Introduzione
Individuare e interpretare i fulcri del cambiamento
Dar conto delle ragioni che oggi e nella storia hanno prodotto tassi di crescita e modi di vivere così diversi tra paese e paese, e perfino all'interno degli stessi paesi, è un tema che appassiona da non poco tempo e anche di recente ha interessato molti autori. Alberto Asor Rosa (1992) sostiene che la scala planetaria alla quale agiscono i sistemi di produzione dominanti rende meno identificabili le relazioni di causa ed effetto tra i fenomeni. Se a ciò si aggiunge che il complessificarsi dei sistemi porta con sé la perdita d'attenzione, per non dire la rinuncia, verso l'individuazione delle «cause ultime», allora può essere inutile il tentativo che si compie nelle pagine che seguono, con riferimento all'area Euro-Mediterranea. Tuttavia noi crediamo che, nonostante le indubbie difficoltà esistenti, per il presente come per il passato, sia possibile far luce su almeno alcuni dei fulcri (si è cercato di isolare i principali) attorno ai quali oggigiorno si genera ed evolve il cambio socioeconomico. La rinuncia a questo lavoro, che opinioni quali quelle su citate rischiano d'indurre, non è tanto dovuta, a nostro avviso, a un'obiettiva difficoltà prodotta dall'accresciuta e crescente complessità dei fenomeni da analizzare, quanto è, invece, la conseguenza del non saper rinunciare ad approcci consolidati e a punti di vista cristallizzati in teoremi e discipline, che pur si rivelano sempre più inadeguati a interpretare l'articolarsi della realtà. In altri casi sono il risultato del comodo rifugiarsi nell'accettazione di sedicenti nuove forme di «pensiero convenzionale», che rendono tabù numerosi altri campi di esplorazione e ostacolano quindi una ricerca che osi guardare oltre l'utile immediato, cercando verso orizzonti lontani e sfocati quanto manca oggi nel panorama dell'agire e del pensiero, soprattutto dell'Occidente, e cioè quella necessaria illusione che renda accettabile il peso di un nuovo progetto sociale. Infine, anche se il nostro bisogno di risposta riguarda il presente, il richiamo al passato, alla storia, sembra inevitabile, se è vero che, come scrive Norberto Bobbio (2000): «…senza la memoria del passato non si capisce e si stravolge la storia del presente». Le origini storiche dell'ineguaglianza Per ora ci limitiamo a sottolineare, così come altri hanno ben espresso, che la necessità del richiamo a un orizzonte temporale più ampio nasce dalla convinzione che: «la storia è la politica del passato, e la politica è la storia del futuro» (Wiesel 2000), ed è con questa sensibilità che ci accingiamo al nostro compito di ricerca e di riflessione. Chi lo ha fatto prima di noi ha cercato di scoprire, su periodi più lunghi di quelli qui presi in esame, le ragioni della distribuzione del potere e della ricchezza. E gli interrogativi che questo lavoro ha suscitato sono drammatici e di grande rilievo. Si chiede Jared Diamond nel suo pregevole studio Armi, acciaio e malattie: Perché, ad esempio, gli aborigeni australiani non si sono messi a un certo punto a massacrare e conquistare gli europei o i giapponesi? (Diamond 1998: 5). Nei 13.000 anni trascorsi dalla fine dell'ultima glaciazione, in alcuni casi sono sorte società industriali vere e proprie, in altri società agricole prive di cultura scritta, mentre in altri ancora ci si è fermati a tribù di cacciatori-raccoglitori dotate di soli utensili di pietra. Tali disuguaglianze hanno avuto un'importanza fondamentale nelle vicende del pianeta, per il semplice fatto che i popoli industrializzati in possesso di una cultura ricca hanno conquistato o sterminato tutti gli altri. Queste diversità sono la base più evidente dell'intera storia del mondo, ma le loro cause rimangono tutt'altro che chiare. Come si sono originate dunque? (Diamond 1998: 3). Noi cerchiamo la risposta allo stesso quesito, anche se con l'attenzione a un periodo più limitato, l'ultimo mezzo secolo, e a una sola regione del mondo, il Mediterraneo, a cavallo tra due continenti, l'Africa e l'Asia. Le ragioni di questo interesse non sono originate solo dalla curiosità o dal bisogno di capire la storia passata, ma soprattutto dall'urgenza di individuare ed esplorare l'esistenza di tutti i possibili interstizi nei quali introdurre le leve che favoriscano un cambiamento a nostro avviso oggi desiderabile e necessario. Torneremo alla fine del nostro percorso sulle conclusioni avanzate da Diamond, che mettono l'accento su due fattori principali: anzitutto l'ambiente, menzionato dall'autore in modo esplicito e, in secondo luogo, la crudeltà degli uomini, deducibile dalle sue pagine. Tuttavia, per entrambi resta insoluto il problema del perché, cioè delle ragioni che deteriorano il primo e producono la seconda, sebbene in forme variabili: più accentuate in alcune zone e in alcuni gruppi umani che in altri. Questo interrogativo assume oggi nuova attualità e drammaticità, perché la logica dello scontro e la lettura dei «vincitori» e «vinti» spinge verso uno scenario di conflitti a somma zero, che potrebbe ridurre il pianeta terra nel corso dei prossimi decenni a una landa desolata, come quella dell'Isola di Pasqua, suggeriscono Diamond e altri ricercatori, nella quale i futuri visitatori non troveranno che poche tracce delle scomparse «civiltà» (Diamond 2005) […].