Il potere al popolo
Giurie cittadine, sorteggio e democrazia partecipativa
Una puntuale analisi delle nuove, ancora sperimentali, forme di partecipazione politica: sta nascendo una nuova democrazia?
- ISBN: 9788822053787
- Anno: 2009
- Mese: aprile
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 224
- Tag: Società Politica Democrazia
Già dall’antichità il sorteggio è stato un fondamentale strumento democratico per selezionare i rappresentanti politici o per distribuire cariche pubbliche. Con la nascita dello Stato moderno è poi entrato progressivamente nell’oblio e nemmeno le Rivoluzioni americana e francese hanno ritenuto utile inserirlo nei loro dispositivi costituzionali, preferendo un’idea di rappresentanza fondata sull’elezione. Oggi il sorteggio torna prepotentemente al centro della scena, riattivato da nuove forme di partecipazione quali le giurie cittadine, le consensus conferences, i sondaggi deliberativi: forme di democrazia – appunto, partecipativa – che sempre più emergono come possibili soluzioni alla crisi che investe gran parte delle nostre democrazie.
In Italia conosciamo molto bene la crisi – un’opinione pubblica disorientata, un ceto politico autoreferenziale e barricato nella difesa di vecchi privilegi, un meccanismo decisionale completamente inceppato – e molto poco le possibili soluzioni. In questo volume Sintomer propone, da un lato, un’accurata indagine storiografica che, ricostruendo le vicende del sorteggio, cerca di spiegare il perché del suo lento ma inesorabile abbandono; dall’altro, un’approfondita analisi sociologica che mostra come la riscoperta della selezione casuale dei rappresentanti politici costituisce una possibile via d’uscita.
Introduzione - 1. La crisi senza fine della rappresentanza - Le manifestazioni della crisi di legittimità - Sei cause strutturali - Verso una democrazia mediatica? - Una controtendenza - 2. Il sorteggio nella storia: una democrazia della «fortuna»? - Atene: il sorteggio come strumento democratico - Gli usi del sorteggio - L’ideale democratico - Le Repubbliche italiane: una procedura per la risoluzione dei conflitti? - Venezia: un capolavoro di tecnica elettorale - Firenze: la ricerca del consenso e l’autogoverno repubblicano - La scomparsa del sorteggio in politica - Una rottura nella tradizione repubblicana - La politica come professione - 3. Un enigma storico - Il sorteggio nelle Corti d’Assise - Il modello anglosassone - La Rivoluzione francese e la creazione delle giurie di Corte d’Assise - L’evoluzione delle giurie europee tra il XIX e il XX secolo - Un enigma politico - L’ideale della similarità - Consenso ed esercizio diretto della sovranità - Hegel, le giurie, la società civile - Tocqueville: la giuria come strumento di autogoverno - L’età d’oro della giuria anglosassone - Sorteggio, caso e campione rappresentativo - Partecipazione di tutti o campione «microcosmico»? - Calcolo delle probabilità, statistiche, gioco d’azzardo - Rappresentanza-specchio e scissione operaia - 4. Una moltiplicazione di esperienze - Il campione rappresentativo, un microcosmo della città - Il trionfo dei sondaggi d’opinione - Una rivoluzione nella selezione delle giurie giudiziarie - Una storia incrociata - Giurie cittadine, sondaggi deliberativi, Assemblee cittadine e consensus conferences - Le giurie cittadine - L’esperienza berlinese - L’ibridazione con i bilanci partecipativi - I sondaggi deliberativi - L’Assembla cittadina nella Columbia Britannica (Canada) - Le consensus conferences - 5. Rinnovare la democrazia - Legittimità, sfide, controversie - Le logiche politiche del sorteggio - Costruire un’opinione pubblica informata - Rappresentare i cittadini nella loro diversità - Mobilitare il sapere dei cittadini - La questione del consenso e le frontiere della politica - Cambiare Repubblica, cambiare politica - Trasformare la rappresentanza, sviluppare la democrazia partecipativa - Discutere, controllare, giudicare, decidere - Un altro mondo è possibile - Bibliografia
Introduzione
Il sorteggio dei magistrati ci appare oggi come un’assurdità tale da renderci difficoltoso concepire come un popolo intelligente abbia potuto immaginare e conservare un simile sistema.
Gustave Glotz, La cité grecque, II, 5.
La giuria, che è il mezzo più potente per far governare un popolo, si dimostra anche il mezzo più efficace per insegnargli a governare.
Alexis de Tocqueville, La democrazia in
America, I, 2, capitolo VIII
Il 22 ottobre 2006, Ségolène Royal, nei giorni in cui punta all’investitura socialista per le presidenziali, evoca la prospettiva di una «sorveglianza popolare» per l’attività dei responsabili politici:
Rappresenta una domanda forte da parte dei francesi. Per questo penso che si dovrebbero chiarire le modalità attraverso le quali, a intervalli regolari, gli eletti rendano conto del loro operato a giurie cittadine elette tramite sorteggio.
Qualche giorno prima un sondaggio aveva fatto emergere un ulteriore peggioramento nell’immagine della classe politica francese. In un simile contesto la dichiarazione di Ségolène Royal scatena una reazione di rara violenza da parte di esponenti politici, generalmente su posizioni contrapposte, al di là di chi sia all’opposizione e chi nella maggioranza. La destra conservatrice, secondo un registro classico, anche se un po’logoro, evoca imomenti più tumultuosi della Rivoluzione francese. BernardAccoyer, presidente del gruppo UMP all’Assemblea nazionale, si dice «sconcertato e allibito» di fronte a «queste derive robespierriane del PS», mentre per il Primo ministro Dominique de Villepin la misura proposta «ci riporta a espressioni, spesso funeste, di un tempo passato» come quelle, per esempio, dei Comitati di salute pubblica. Renaud Dutreil,ministro UMP per le piccole emedie imprese, evoca i «sanscoulottes del 1793», mentre Patrick Devedjian, consigliere di Nicolas Sarkozy, finge di essere terrorizzato di fronte al «ritorno delle “tricoteuses”». Pur evitando di avventurarsi in riferimenti storici, il suo capo rincara la dose accusando la proposta di essere «profondamente populista». «Populista»: la parola d’ordine è lanciata. Il candidato centrista François Bayrou, in genere meno convenzionale, si aggiunge al coro di critiche rifiutando sia la proposta, che «inaugura l’èra del sospetto», sia la candidata che, così facendo, asseconda «gli istinti più bassi», rispondendo con la «demagogia» alla crisi della politica.
È curioso constatare come i candidati dell’UMP e dell’UDF all’elezione presidenziale finiscano per essere d’accordo con una parte dei loro avversari socialisti. Eppure, all’Assemblea nazionale, nel novembre del 2002, Ségolène Royal, a nome del gruppo socialista, aveva annunciato che quest’ultimo avrebbe difeso «la Repubblica dei cittadini proponendo di integrare nella Costituzione il principio della democrazia partecipativa e di predisporre la messa in opera di contro-poteri all’interno di una democrazia adulta», evocando, in modo particolare, lo strumento delle giurie cittadine.All’epoca nessuno tra i deputati socialisti aveva visibilmente storto il naso.
Alla fine del 2006, in piena campagna elettorale, l’idea che delle giurie cittadine possano controllare l’operato degli eletti disturba. Ecco allora che André Laignel, segretario generale dell’Associazione dei sindaci di Francia, può affermare che la proposta della sua «compagna» di partito si situa «nella scia del più sommario antiparlamentarismo» e che è l’espressione di «una demagogia prossima al populismo». Anche il Presidente della Regione Île-de-France, Jean-Paul Huchon, utilizza, a sua volta, lo stesso termine, mentre Laurent Fabius, uno dei rivali di Ségolène Royal all’investitura socialista, denuncia «una sorta di populismo che fa il gioco dell’estrema destra», prima di concludere, solennemente: «Penso sia giusto che i cittadini siano attori, non è giusto che siano dei procuratori». Anche il jospiniano Jean Glavany è indignato, ed evocando a sua volta il pericolo populista, confida a «Le Parisien» che «nel tentativo di essere popolari si può finire per essere vigliacchi». Dominique Strauss-Kahn, altro candidato socialista alle presidenziali, dichiara che «la scelta del termine “giuria” è sbagliata», che un simile dispositivo potrebbe entrare in conflitto con le istanze degli eletti rischiando così di «creare disordine», eventualità potenzialmente «molto pericolosa».
Altri si spingono oltre. All’Assemblea nazionale, il deputato dell’UMP, Marc-Philippe Daubresse, domanda: si tratta forse di «mettere all’opera tribunali popolari alla Pol Pot o alla Mao Tsetung?». Brice Hortefeux, vicino a Sarkozy, gli risponde solennemente: «Non dimentichiamocelo: ogni volta che nella storia se la si è presa con degli eletti, in verità era la Repubblica che si aveva di mira, dal generale Boulanger a Paul Déroulède, dai protagonisti del 6 febbraio 1934, a coloro che, sotto Pétain, avevano voluto creare dei comitati incaricati di denunciare le autorità locali colpevoli di dar prova di spirito repubblicano». Il deputato fabiusiano François Loncle condivide la stessa indignazione quando si chiede se questa proposta «grottesca e grave» sia «ispirata a Le Pen o a Mao Tse-tung». E visto che Mao non può rispondere, ci pensa Le Pen, il quale respinge qualsiasi paternità inmateria e contrattacca: l’idea deve evidentemente essere contrastata poiché «non è cortocircuitando la democrazia rappresentativa per il tramite di “giurie cittadine”, ossia dei soviet, che possiamo riabilitare la politica». Viene allora il momento dell’estrema sinistra per protestare, con militanti di Lutte ouvrière che si chiedono: «Stiamo scherzando?». […]