Written in the form of a thriller, this novel is set in a Roman neighborhood. The characters are some natives and immigrants, two cat-lovers, a Polish veterinarian, an atypical policeman, a little speculator, a prestigious and powerful gang of criminals, four dogs and the cats’ colony of the neighborhood. An old anarchist, erudite and eccentric, is the alter ego of the narrator, a cat-lover archaeologist. The main character is a cat, Spelix, that solves the plot of the murder, thanks to its extraordinary instinct and its habit of collecting items that gives to its protectresses. Spelix is an apologue, very close to life, on the intolerant and authoritarian tendencies of our contry: the decline of cats’ love and protection goes hand in hand with the growth of contempt and hostility towards outsiders and different people. After all, it is a moral short work about coexistence and respect among equals and different persons. It is also an experimental attempt to return the dialects of ordinary people, especially the Roman dialect of immigrants.
Annamaria Rivera
Spelix
Story of cats, immigrants and a crime
What has a cat to do with a murder, xenophobia, the authoritarian society, the malfeasance of powerful people? To find out about it, just read this novel.
- Series: Fuori Collana
Subject: Literature and fiction
Year: 2010
Month: october
Format: 13 x 21 cm
Pages: 208
Prologo - 1 Spelix e gli altri - 2 La minaccia - 3 Le due signore - 4 Mattia - 5 Il delitto - 6 Il colpevole - 7 L’isola incantata - 8 Zyg e Mezzacoda - 9 Il signor Errico - 10 Brahim - 11 Ciro - 12 Un po’ di filosofia - 13 Iqbal e Uddin - 14 Karima - 15 Una piccola frattura - 16 I cinesi - 17 L’arma del delitto - 18 La vittima - 19 La riabilitazione - 20 Dorine - 21 Claudietto - 22 Manuel - 23 Il perdente e il salvato - 24 La svolta - 25 Il maresciallo Augiello - 26 Hassan - 27 I ciarlatani - 28 Riti di passaggio - 29 Il sodalizio - 30 Il palazzinaro - 31 Er Ciriola tacque - Epilogo
Una notte mentre rincasavo con Jean-Claude lo vidi, Spelix, che si faceva accarezzare da qualcuno. Rimasi sbalordita: era un privilegio che credevo concedesse solo a me. Perfino dalle due signore si faceva sfiorare raramente.
Solo quando fummo vicini lo riconoscemmo: era Claudio, detto Claudietto per via della statura ben inferiore alla media, ma più spesso chiamato Claudié, uno che abitava al quarto piano della nostra stessa scala. Tornava dal ristorante di Trastevere dove lavorava come cameriere e procacciatore di clienti, come buttadentro, insomma.
Era un tipo affettuoso ed espansivo, perfino troppo estroverso, un po’ esibizionista. Nelle ore libere dal lavoro suonava la chitarra elettrica e collezionava vecchi dischi di rocker famosi. Quando poteva, frequentava un centro sociale dalle parti di Cinecittà, per partecipare ai corsi di teatro e di graffitismo, meno alle iniziative politiche, che gli interessavano poco. Faceva parte di un gruppo di graffitisti di nazionalità diverse che, se ricordo bene, si chiamava Bastardi crew.
Claudietto ci salutò con calore e quando mi chinai a mia volta per accarezzare Spelix, ci fece:
− Ahò, ’sto gatto è ’na favola, me fa ammattì! Voi sapete c’a mme ’e bbestie me vann’a faciolo, ma ’sto tipo qua è davero speciale. Guasi tutte ’e notti s’apposta a ’a svortata de dove arivo pe’ fasse alliscià. E v’o devo dì: a me ’sta cosa me rilassa, me fa passà ’a stracchezza e l’incazzatura der lavoro.
Alcune volte l’avevo visto al lavoro in quel ristorante carissimo, frequentato da notabili, vedette televisive e turisti danarosi. Passando da quelle parti, mi era capitato di sorprenderlo all’opera: stava sulla soglia appostato come un falco, pronto a ghermire il turista malcapitato.
Agitava il tovagliolo bianco con l’abilità di uno sbandieratore e faceva numeri da clown per attirare i clienti.
Certe volte indossava qualcuno dei suoi travestimenti bizzarri: un tutù da ballerina di chiffon rosa o un chimono nero da samurai, con spade rosse e draghi verdi ricamati.
Aveva doti istrioniche notevoli e una capacità straordinaria d’imitare qualsiasi voce e parlata. Avrebbe voluto fare l’attore comico, ci aveva confidato, ma si doveva accontentare «de fà er buffone pe’ ’sti mignatta de mmerda. Se no, chi ’a sente mi madre?».
(…) Per arrotondare le sue entrate, delle volte la domenica mattina faceva il centurione fra il Colosseo e i Fori Imperiali. In due o tre occasioni mi era capitato d’incontrarlo in quella zona. Piccolo com’era, sembrava scomparire sotto l’armatura di latta dorata e l’elmo col pennacchio rosso. Ma gli riusciva così naturale fare il gigione che attirava comunque i turisti. Per ragioni opposte, erano i bambini più piccoli e gli adulti più alti e corpulenti che lo preferivano accanto per la classica foto col Colosseo alle spalle: i primi perché così si sentivano meno piccoli, i secondi per senso dell’umorismo o forse per il gusto sadico di umiliarlo.
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