L'elefante e la metropoli
L'India tra storia e globalizzazione
Un originale approccio all'India e alle sue culture, in cui si intrecciano immagini multiformi di divinità danzanti e movimenti contadini contro il dominio coloniale, la contemporaneità delle metropoli globali e la speziata rappresentazione dei film di Bollywood.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053886
- Anno: 2012
- Mese: giugno
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 144
- Tag: Storia Antropologia Etnologia Globalizzazione
L’India è paradigmatica per storia e tradizione, per forme originali della contemporaneità, per grandi elaborazioni teoriche e culturali. Le ricerche contemporanee dei Cultural, Subaltern e Postcolonial Studies offrono la possibilità di incrociare una pluralità di saperi, rileggendo il passato e le contraddizioni del presente con uno sguardo «altro», percorrendo il filo che tiene insieme l’antica narrazione vedica e i film di Bollywood, le rivolte contadine contro il potere coloniale e le proteste contro la precarietà globale. Seguire le tracce, nel passato e nel presente, della presa di parola dei «subalterni», offre una visione differente della storia di un popolo che è stato considerato «senza storia» e apre alla possibilità di costruire soggettività e percorsi politici e sociali alternativi.
Introduzione - 1. Cartoline da Bollywood - Il call center del mondo - L’ombra delle torri - A volte tristi, a volte felici - Swades: il popolo e l’illuminazione - Madre Terra e il Signor Capitale - Colazione a Mumbai - 2. Narrazioni oltre il tempo della storia: i subalterni tra poesia e lotta - Lo Jagannath del tempio e lo Juggernaut del capitale - Itihasa: paradigmi della storicità - Il Sé sociale, il Sé storico - Soggetti negati: i subalterni nella storiografia - Un passato che continua nel presente - 3. Visioni d’oriente - Fascino esotico e dominio coloniale: l’India nella letteratura imperialista - Namaste Gramsci! - Il Sé in mutamento e il tempo della modernità - La traduzione impossibile - 4. Immagini differenti - Shiva/Shakti e la differenza di genere - Durga, Sati e Madre India: la costruzione dell’immaginario nazionale - Vac, la parola non è mai neutra - Ganesha: la leggerezza dell’alterità - Bibliografia
Introduzione
Il tempo del capitale è un tempo «irreale» che ha, però, concrete conseguenze sulla vita degli uomini e delle donne del pianeta, che subiscono un tempo vuoto e omogeneo, ma non vivono al suo interno; abitano un tempo denso ed eterogeneo, tempi «altri» che non possono essere considerati residui premoderni, ma configurazioni originali di modernità diverse, certo non necessariamente migliori, eppure reali, saldamente impiantate sia negli spazi geopolitici postcoloniali, dove vive la grande maggioranza dell’umanità, sia, sempre di più, nelle metropoli dell’occidente.
Trasformazioni epocali, insieme ai grandi flussi migratori, hanno portato i margini al centro; nel cuore e nel cervello della globalizzazione vengono disseminate eccedenze non governabili che frenano il trionfo della pretesa universalistica della tecnomodernità occidentale, tracce dissonanti che non rovesciano la prevalenza dell’occidente ma ne disvelano le aporie. La dislocazione dei margini produce fenomeni profondi, mette in discussione il «pensiero unico» della società occidentale e mette in movimento complessi processi di ibridazione, dagli esiti ancora aperti, in cui si confrontano la tendenza «del dominante di appropriarsi dell’emergente» inglobandolo in un apparente «multiculturalismo liberale» e, dall’altra parte, la possibilità che le culture di una diffusa presenza diasporica disgreghino i tratti fondamentali dell’universalismo occidentale.
Dentro questo equilibrio instabile, resistenze e alternative diventano possibili e sfuggono al controllo omologante della modernità globale, riducendolo a un «dominio senza egemonia», per usare la nota formula di Ranajit Guha, storico ispiratore del gruppo dei Subaltern Studies, che ben si adatta tanto al potere coloniale dell’Impero britannico sull’India, quanto alle nuove forme di «colonizzazione» della contemporaneità. Cercare, nel passato e nel presente, la presa di parola dei subalterni, apre a una visione «altra» della storia di un popolo che è stato considerato «senza storia» e semina nella contemporaneità la possibilità di costruire soggettività e percorsi politici e sociali alternativi. La soggettivazione della condizione subalterna, proprio per la costante rimozione di cui è stata – ed è – oggetto, rappresenta un punto di vista differente per leggere la complessità dei fenomeni e cogliere, per usare parole gramsciane, «il valore inestimabile» di «ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni».
Il caso dell’India è paradigmatico per la sua storia e la sua tradizione, per le forme originali della sua contemporaneità, per le grandi elaborazioni teoriche e culturali che da essa ci giungono. Cultural, Subaltern e Postcolonial Studies offrono la straordinaria possibilità di incrociare una pluralità di saperi, di rileggere sia il passato che le contraddizioni del presente con uno sguardo «altro», di percorrere il filo che tiene insieme l’antica narrazione vedica e i film di Bollywood, le rivolte contadine contro il potere coloniale e le proteste contro la precarietà globale dei call center delle multinazionali. La critica postcoloniale si fa testimone di quelle comunità «che si sono costituite, per così dire, in condizioni altre dalla modernità: queste culture, espressione di una contro-modernità» possono introdurre discontinuità e resistenze nella modernità globale e, soprattutto, costruiscono un’ibridità culturale, propria della loro condizione di frontiera, per trasformare l’immaginario sociale della contemporaneità, aprendolo all’alterità.
L’alterità è segno dell’impossibilità della reductio ad unum e dell’insopprimibilità della relazione fra il sé e l’altro; il contatto più ravvicinato con l’alterità, il confronto ineludibile tra tradizioni diverse, porta in primo piano il fatto che si parli sempre dall’interno di una tradizione: il nesso tradizione/traduzione diventa centrale, non solo come espressione di relazioni transculturali, ma anche come «frontiera mobile» del rapporto che si intrattiene con se stessi, poiché la sfera delle vite individuali è sempre inglobata in contesti culturali.
Il tempo che viviamo, lo spazio che attraversiamo, sono profondamente segnati da linee di frattura da cui emerge un bisogno di nuove visioni e nuove ispirazioni, in grado di ricostruire legami e solidarietà, di riattivare lo spazio sociale e culturale della creazione del senso; «è vivendo ai margini della storia e del linguaggio, ai limiti delle razze e dei generi che siamo in grado di tradurre le loro differenze in una sorta di solidarietà».
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