», «oro», «giorno», «sole», «luce», «grande», «immenso», «divino», «duro», «dorato», ecc.; a «ombra» si associano invece «amore», «segreto», «sogno», «profondo», «misterioso», «solo», «triste», «pallido», «pesante», «lento». Il fonetista evidenzia altresì l’opposta sonorità dei due termini: «u», o meglio «i», è la più acuta delle vocali, mentre «on» è la più grave. L’istinto fonetico del poeta, facendogli prediligere la ricerca di questi due suoni, coincide con la vocazione delle immagini. È perciò del tutto naturale che i capitoli dedicati al regime diurno dell’immagine si dividano in due grandi parti antitetiche, la prima – il cui titolo acquisirà senso grazie alla stessa convergenza semantica – incentrata sul fondo di tenebre da cui si staglia lo splendore vittorioso della luce, la seconda intesa a illustrare la riconquista antitetica e metodica degli avvaloramenti negativi della prima.
27 giugno 2009 | Liberal |