Quaderni di storia 74/2011
- ISBN: 9788822025746
- Anno: 2011
- Mese: luglio-dicembre
Semestrale
Saggi
LUCIANO CANFORA, Il corpusculum degli Epitafi ateniesi
MASSIMO STELLA, La filologia classica (e gli antichi) di Leo Spitzer: un caso di negazione nietzschiana
MARIOPANI, Individuo e Stato: gli auxilia istituzionali del cittadino romano
ANNALISA CAPRISTO, Fascismo e antisemitismo: nuove prospettive di ricerca
Miscellanea
FRANCESCO DONADI, Il raglio dell’asino
LUCIANO CANFORA, P. Berol. 21313, MP31522.04: un frammento inedito di commento a Tucidide
SABINE SZIDAT, Die Landkarte des Artemidor-Papyrus (P. Artemid.): Südliches Nildelta statt Hispanien
GIORGIO IERANÒ, L’ombra e il dipinto (Eschilo, Agamennone, vv.1327-1329)
RENATA RONCALI, Il Ludus Senecae nel codice Haarlem 187 C 14
MANFRED LOSSAU, Marathon –Rettung des Abendlandes
Inediti
LUIGI LEHNUS, Contributi inediti di Paul Maas al testo dell’Epitafio per i caduti ateniesi del 480-479
NUNZIOBIANCHI, «...Malgrado la compagnia di Caritone».Lettere di Aristide Calderini a Giuseppe Fraccaroli (1908-1913)
Strumenti
FEDERICO CONDELLO, “Artemidoro” 2006-2011”: l’ultima vita, in breve
Recensioni
Repertorio delle traduzioni umanistiche a stampa. Seccoli XV-XVI, a cura di M. Cortesi e S. Fiaschi (Luciano Bossina)
MARIA CIOTTI E ANDREA TRUBBIANI, Istituzioni economiche e sociali a San Marino in età moderna (Diego Davide)
AUGUSTO S. CACOPARDO, Natale pagano. Feste d’inverno nello Hindu Kush (Nunzio Bianchi)
Rassegna bibliografica
Recensioni
Repertorio delle traduzioni umanistiche a stampa. Secoli XV-XVI, a cura di M. Cortesi e S. Fiaschi (Luciano Bossina) MARIA CIOTTI E ANDREA TRUBBIANI, Istituzioni economiche e sociali a San Marino in età moderna (Diego Davide) AUGUSTO S. CACOPARDO, Natale pagano. Feste d’inverno nello Hindu Kush (Nunzio Bianchi)
Rassegna bibliografica
IL CORPUSCULUM DEGLI EPITAFI ATENIESI
ABSTRACT: A survey of the Athenian «logoi epitaphioi» (Thucydides, Plato’s
Menexenos, Demosthenes). None of them seems to be a “real” speech.
KEYWORDS: Epitaphios logos, Attic orators.
In un passo molto spiritoso della Retorica (III, 12, 5 = 1414a, 7-10), Aristotele descrive il rapporto delle tre forme di oratoria – politica, giudiziaria, epidittica – con la pratica della redazione per iscritto. «L’oratoria politica – scrive – rassomiglia alla pittura con le ombre (= che vuol ottenere l’effetto della prospettiva: skiagrafivaÊ): quanto maggiore è la massa che ascolta, tanto più da lontano avviene la visione, e perciò la precisione è superflua», «quella giudiziaria – prosegue – è più precisa» (onde – osserva – non sempre lo stesso oratore è adatto ad entrambe); «la composizione epidittica invece ha sommo bisogno della scrittura (grafikwtavth): infatti viene letta (to; e[rgon aujth`~ ajnavgnwsi~)».
Questo dato, che doveva essere noto ad Aristotele grazie alla diretta esperienza del suo lungo soggiorno ateniese, potrebbe far pensare che l’oratoria epidittica (e dunque a rigore anche gli epitafi) fosse destinata a conservarsi in larghissima parte appunto perché redatta per iscritto.
È ovvio che Aristotele si riferisse a composizioni come l’Erotico di Lisia preso in giro da Platone nel Fedro, ma soprattutto all’oratoria isocratea: di Isocrate e dei suoi scolari e imitatori (gli encomi di Teopompo per Filippo e per Alessandro; Teodette, Naucrate etc.).
Per quel che riguarda gli epitafi invece possiamo osservare che semmai è avvenuto tutto il contrario. Gli «epitafi» giunti a noi sono di fatto gli stessi di cui disponevano, ad Alessandria, nel I secolo d.C., Elio Teone autore dei Progymnasmata, e non molto dopo (ma la cronologia è difficilmente precisabile) lo pseudo-Dionigi autore della Techne Rhetoriké. Lo pseudo-Dionigi (VI, 1 = II, p. 278, 4-7 Usener-Radermacher) fornisce questo elenco degli epitafi a lui noti: Tucidide, Platone, Lisia, Iperide e Demostene. E aggiunge alla lista «l’amico di Isocrate Naukrates», cioè Naucrate di Eritre, che però non ha a che fare con gli epitafi ateniesi bensì con la gara oratoria indetta ad Alicarnasso da Artemisia in morte di Mausolo (FGrHist 115 T6; cfr. Fozio, Bibl., cap. 176 = 115 F25 Jacoby). Gara in cui furono coinvolti anche Teopompo e lo stesso Isocrate, maestro di entrambi.
E avrebbe potuto includere nella lista il più insigne modello, l’epitafio (fittizio) di Gorgia (= frr. 5 e 6 Diels-Kranz) celebre per audacie espressive quali gli avvoltoi definiti «tombe viventi» e Serse «Zeus dei Persiani», che indussero un tardo retore alessandrino di buon gusto, Atanasio sofista, a parlare, a proposito di quella prova estrema di bravura gorgiana, di «ridicolo risultato» e di «frastuono degno di fanciulli».
ABSTRACT: In this paper I have tried to point out how the epistemological paradigm of German classical philology, as it has been worked out by Wilamowitz and later redefined by his follower Werner Jaeger, have had a pivotal role in Leo Spitzer’s approach to his own work as a romanistic philologue. As a final aim of this enquiry,
I try to enlighten the implicit dialogue (via Wilamowitz-Jaeger) between Leo Spitzer’s idea of “classical harmony” – as it has been worked out in Spitzer’s last and posthumous book, Classical and Christian Ideas of World Harmony – and Nietzsche’s Die Geburt der Tragödie.
KEYWORDS: Classical philology, Tragedy, Theater, Ancient, Modern, Nietzsche, Wagner.
Il filologo insoddisfatto dello specialismo puro
vive in un tumulto di esigenze e di impressioni di
cui apparentemente è impossibile venire a capo
nella tarda antichità latina e nel Medioevo
Ritorno agli antichi
Senza la filologia classica come centro (e naturalmente io includerei nella filologia classica lo studio dell’antichità cristiana), tutte le recenti filologie moderne sono condannate al fallimento, tanto nel campo della semantica quanto in quello della storia delle idee. […] La «filologia romanza», la «filologia germanica» e la «filologia inglese», come si insegnano comunemente, ciascuna per suo conto, e senza considerarne sistematicamente le radici nell’antichità (pagana e cristiana) sono prive di senso […]. Gli istituti di filalogia romanza o germanica dovrebbero essere tributari dell’istituto di greco e latino, ed indipendenti da questo soltanto in quanto trattino fenomeni esclusivamente romanzi o germanici. Io stesso ho dovuto soffrire, lungo tutta quanta la mia carriera di romanista, dell’interruzione dei miei studi classici dopo il Gymnasium, per colpa di quell’insegnamento universitario delle lingue (e storia letteraria) romanze che le separava dal latino e dal greco.
ABSTRACT: In various contexts, the notion of auxilium in Rome takes the technical meaning of “institutional instrument of protection”, a guarantee for the citizen against the offenses, also by public autorities. The freedom of the ancients is not only, with Constant, political freedom, but also private freedom, and public authority (the ancient State) must protect it.
KEYWORDS: Individual Guarantees, Freedom, Ancient Rome.
È fra i temi attuali dibattuti nell’interpretazione del mondo romano se e fino a che punto l’autorità pubblica centrale consensualmente riconosciuta (l’insieme di norme, simboli, apparati, procedure), che possiede «il monopolio dell’uso legittimo della forza» e che potremmo chiamare, almeno per convenzione, Stato, riconoscesse dei diritti individuali, che si porrebbero quindi fuori dall’ambito pubblico e da intendere, da parte nostra, come diritti soggettivi.
Il tema si collega, in definitiva, ad un altro dibattito attuale: quello sulla democrazia nel mondo antico. In genere si discute di democrazia pensando soltanto alla democrazia politica: cioè al ruolo del popolo nei processi decisionali pubblici. Eppure su un piano diverso da quello su cui attualmente si dibatte, dal punto di vista cioè dei diritti e della stessa idea di libertas, la democrazia a Roma aveva, plausibilmente, una portata più ampia ed investiva la concettualizzazione di quella che noi chiameremmo una piena «democrazia liberale», cioè quella di un apparato statale che protegge anche la libertà della singola persona.
Nella democrazia liberale la libertà è intesa anche come diritto del cittadino a non subire danni dagli altri e dallo Stato stesso, anche in quei beni comuni, cui ha diritto, e che lo Stato deve anche tutelare per lui. Idea che nella cultura di Roma antica, in effetti, è presente.
ABSTRACT: Why, in 1938, 16 years after seizing power, did the fascist regime decide to adopt an anti-Semitic policy in Italy? Was it merely an instrumental decision aimed at strengthening the axis with Nazi Germany and at consolidating the totalitarian state after the conquest of Ethiopia and the proclamation of empire? Or was anti-Semitism inherent to Mussolini’s thought and political action before the official turning point of 1938–however different it may have been from the violence and radicalism of Nazi ideology? In this article I will analyze the responses that Italian historiography has provided to these questions, dwelling upon the new documentary and interpretative findings that in the past years have offered new perspectives on this topic and aroused critical debate.
KEYWORDS: Italian Fascism, Anti-Semitism, Historiography, Fascist racial legislation,
Italian Jews; Holocaust.
A più di 70 anni dall’avvio ufficiale della persecuzione antiebraica nell’Italia fascista, sulle ragioni della svolta mussoliniana del 1938 la storiografia italiana è profondamente divisa.
Mentre alcune acquisizioni interpretative di fondo (la durezza della normativa antiebraica e la responsabilità italiana nella Shoah) sono ormai condivise e segnano, come vedremo, una notevole discontinuità con il passato (sostanzialmente, con l’interpretazione fornita da Renzo De Felice nella sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo), altri aspetti altrettanto centrali (come l’antisemitismo di Mussolini prima del 1938 e le caratteristiche del razzismo fascista) sono tuttora molto controversi.
In questo saggio mi propongo di illustrare le acquisizioni più rilevanti della ricerca storica su questi temi a partire dal 1988 e i principali punti critici del dibattito storiografico italiano degli ultimi vent’anni.