La crisi del Novecento
Giuristi e filosofi nel crepuscolo di Weimar
Un saggio sulla prima grande crisi dello spazio pubblico dell'Occidente: il tramonto tragico della Repubblica di Weimar.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053565
- Anno: 2006
- Mese: febbraio
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 304
- Tag: Storia Diritto Storia contemporanea
NelIo Stato liberale della Germania degli anni '20 si fronteggiano concetti di diritto che esprimono il canto del cigno della modernità. Ma il dibattito sulle forme della politica in una situazione d'eccezione elabora modelli che, l'un contro l'altro armati, come superando il proprio tempo, proiettano la loro ombra sul presente declino imperiale della democrazia. La Repubblica di Weimar rappresenta, per la sua interna dinamicità e per il suo esito terribile, uno dei momenti più interessanti e drammatici della storia dell'Europa moderna. Questo vale non solo per quello che concerne la storia degli «uomini», ma anche per ciò che investe la storia delle «idee». Il conflitto fomentato dall'ormai ineludibile pluralismo dei valori, lo scontro di «titani» che segnala Max Weber e la «gabbia d'acciaio», vale a dire la prevalente fredda razionalità burocratica che governa tanto l'impresa capitalistica quanto lo Stato moderno: sono questi i poli che marcano i confini dell'esperienza e della riflessione di quell'epoca, i cui veleni minacciano oggi di ritornare in circolo nella mutazione imperiale delle relazioni internazionali che si preannuncia.
Prologo - 1. La modernità giuridica: Georg Jellinek - La storia come ordalia del mondo - Conflitti della modernità - La lotta del diritto «nuovo» contro il «vecchio» - 2. La sovranità radicale: Hermann Heller - Un cittadino di Weimar - Il pensiero politico: socialismo e nazione - L'analisi del fascismo - La dottrina giuridica: decisionismo e rivolta contro il formalismo - La teoria della sovranità - La difesa della Repubblica di Weimar: rivalutazione della costituzione formale - Verità e politica - 3. La comunità «integrata»: Rudolf Smend - Liberalismo e comunitarismo: un dibattito nel crepuscolo di Weimar - Teoria sociale dello Stato. Selbstgestaltung e «integrazione» - Teoria dello Stato. La costituzione come Konstituierung e «legge vitale» - La teoria «oggettiva» dei diritti fondamentali - Mito, rito, e volontà di potenza - 4. Platonismo normativo: Leonard Nelson - Una vita «pubblica» - Revisione della filosofia kantiana - Jellinek e la scienza giuspositivistica - Il diritto come morale applicata - Legge, sfera pubblica, e Stato di diritto - Un esito platonista - Epilogo - Tre modelli: decisionismo, comunitarismo, platonismo - Indice dei nomi
Prologo
Fu il migliore dei tempi, fu il peggiore dei tempi, fu l'età della saggezza, fu l'età della stupidità, fu l'epoca della fede, fu l'epoca dell'incredulità, fu la stagione della luce, fu la stagione dell'oscurità, fu la primavera della speranza, fu l'inverno della disperazione, avevamo ogni cosa dinanzi a noi, non avevamo niente davanti, eravamo diretti tutti al cielo, eravamo tutti in viaggio nella direzione opposta così, si ricorderà, Charles Dickens inizia il romanzo A Tale of Two Cities e ci dà con una pennellata il quadro del tempo che precedette la Rivoluzione Francese. Ma quelle sue parole sono ugualmente e forse maggiormente appropriate a darci il senso degli anni del primo Stato democratico tedesco tra il 1919 e il 1933, gli anni di Weimar, la cittadina in cui si deliberò ed emanò la costituzione di quella disgraziata repubblica. La nuova legge fondamentale sanciva la fine dell'egemonia giuridicamente formalizzata degli Junker prussiani sul resto della società, il tramonto definitivo del feudalesimo che ancora si rifletteva in un arcaico sistema elettorale a tre classi recepito nell'ordinamento guglielmino. Il parlamento si emancipava finalmente dalla tutela dell'esecutivo e dell'onnipotente Imperatore. Ma si tramandava l'idea di Reich, e permanevano intatte la macchina autoritaria e l'ideologia militarista dello Stato burocratico. La società tedesca era liberata dalla cappa soffocante dell'ipocrita morale guglielmina – cosi bene denunciata nel Suddito, il romanzo di Heinrich Mann – e ci si lanciava vorticosamente nell'esperimento di una modernità di cui però non si riusciva ancora a fornire un fondamento giustificativo e a cui non si offrivano istituzioni stabili e legittime. L'economia traballante e l'inflazione gigantesca generavano miseria, ricchezza svergognata, degradazione, e soprattutto ansia e voglia di sicurezza. Dell'atmosfera di quel periodo un quadro efficace ci è dato da una pagina di Herman Hesse, nell'avvio del Giuoco delle perle di vetro, allorché si accenna allo sbigottimento che colpì lo spirito quando, al termine di un periodo di apparenti vittorie e prosperità, si trovò all'improvviso davanti al nulla, a una grande miseria materiale, a un periodo di burrasche politiche e guerresche e ad una repentina diffidenza verso sé stesso, verso la propria forza e dignità, persino verso la propria esistenza. «Eppure – aggiunge subito Hesse –, in quel periodo in cui pareva che il mondo dovesse finire, si videro ancora creazioni intellettuali elevatissime». La Repubblica di Weimar rappresenta dunque, per la sua interna dinamicità e per il suo esito terribile, uno dei momenti più interessanti e drammatici della storia dell'Europa moderna. Ciò vale non solo per ciò che concerne la storia degli «uomini» ma anche per ciò che investe la storia delle «idee». Il conflitto fomentato dall'ormai ineludibile pluralismo dei valori, lo scontro di «titani» che segnala Max Weber, ovvero il «fatto del pluralismo» di cui parlerà molti anni dopo e in termini più pacati Jürgen Habermas, e la «gabbia d'acciaio», vale a dire la prevalente fredda razionalità burocratica che governa tanto l'impresa come lo Stato moderno, sono questi i poli che marcano i confini dell'esperienza e della riflessione di quell'epoca. Si comprende dunque la ragione per cui «Weimar» risulta essere un laboratorio vibrante di proposte filosofiche e politiche (si pensi ad esempio per un lato alla Scuola di Francoforte, a Walter Benjamin, o al neo-kantismo di Ernst Cassirer o di Leonard Nelson, per non parlare dell'esistenzialismo di Martin Heidegger, e per altro lato allo Stato sociale adombrato da Walter Rathenau e poi teorizzato in maniera compiuta da Hermann Heller). A chi studia la «teoria pura» di Hans Kelsen non sfugge che il meglio di quella ambiziosa impresa giusfilosofica, le sue idee più provocatorie e radicali, il nucleo «serio» e impegnato d'essa, si rinvengono proprio nella produzione di quegli anni tempestosi e nel suo tentativo di dare un futuro alla democrazia in Austria e in Germania. Quelle proposte però saranno tutte travolte nella catastrofe e si troveranno inghiottite dal mostro, dal Behemoth nazionalsocialista. Questo a sua volta non rappresenta una mera patologia dello spirito tedesco, bensì è il risultato di dottrine, ideologie e utopie proposte in maniera articolata, e si prepara (sebbene senza alcuna necessità fatale) e può intravvedersi (alla maniera dell'«uovo di serpente» di Ingmar Bergman) a partire forse dalla reazione romantica alla Rivoluzione francese[…].