La chimica del cosmo
Dall'idrogeno alle strutture complesse della vita
Un viaggio nella chimica del cosmo, dalla formazione dei primi atomi e molecole fino alla costituzione delle complesse strutture chimiche necessarie alla nascita della vita.
- Collana: ScienzaFACILE
- ISBN: 9788822068538
- Anno: 2014
- Mese: luglio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 288
- Note: illustrato a colori
- Tag: Scienza Chimica Big Bang Astronomia Universo
All’inizio, l’Universo conteneva idrogeno, più due o tre altri elementi. Oggi conta oltre cento elementi chimici e innumerevoli composti che sono riusciti a organizzarsi fino a costruire forme di vita complesse come gli esseri umani. Come è avvenuta questa evoluzione? La risposta va cercata nell’astronomia, lo studio degli oggetti celesti e dei fenomeni del cielo. Sotto la guida di una semplice molecola, quell’H3+ che ha vissuto in prima linea l’evoluzione dell’Universo dai primi giorni fino a oggi, Steve Miller ci conduce in un originale viaggio lungo il fiume della chimica del cosmo. Partendo dalle sue sorgenti, ove la prima manciata di molecole ha visto la luce, affronteremo le rapide della nascita e della morte delle prime stelle che hanno arricchito il cosmo di nuovi elementi. Ci godremo le meraviglie del mezzo interstellare, poi ci incammineremo lungo le diramazioni del fiume, fino alle terre abitate dai pianeti giganti del Sistema Solare e da comete, asteroidi e meteoriti. Dopo questa deviazione, torneremo lungo il corso principale del fiume e lo seguiremo fino al delta, regno dei pianeti extrasolari. Lì, lasciata la nostra guida, ci tufferemo nel mare della vita. Nel viaggio, incontreremo alcuni dei grandi scienziati che, molecola dopo molecola, hanno svelato i segreti della chimica del cosmo.
Prologo - 1. Una nebbia violetta: presentazione della nostra guida - 2. L’Universo primordiale: la sorgente della chimica - 3. Giù per le rapide del fiume: vita e morte delle prime stelle - Intermezzo. Come la nostra guida è stata scoperta, rinnegata e poi riaccreditata - 4. Lungo il fiume: cucinare alla luce delle stelle - 5. A pesca di molecole - 6. Lungo le diramazioni: nella terra di nani e giganti - Intermezzo. Alla ricerca della nostra guida cosmica - 7. Al delta. Gli esopianeti: mondi, ma non come li conosciamo - 8. Verso il mare della vita - Epilogo - Bibliografia annotata e letture consigliate - Alcuni numeri utili - Indice analitico
6.Lungo le diramazioni:
nella terra di nani e giganti
Quando, nel dicembre 1995, il veicolo spaziale della NASA Galileo raggiunse Giove, stava facendo visita a un vecchio amico.
Il gigante del Sistema Solare (con una massa di circa 2 miliardi di miliardi di miliardi di chilogrammi è circa trecento volte più massivo della nostra Terra) era già stato abbordato da quattro missioni spaziali a lui dedicate negli anni ’70, e aveva fatto la fugace conoscenza di un’altra sonda nel 1992. Detto ciò, di certo non vi aspettate che qualcuno giunga a casa vo stra, bussi alla porta, si accomodi sul divano, poi vi tiri qualcosa in faccia. Eppure Galileo si è comportato proprio così: non ap pena raggiunta la posizione ideale, ha lanciato una sonda in pro fondità nell’atmosfera del gigante gassoso (figura 6.1).
Uno degli obiettivi principali della missione Galileo era scoprire di che cosa fosse fatto Giove e quale fosse la sua struttura, due conoscenze essenziali per comprendere quali fossero le caratteristiche del Sistema Solare al tempo della sua nascita, quando, oltre quattro miliardi e mezzo di anni fa, si era formato da una nube vorticosa di gas e polvere.
Ci siamo dunque allontanati dal mezzo interstellare, quel fiume chimico di gas e polveri che generazioni di stelle hanno arricchito degli elementi pesanti necessari per la vita, prima producendoli nelle fornaci nucleari al loro centro, poi riversando il proprio cuore nello spazio quando sono esplose come supernove o quando, più gentilmente, hanno deciso di trascorrere una vecchiaia più tranquilla e dare vita a nebulose planetarie. Affinché potesse nascere il Sistema Solare, quel fiume si è dovuto dividere.
Forse a causa di una vicina esplosione di supernova, una parte ha subìto uno scossone che l’ha resa un po’ più densa; la gravità ha così potuto fare il suo corso, e radunare una quantità di gas e polvere sufficiente a formare il Sole, lasciandone comunque in giro abbastanza da formare i pianeti e il resto dei detriti, composto da asteroidi, comete e altri corpi celesti minori.
La nube di gas dalla quale si è formato il Sistema Solare, che va sotto il nome di nebulosa protosolare, non ha però solo iniziato a contrarsi sotto l’azione della gravità: ruotava anche su se stessa. Vista «dall’alto», grosso modo da quella direzione che chiamiamo nord, girava in senso antiorario. Il centro della nebulosa, che si sarebbe in seguito contratto fino a formare il Sole, ha iniziato a ruotare sempre più velocemente, come una ballerina che avvicina le braccia al corpo. Oggi, il Sole impiega circa venticinque giorni a compiere una rotazione completa attorno al proprio asse. In realtà, avrebbe dovuto ruotare molto più in fretta, ma parte del momento angolare associato alla rotazione della nebulosa protosolare è stata trasferita al disco di materia circostante, sia mediante la propagazione di onde turbolente che si sono diffuse attraverso i gas e le polveri, sia per mezzo di un processo noto come frenamento magnetico, nel quale i cationi come la nostra guida chimica H3+ e il suo cugino deuterato H2D+ hanno interpretato un ruolo fondamentale: solo gli ioni – che siano cationi, con carica positiva, o elettroni, con carica negativa – potevano infatti «sentire» il campo magnetico in cui erano immersi e contribuire a frenare il Sole, aiutandolo a perdere parte del suo momento angolare. Mentre il Sole si stava formando, anche il disco di gas e polveri che lo circondava si è in qualche modo frammentato per formare i pianeti, che potevano agire come «deposito» per il momento angolare in eccesso. Nella configurazione odierna, circa il 60% del momento angolare totale del Sistema Solare è contenuto nell’aggraziato avanzare di Giove attorno al Sole. Quasi tutto il resto risiede negli altri pianeti giganti, Saturno, Urano e Nettuno, mentre al Sole ne spetta meno del 4%. Questo trasferimento di momento angolare dall’interno verso l’esterno della nube protosolare spiega perché tutti i pianeti e (quasi) tutti i corpi minori del Sistema Solare orbitano attorno al Sole nella stessa direzione.
Il nostro pianeta non ci può fornire un’immagine abbastanza realistica di quale fosse la composizione della nebulosa protosolare.
La Terra è piccola e, come tale, non è riuscita a trattenere un’atmosfera con la composizione tipica della nebulosa da cui ha avuto origine. Gli elementi leggeri, idrogeno ed elio, sono sfuggiti nello spazio interplanetario. In base a quanto sappiamo, il nostro pianeta è anche quello geologicamente più attivo: è eroso da pioggia, grandine, vento e onde del mare, ospita energici vulcani, ed è ricoperto da enormi placche di roccia che, senza riposo, trasportano i continenti qua e là sulla superficie del globo. E poi c’è la biosfera. Buona parte della Terra, se non tutta – dall’aria, alla terraferma, alle profondità marine – ospita forme di vita vegetali e animali, e creature molto più primitive. Nel corso di miliardi di anni, l’attività di tutte queste forme viventi ha cambiato e continua a cambiare terra, aria e mare.
L’ossigeno che respiriamo è stato introdotto per la prima volta nell’atmosfera da alghe verdi-azzurre, note come cianobatteri.
Queste creature sono state le prime a sviluppare la capacità di realizzare la fotosintesi, un processo che utilizza acqua e immette nell’atmosfera, appunto, ossigeno. In effetti, è proprio la presenza nell’atmosfera di ossigeno – un elemento chimico fortemente reattivo e corrosivo che dovrebbe essere confinato alle rocce e agli oceani terrestri – a fornirci la prova che quest’attività biologica è tuttora in corso. Quando i telescopi, le sonde spaziali e le loro strumentazioni di bordo saranno abbastanza potenti da permetterci di analizzare la composizione chimica di pianeti extrasolari simili alla Terra, l’eventuale scoperta di un’atmosfera ricca di ossigeno sarebbe la chiave per capire se sia possibile l’esistenza della vita all’esterno del Sistema Solare.
La Terra ha dunque subìto parecchie trasformazioni. Il Sole, invece, sarebbe sì in grado di raccontarci parecchio circa la composizione chimica della nebulosa protosolare, ma è caldo, con una superficie a circa 6000 gradi e un interno ben più rovente, cosicché qualsiasi molecola presente nella nebulosa dev’essere incorsa in un processo di atomizzazione. Fanno eccezione quelle regioni più fredde che appaiono sotto forma di macchie solari, dove si è osservata la formazione di molecole d’acqua che bloccano parte della luce proveniente dal centro della nostra stella.
Giove, d’altro canto, pur non avendo mantenuto le condizioni originarie della nebulosa protosolare, fornisce uno spaccato molto più fedele dell’originale miscela di gas.
14 settembre 2014 | Youtube - Monica Marelli |
09 settembre 2014 | greenews.info |
01 settembre 2014 | Coelum ASTRONOMIA |