Now the European dimension determines our civil as well as national life. Only through a real Federal union, the European people could still be somebody in the global world and not just victims of other people’s choices. Only in this way, even Italy, although badly ruled, perhaps will be able to avoid the civil and financial bankruptcy.
As Europeans, we are starting to be recognized from the other citizens of the world, but Europe has not become a decisive element of our civil identity. The «democratic deficit» of the inter-government Europe, its constant paralyses to decide, its treaties empty of a comprehensible logic, make it a scapegoat of a demagogic and masochist populism.
The common sense acknowledges to the European integration the only virtue, now considered almost a banality, to have made so diverse countries and peoples coexist and collaborate peacefully and in prosperity.
Anyway, the European building cannot be a confederation between aliens or a little Onu. On the contrary, it forces to rethink about what the political subjectivity represents in the global world.
Giulio Ercolessi
Europe is going towards the suicide?
Without Federal Union, European people?s future is doomed
preface by Federico Orlando
On the elections’ eve, European people have to wonder about the meaning of State, nation and political subjectivity in the global world.
- Series: Libelli vecchi e nuovi
Subject: Politics
Year: 2009
Month: march
Format: 12,5 x 21 cm
Pages: 240
Prefazione di Federico Orlando – Premessa – 1. L’Europa, unita verso una tranquilla estinzione politica. Un destino che non è ineluttabile – 2. Liberi tutti? - I costi dell’irresponsabilità degli Stati – 3. L’Europa degli Stati, vittima e capro espiatorio delle loro deficienze – 4. In lode dell’Europa dei mercanti – 5. I confini delle identità politiche – 6. L’identità europea: retaggi atavici e modernità europea – 7. L’identità europea: radici cristiane e laicità dell’Europa – 8. L’identità europea: “gabbia d’acciaio” o Europa del diritto e dei diritti – 9. Le alternative all’Europa federale – 10. I confini dell’Europa politica – 11. La lista d’attesa: i Balcani – 12. La lista d’attesa: l’anello esterno – 13. La lista d’attesa: la Turchia – 14. Come uscire dall’impasse – 15. Schizzo di un’idea europea molto costruttivista – Prima postilla – Del multilinguismo e della democrazia – Seconda postilla – Italia extracomunitaria
Prefazione
di Federico Orlando
Questo “Libello” di Giulio Ercolessi ha per titolo e sottotitolo una domanda e una risposta: L’Europa verso il suicidio? Senza Unione federale il destino degli europei è segnato. È un bel tuffo nel pessimismo, da cui però l’autore cerca di farci uscire con un po’ di tepore costruttivista già sperimentato, e cioè l’utopia che dall’Ottocento parla di Stati Uniti d’Europa; e che negli ultimi sessant’anni, dopo l’apocalisse ideologie-dittature-guerra, ci ha consentito di ringiovanire e di lavorare a un periodo di sviluppo, di quasi benessere e di quasi pace, mai così a lungo e ampiamente raggiunti.
Parlare di pessimismo a noi italiani non è difficile, perché, come componenti dell’Europa dei ventisette, siamo anche noi fibre di una medusa che si disfa al sole, nello sciacquìo della battigia; perché vediamo il nostro paese definitivamente estirpato dalle sue radici laiche, liberali, europeiste del Risorgimento, in cambio di indulgenze e voti, al Moloch cattolico e ai suoi tentacoli, totemici, fascisti, inquisitori, oscurantisti; perché in questo clima ultrasalazariano anni ’30, dove anche i residui Perejra sono stanchi, cose anche normalmente ovvie e altrove praticate, come lo sbarramento elettorale alle elezioni europee, diventano mezzi di occhiuta rapina dei più forti (maggioranza e opposizione) contro i più deboli: che come voci della cultura debbono infatti potersi manifestare da una tribuna. Come nel mondo anglosassone e non solo. Così stiamo inseguendo un bipolarismo che, a furia di leggi maggioritarie coatte, si trova in un monopolarismo bipartitico; e una società che invece di moltiplicare le fonti dello spirito pubblico si ultrafrantuma in fazioni senza voce.
Questo “Libello” ci rafforza nella convinzione che l’anomalia italiana rispetto all’Europa occidentale si chiama non solo destra (anche un pastore sardo coglierebbe la differenza tra Berlusconi, Gasparri, Cicchitto, Formigoni, Quagliariello per un verso, e Merkel, Sarkozy, Rajoy, Cameron, per l’altro). L’anomalia italiana si chiama anche sinistra (dal Pd alle schegge) che nei suoi quadri e truppe non giovani continua a nutrire nei confronti della liberaldemocrazia europea e americana la stessa idea che ne aveva prima di usarne la bandiera: idea non meno caricaturale di quella che ne hanno i conservatori della destra liberista. Più che la reciproca legittimazione, rischiamo allora di realizzare nelle provette del monopartitismo bipartitico la reciproca berlusconizzazione, un weberismo che attua la sua Führerdemokratie con il capo carismatico e con il protagonismo formale delle masse (primarie a sinistra, assemblee di ratifica a destra). In fondo, Berlusconi che dice al Quirinale «O mi fai governare per decreti legge o, se la Costituzione non lo permette, straccio la Costituzione, torno al popolo e ne faccio un’altra», altri non è che un “capo carismatico” weberiano deviato. Estraneo ai tre princìpi attorno ai quali è cresciuto il liberalismo degli ultimi tre secoli: laicità della politica, limitazione del potere, rule of law. Sicché se oggi riscrivessimo la Costituzione italiana ci troveremmo in un regime del capo carismatico, come quello studiato da Cavalli nei saggi del Mulino di qualche decennio fa, che chiusero il secolo della Führerdemokratie inaugurato nei primi decenni da Weber. E la Costituzione liberaldemocratica (bolscevica, dice Berlusconi) del 1946-48 finirebbe nella polvere come la Costituzione di Weimar nel 1933.
Già questo sguardo al nostro cortile di casa, che sta pur sempre nel condominio dell’Unione Europea, fa intendere che la cavalcata di Ercolessi per i secoli e i territori del continente porta alla prospettiva di un’Europa verso il suicidio, se un miracolo di tipo federale non viene a salvarla: il miracolo, ricorrente, che riscalda l’inverno delle nostre speranze. L’Italia è il paese che, per un breve periodo (Repubbliche marinare, Signorie, Rinascimento), ha dato la sua lingua al resto dell’Europa per comunicare, come in passato, il greco e il latino e, dopo, il francese e l’inglese. Oggi è, anche per titoli più recenti, naturalmente tra i paesi avanzati a cui chiedere di costituire il nucleo duro nell’Europa dei ventisette: nucleo dichiaratamente federalista, insieme agli altri paesi dell’Europa carolingia.
Ma l’Italia della Führerdemokratie strapaesana, il cui Risorgimento è stato rinnegato e demonizzato per riconquistare la grazia del papa tedesco, non può – scrive Ercolessi – considerarsi civilmente molto lontana e diversa, anche se più ricca, dei paesi posti alla periferia dell’Europa sviluppata. Paesi che giustamente stanno nell’Europa dei ventisette, come Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, non fosse che per i debiti accumulati dall’Europa carolingia nei loro confronti durante il Novecento; e anche altri paesi in lista d’attesa, il cui ingresso è già problematico nell’Unione dei ventisette. Figurarsi in una prospettiva di Federazione europea.
Con la nuova legislatura europea e la nuova Commissione stavolta si rischia di non ritrovare il filo di Arianna che, dalla Ceca e dall’Euratom alla conferenza di Messina, ai trattati di Roma, alla pace renana di Kohl e Mitterrand, alla Commissione Prodi, all’euro, al trattato costituzionale, ci ha consentito di uscire dal labirinto del Minotauro verso la luce.
Dalle ultime elezioni europee il mondo è cambiato. Ha vissuto l’estasi e la depressione dell’orgia drogata, i paradisi artificiali del globalismo e dell’economia finanziarizzata. L’Europa ha partecipato all’orgia anche diventando più numerosa e meno coesa. Abbiamo ancora una Presidenza che cambia ogni sei mesi, a rotazione, dalla Germania a Malta; e al momento il Presidente del paese che detiene la presidenza di turno è un euroscettico ceco, che non alza sul castello di Praga la bandiera dell’Unione perché non crede all’Europa, almeno per ora.
In Scozia, operai inglesi del petrolio si ribellano contro operai in arrivo dalla Sicilia, perché la crisi è la crisi («Lavoro inglese a lavoratori inglesi», aveva già detto l’incauto Brown, per risalire nei sondaggi). Ma, insieme alla libera circolazione delle merci e dei capitali, quella degli uomini è stata la sostanza non ancora federalista ma fortemente integrante – dell’Unione da Palermo a Edimburgo, da Lisbona a Varsavia, per decenni.
In Italia la rivolta è contro l’immigrato romeno che, a differenza dell’“idraulico polacco” che terrorizzò la Francia per la temuta concorrenza al ribasso, è realtà in carne e ossa e fa dire alla Lega «Troppi stranieri, dobbiamo essere cattivi con loro». Qualche ragione certo l’aveva Mitterrand quando consigliava prima approfondissement e poi élargissement. Se l’Europa a ventisette è nata un po’ prematura, l’Europa dall’Atlantico agli Urali, o quasi, non sarebbe stata e non sarebbe Unione Europea, e meno che mai avrebbe potuto avere sogni di Federazione. Dunque l’Europa va ripensata a partire da com’è oggi, con gli acciacchi di un’ultracinquantenne e con la debolezza di una vecchiaia improvvisa, portatale dalla crisi proprio quando cominciava la terza età, quella delle realizzazioni mature.
Come ripensarla? Se a Ercolessi sembra che i fautori dell’Europa dall’Atlantico agli Urali (e come escludere la Russia siberiana, dagli Urali al Mar del Giappone e allo Stretto di Bering?) erano sostanzialmente i nemici del federalismo e perfino dell’unionismo, a noi sembra anche che proprio gli Stati che dovrebbero far parte del nucleo duro sono quelli che stanno lavorando per avere in autunno una Commissione debole, che lasci indebolire l’Europa e rafforzare gli Stati. Diciamo la verità: Sarkozy non avrebbe potuto dare le risposte che ha dato alla crisi in termini di interventismo finanziario e protettivo, se l’Europa fosse stata più forte, cioè più coesa. A Parigi, e forse a Berlino, e certamente a Roma, le tre maggiori capitali dell’Europa carolingia, c’è chi auspica una nuova Commissione Barroso: debole, appunto, incapace di imporre agli Stati rinunce di sovranità. Mentre l’euro sta tenendo bene, si dimostra un collante solido per chi ci sta dentro. Lo scopre la Gran Bretagna, travolta anche dalla debolezza della sterlina. […]
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