Introduzione
Così scrive Michele Emmer, matematico e pensatore italiano tra i più sensibili all’interazione tra matematica e arte: L’attenzione che i matematici hanno per le qualitàestetiche della loro disciplina [...] è notevole; da quidiscende l’idea di molti matematici, anche contemporanei,che l’attività matematica e quella artisticasiano in qualche misura molto simili, paragonabili.
La creatività sarebbe il fattore che unisce matematica e arte, arte e scienza più in generale (Emmer, 1991, p. 27).
Poche pagine dopo, lo stesso Emmer affianca due citazioni che sembrano instaurare una vera e propria equivalenza logica tra matematica e immaginazione: «La più alta categoria dell’intelletto immaginativo è sempre eminentemente matematica» (Edgar A. Poe); «La facoltà che mette in moto l’invenzione matematica non è il ragionamento, bensì l’immaginazione» (Augustus De Morgan).
Faccio mie le parole di Giorgio Bagni: La ricerca matematica (e, più in generale, la ricercascientifica), quindi, sarebbe resa possibile,verrebbe addirittura guidata, dalla creatività e dall’immaginazione,così come lo è la ricerca artistica.
Non possiamo certamente escludere un importante nesso tra la scoperta (nelle scienze naturali), l’invenzione (nella matematica) e l’atto umano dell’immaginare, del creare. Ma un tale legame, se isolatamente affermato, può risultare troppo vago e semplicistico: in questo senso, allora, ogni espressione del pensiero umano, ogni azione, ogni riflessione appare, in ultima analisi, inscindibilmente basata sulla creatività. Limitare il legame tra la matematica e l’arte a questo loro comune denominatore (peraltro evidente e scontato) equivarrebbe banalmente ad affermare che entrambe sono attività umane: affermazione indubbiamente vera, ma certo un po’ troppo generica per apparire significativa (Bagni, 2000, p. 51).
Non manca di notare, a tale riguardo, ancora Emmer: La creatività, che dovrebbe spiegare tutto, rischiadi non spiegare nulla. È più significativo [...] andarea esaminare delle situazioni ben precise eanalizzare possibili connessioni, piuttosto che parlarein generale di legami tra arte e scienza(Emmer, 1991, p. 28).
Concordo pienamente con questa affermazione. Nel presente volume desidero proporre alcune riflessioni dedicate a settori specifici nei quali la matematica e l’arte hanno trovato, nella storia del pensiero umano, fecondi campi di interazione, nel senso più ampio di questo termine. Elementi decorativi come le spirali, le eliche e i più raffinati fregi ornamentali possono essere introdotti e studiati matematicamente; i labirinti possono essere analizzati razionalmente dal punto di vista della loro struttura matematica.
Le grandi ricerche geometriche che hanno portato a trattati come l’Ottica di Euclide e il De prospectiva pingendi di Piero della Francesca sono tra le più significative della storia della matematica; hanno inciso sensibilmente nella formazione di nozioni fondamentali quali la prospettiva e, da essa, i concetti della geometria proiettiva (Freguglia, 1982; Bagni, D’Amore, 1994). I risultati di geniali matematici come Leonardo da Pisa (il celebre Fibonacci) e August Ferdinand Möbius (1790-1868), i capolavori di artisti come l’olandese Maurits Cornelis Escher (1898-1972) e lo svedese Oscar Reutersvärd rappresentano autentici punti d’incontro inscindibili tra la cultura matematica e la cultura artistica.
E ora, una nota personale che il lettore vorrà scusare, necessaria a questo punto.
Questo percorso era iniziato nei primissimi anni ’90, in accordo con due cari amici, un maestro, Francesco Speranza (1932-1998), e un allievo, Giorgio Tomaso Bagni; il progetto era molto ambizioso: tre matematici amanti dell’arte che volevano dimostrare che si può parlare d’arte matematicamente. In realtà, come mostrerò con dettagli, il discorso con Francesco era iniziato già vent’anni prima, negli anni ’70.
Incontri, scambi di idee, discussioni, esempi, portarono a imbastire il discorso, annotare alcuni dettagli, scrivere qualche riga. La scomparsa improvvisa di Francesco nel 1996 bloccò emotivamente tutto; Giorgio e io decidemmo che avremmo portato a termine l’impresa, proprio in onore del maestro comune, poi invece tutto si bloccò. Di nuovo scambi di idee, un paio di libri insieme come preludio al nuovo inizio di questa avventura. Se ne stava parlando di nuovo, nella primavera del 2009, come di una ipotesi da prendere nuovamente in considerazione, quando s’interruppe di nuovo bruscamente.
Ora, questo libro doveva essere finito; da solo, però, e senza il supporto di questi due straordinari studiosi, senza più dover difendere posizioni con accanite discussioni tra potenziali coautori, senza più il gusto del dibattito interno, dunque certo con minor prestigio e con minor veemenza.
Ma sentivo di dover condurre in porto comunque questa impresa, in nome loro; mentre scrivevo, in questi ultimi anni, sempre mi chiedevo che cosa mi avrebbero permesso di scrivere e che cosa no. Non lo saprò mai.
Certo, assai più dei miei due compagni dell’ipotetico e non effettuato viaggio congiunto, io mi ero spinto nei meandri dell’arte per l’arte, divenendo membro dell’AICA (Association Internationale des Critiques d’Art, con sede allora presso il Museo del Louvre), sezione italiana (con sede allora presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma), nel 1977.
Organizzai centinaia di mostre tematiche e personali, in tutta Italia; scrissi numerosi libri, articoli, presentazioni di artisti o gruppi o temi; arrivai a collaborare molto strettamente con il grande critico d’arte Filiberto Menna (1926-1989) sia nell’organizzare mostre, sia nello scrivere testi per cataloghi; a Roma, nella Galleria dell’Obelisco, nel 1974, realizzammo la mostra De Mathematica, della quale dovrò riparlare con maggiori dettagli in un prossimo capitolo, scrivendo insieme il testo per il catalogo (D’Amore, Menna, 1974, ancora in commercio!).
Fui segretario per più edizioni di una Biennale di pittura che si teneva in Veneto. Lanciai nei primi anni ’70 l’idea di Arte esatta, supportato soprattutto da Francesco Speranza, con tanto di mostra, convegno e dibattito presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna (D’Amore, Speranza et al., 1977), a Torino e Ferrara; anche di questa avventura dovrò parlare con maggiori dettagli a tempo dovuto. Con Francesco e Filiberto partecipai al famoso e molto selettivo Seminario di studi Arte e scienza: riflessioni teoriche e prospettive didattiche, nel 1984, voluto dal CEDE (Centro Europeo dell’Educazione), con sede in Villa Falconieri, a Frascati; e fui responsabile del felice connubio tra le «due culture» in tante tante altre occasioni. Con molta gioia, mi trovai citato più volte nei celebri lavori teorici di Menna sull’Arte analitica che diede una svolta notevole alla moderna storia dell’arte contemporanea (Menna, 1975); e con un certo orgoglio, scopro che chi scrive della storia dell’arte degli anni ’70-’90, ancora ricorda quel mio impegno e la mia militanza concretizzatasi con la proposta di idee allora piuttosto.
Dunque, il mio impegno personale sull’altro fronte fu molto più marcato di quello di Francesco e di Giorgio, anche se sono sempre stato attento a non mescolare le due attività, per evitare fraintendimenti.
Il che ora mi rende assai cauto ma allo stesso tempo più coraggioso (o irresponsabile) al momento di affrontare questa impresa duplice, schizofrenicamente disposto a rischiare nell’un campo e nell’altro, nella speranza di consegnare all’inconsapevole lettore riflessioni che, alla fine, non saprei più a che disciplina consacrare, dato che le vedo sempre più indissolubili e unite in un umanesimo a tutto campo.
Purtroppo, insieme non riuscimmo nemmeno a concepire la struttura di questo libro; anzi, il dibattito sul come realizzarlo è sempre restato tale, alle prime battute.
Spero di interpretare e raccogliere le idee di allora, costruendo un testo che mescoli continuamente gli aspetti matematici e quelli artistici, dandogli una struttura di carattere vagamente cronologico, ma non esasperatamente tale, con fughe dalla cronologia supportate da riflessioni di carattere teorico di stampo matematico. Così che alcuni capitoli hanno un titolo desunto dalla storia dell’arte e altri un titolo che richiama oggetti della matematica.
Il lettore sarà costretto in questo modo a seguire il ragionamento e gli esempi, nella loro singolare evoluzione cronologico-scientifica, più legata a un discorso personale che non a una vera e propria logica temporale. Spesso l’andamento dovrà essere a spirale e su parecchi argomenti si dovrà tornare più volte, per motivi diversi, con consapevolezze diverse, a costo di dover dire più volte la stessa cosa e mostrare più volte la stessa immagine.
La libertà che ne deriva permette riferimenti e voli altrimenti impossibili.