All'ombra della Mezzaluna
Dopo Saddam, dopo Arafat, dopo la guerra
prefazione di Pietro Barcellona
Oriente e Occidente. Un confronto decisivo fra due anime politiche. Uno spazio dove religione e cultura diventano strumenti per la sopravvivenza di modelli sociali alternativi.
- Collana: Strumenti / Scenari
- ISBN: 9788822053503
- Anno: 2005
- Mese: marzo
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 336
- Tag: Storia Politica Politica internazionale
Il Medio Oriente non è mai stato un territorio trascurabile per gli equilibri mondiali. La guerra in Iraq, il terrorismo internazionale, la rielezione di G.W. Bush e la morte di Yasser Arafat diventano oggi eventi di una storia da cui dipenderà la sopravvivenza politica ed economica dell'Occidente; una sopravvivenza che si gioca al di fuori delle sue origini culturali e politiche e che non si esaurirà solo nell'area del Golfo e nella lotta al terrorismo fondamentalista di Bin Laden. Un confronto che coinvolgerà un "arco di crisi" molto più vasto che si estende sino ai confini indiani, passando attraverso l'Afghanistan. Un "sistema allargato" che, se non contrastato da un'offerta democratica all'interno delle singole comunità, rischia di ripristinare una concorrenza strategica fra una Russia emergente, una Cina in ascesa e l'Iran pronto ad assumere la leadership politica nell'universo islamico. Una concorrenza politica che rischia di travolgere l'Occidente.
Prefazione di Pietro Barcellona - Introduzione - 1. La costruzione di una regione politica - Una regione… più regioni - Una nazione… tanti Stati - Medio Oriente prossimo - Il Grande Gioco del tempo - La sopravvivenza dell'Islam - Fine di un impero - Il Grande Gioco dello spazio - Logiche poco occidentali - Il Grande Gioco fra Asia e Medio Oriente - Un'Asia media poco centrale - All'ombra di Mosca - La costruzione di un sistema politico - Una nuova utopia panaraba - Distanze politiche ravvicinate - Fine di una nuova utopia - Una rivoluzione annunciata - Laicità e leadership - Il caos politico di fine secolo - Crisi da leadership - Laicità e teocrazia - L'Iraq laico - Damasco-Baghdad, solo andata - L'oste palestinese - 2. Relazioni pericolose - Equilibrismi mediorientali - Terrorismo e politica - Relazioni concorrenti - Un nemico per forza - Dalla concorrenza alla cooperazione - Il rischio saudita - Capacità geopolitica - La leadership che non c'è - Colpi di coda - Il ruolo dell'Iran - La prossimità geopolitica di Teheran - La svolta sciita - L'Iran e il resto del mondo - Il Leone di Damasco - Ascesa e declino - Sopravvivere alla storia - Un Medio Oriente fra Africa e Asia: da Karthoum a Kabul - Il Sudan. L'Africa islamica - Kabul andata e ritorno - L'errore talebano - Da Mosca a Washington. Cambio di testimonial - Lo sceicco del terrore - Fattore al-Qaeda - Strategiche apparenze afghane - Strategia del terrore - Un Grande Gioco a più concorrenti - Competizione energetica - Equilibri limitati - 3. Confronti transmediorientali - Paura da Sud - Democrazia. Valore o utopia? - Democrazia in pratica - La fine del pensiero unico - Uno shortage economico e culturale? - Periferie - Regole senza regole - Potenza diffusa? - Un mediatore mancato - Ostaggio suo malgrado - Europa «occidentale» - Stati senza frontiere - Palestina: la stabile instabilità - Una democrazia vincente? - Un processo di pace - Apparenze irachene - Il Medio Oriente tra forza e consenso - Paradosso finale - 4. Il modello islamico - Competizione - Una religione politica - Né Ovest, né Est… Islam! - La paura dell'assimilazione - La politica nell'èra dell'Islam - Conflitto e democrazia - Sciismo e politica - Sciiti e democrazia in Iraq - Una governance islamica - Occidente ed Islam - 5. Dal ricatto energetico ad un'economia condivisa - Un ordine (quasi) nuovo - Geopolitica del petrolio - Fattore strategico - Profondo nero - La politica dell'energia - Sindrome da shortage - L'Occidente nel pozzo - La nuova frontiera - Itinerari petroliferi - Peso politico e peso energetico - Una road map dell'energia? - Il Grande Gioco del petrolio - L'acqua - Distribuzione fisica e gestione politica - Sopravvivenza fisica e dominio - Geografia... politica dell'acqua - Il controllo... politico dell'acqua - Un'economia tra Mediterraneo e Medio Oriente? - La permeabilità sociale ed economica delle periferie - Mediterraneo e Medio Oriente: l'aggregazione mancata - 6. Il costo politico-strategico dell'Iraq - Fine della guerra o fine della pace? - ...senza Saddam - Gli Stati Uniti e il (l'ennesimo) nuovo ordine - Deficit da governance - Vuoto di potere - Pantani iracheni - La grande illusione - Più ad Oriente - Necessità di due fronti - Il prezzo di una guerra - Occidente in crisi - Pericolose asimmetrie - Un... nuovo Medio Oriente - Stati Uniti e Russia... - e gli effetti della seconda guerra del Golfo - Postfazione - Bibliografia - Indice analitico
Prefazione di Pietro Barcellona
Come si vedrà alla fine di questa sintetica presentazione dei temi trattati da Romeo, l'attualità di una riflessione sull'Islam è ancora più evidente dopo il voto iracheno del 30 gennaio. A parte la rilevanza del dato obiettivo dell'affluenza alle urne, è chiaro a tutti che questo voto pone altrettanti problemi di quanti sembra risolverne. Dalla mappa dei votanti e delle percentuali emerge con estrema chiarezza che le tre componenti «politico-religiose» della regione (sciiti, sunniti, curdi) sono nettamente divise nella loro configurazione e nei loro obiettivi, tanto da rendere perplessi circa l'attendibilità dell'affermazione trionfalistica che già esista un «soggetto iracheno» e che stia sorgendo uno Stato. Il volume di Romeo, che si lascia apprezzare per la ricchezza di informazioni e per l'equilibrio con cui si sforza di capire le ragioni dell'attuale situazione, cerca di indagare in quale misura l'Islam costituisca un collante delle diverse etnie e nazionalità. L'Islam rappresenta l'elemento unificante che ha storicamente permesso, nel reticolo delle interdipendenze della regione, il superamento della frammentazione in uno scenario segmentato e multietnico. Secondo Romeo, nell'ambito di questo scenario l'identità religiosa ha surrogato la stessa idea di Nazione, ma tale forma unitaria è stata infranta dall'irruzione degli interessi occidentali, materializzatisi nella «corsa» alle risorse petrolifere, che ha avuto come effetto diretto la nascita artificiale di Stati nazionali, attribuiti alle aristocrazie arabe disponibili al compromesso con le diplomazie europee (esemplare il peso giocato dalle royalties petrolifere nel caso dell'Iraq). Ciò spiega l'ostilità verso il panarabismo di un Occidente che ha avuto gioco facile nella rottura del fragile equilibrio della regione. Oggi il Medio Oriente si presenta ai nostri occhi come difficile convivenza tra Stati «artificiali» e Stati a forte valenza storico-culturale, come l'Iran, in cui la riorganizzazione dello spazio politico in termini protettorali ha paradossalmente posto le basi per la competizione con l'Occidente. Romeo descrive molto efficacemente anche il ruolo giocato, prevalentemente attraverso l'istituzionalizzazione dei nazionalismi autoctoni, dall'Unione Sovietica nell'indebolimento della prospettiva islamico-nazionalista alla periferia dell'impero comunista; infine analizza un processo fondamentale per comprendere anche i più recenti drammatici sviluppi bellici nell'area: la razionalizzazione politica del nazionalismo arabo provocata dall'affermazione del partito Baath. Al suo interno, infatti, nuove classi dirigenti laiche e nazionaliste si sono dirette verso l'affrancamento dal dominio occidentale, da una parte, e dal materialismo comunista, dall'altra, unificando la vocazione panaraba e la diffusione di una ideologia egualitaria di derivazione socialista. Romeo spiega così la costruzione in Medio Oriente di un ordine fondato sulla scelta di non allineamento alle superpotenze compiuta da importanti pezzi del mondo arabo e descrive lo sviluppo di pratiche di lotta asimmetrica fondata su «azioni ad alta intensità a basso costo logistico», pratiche che hanno ridefinito radicalmente lo stesso significato della cultura del Jihad, intesa sempre più come forma di lotta politica finalizzata alla difesa dei valori fondamentali di un modello alternativo di organizzazione sociale. In tal senso, dopo il crollo dell'impero sovietico e la fine dei modello della contrapposizione tra blocchi, il modello islamico si presenta come l'unica offerta ideologico-politica competitiva in grado di attrarre l'interesse di chi si sente escluso dall'accesso. Con l'aggravante che la veste del nemico viene indossata da un Occidente avvertito, storicamente, come l'espressione di un tentativo di violazione della «sacralità dell'universo del fedele» (la paura dell'assimilazione e dell'occidentalizzazione). In questa cornice, l'Islam assume il ruolo di una regola di vita che, non collocata fisicamente in alcun luogo geografico o nazionale, diventa opera delle sue principali guide spirituali. Un importante merito del testo consiste nella descrizione, effettuata con grande dovizia di particolari, del complesso reticolo di relazioni e interessi strategici che governano gli incontri e gli scontri dell'area, da cui emerge prepotentemente l'assenza, a partire dagli anni Novanta, di un'azione significativa di mediazione politica da parte dell'Unione Europea. Molto interessante è la ricca descrizione fatta da Romeo del peso che in questo quadro ancora detiene la «questione energetica». In particolare, la dipendenza occidentale dal petrolio, risorsa ormai scarsa, continua a rappresentare un fardello psicologico che si sostanzia in un sentimento di insicurezza difficile da sostenere almeno quanto la consapevolezza dell'esistenza di un nemico in grado di arrecare danni militari significativi. In gioco, in questa vera e propria lotta per la sopravvivenza energetica, l'autonomia economico-militare nei confronti delle potenze emergenti, in primo luogo la Cina. Il Medio Oriente, dunque, si presenta come il tassello più rilevante dello scacchiere strategico del mondo occidentale. Il rischio di perderne il controllo spiega alcune importanti e drammatiche recenti scelte di politica internazionale, così come spiega l'ampliamento ad est degli assetti geoeconomici dell'area, un processo che ha assicurato la crescita di rilevanza di aree nate dalla frantumazione dell'impero sovietico e considerate precedentemente marginali. L'autore riserva anche uno sguardo attento al problema della gestione delle risorse naturali, proponendo un'importante analisi delle relazioni internazionali in chiave eco-ambientale: l'acqua viene presentata come uno dei fattori di maggiore rilevanza nella determinazione degli assetti regionali futuri, inoltre la geopolitica dell'acqua presenta un carattere di instabilità decisamente maggiore di quella realizzata con riferimento al petrolio. Esiste un ampio deficit gestionale di ordine politico delle risorse idriche mondiali che rischia di deflagrare con esiti difficilmente controllabili. Le principali domande, che nel testo rimangono volutamente aperte, sono quelle su cui urge una attenta riflessione: quale possa essere il ruolo del Mediterraneo nella difficile articolazione di nuovi equilibri economici e politici, quale ordine regionale e internazionale si stia prospettando, dopo la fine della seconda guerra del Golfo, e soprattutto quale idea di democrazia possa affermarsi in un contesto in cui l'Islam, nella veste politica popolare descritta da Romeo, fa i conti con la modernità.
Introduzione
La fine della guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein, la cattura del dittatore, il pantano del dopoguerra, il vuoto di potere in Medio Oriente favorito dall'instabilità irachena e dalla mancata soluzione della questione israelo-palestinese, ancor più sensibile nel dopo-Arafat, e le manifestazioni di violenza che ci hanno, e ci coinvolgono, ogni giorno attraverso la competizione mass mediatica hanno mutato la nostra percezione da occidentali del Medio Oriente. Una regione non più identificata solo nell'essere il teatro della crisi israelo-palestinese, uno spazio umanizzato fra il mare e il deserto. Una contiguità che si estende verso il Nord Africa maghrebino e di tradizioni berbere – l'Algeria, il Marocco, la Tunisia, la Libia – raggiungendo, guardando al Sudan e l'Egitto, il Medio Oriente prossimo del Maschrak e da questo verso Sud alla penisola arabica per svolgersi dall'Iran sino ad Islamabad, alla propaggine del Kashmir, dopo l'Afghanistan, e risalendo verso il Mar Caspio sino alla prossimità europea offerta dal Caucaso. La nuova geografia delle crisi nasce, così, da una diversa dimensione politica delle relazioni fra gli stati dell'Occidente e il mondo arabo-islamico. Un confronto che sposta l'attenzione strategica dal dominio delle idee, risoltosi con la fine della Guerra Fredda, per ridefinire in termini economici e di dominio delle risorse energetiche la nuova lotta per la sopravvivenza di modelli sociali a forte dipendenza. Difendere il proprio modello di vita, assicurarsi gli approvvigionamenti energetici, garantirsene così il dominio, la disponibilità, evitare il rischio di uno shortage diffuso e alle porte nell'instabilità del fronte arabo-islamico e dall'incertezza dell'equilibrio istituzionale possibile, sposta l'attenzione delle potenze occidentali e non solo su linee di supporto che corrono lontano dalle stesse regioni di interesse geopolitico, quelle più naturali per collocazione geografica e prossimità economica e di modelli di mercato. Penisola arabica, Golfo Persico, la regione medio-centrale dell'Asia, dall'Afghanistan sino agli Stati dell'ex-impero sovietico, dividono le ragioni della geopolitica fra chi ricerca il dominio diretto, gli Stati Uniti, e chi ridefinisce se stesso nel tentativo di riorganizzare un sistema di influenza tale per poter sopperire al deficit di potenza creatosi dalla fine dell'impero sovietico: la Russia di Putin. In un'interdipendenza reale delle relazioni fra ogni singolo attore, l'arco della crisi, così definito da molti autorevoli esperti di geopolitica, non si esaurisce in scenari predeterminati, ma si perfeziona laddove il corso delle ragioni politiche di stabilizzazione, democratica o meno, corrono lungo un oleodotto o un gasdotto che avvicinano più di ogni altro mezzo, nell'èra della rete, l'interesse per l'uno o per l'altro Stato, per l'uno o l'altro movimento. Tutto ciò secondo capacità e volontà di dominio dettate da ragioni strategiche valutate secondo caratteri metapolitici ma non metaeconomici; tutt'altro. Così, se il mondo si riduce nei termini relazionali e la prossimità mediorientale è sempre più… prossima all'Occidente, l'11 settembre sembra sia stata una tappa importante per il regime del terrore ma non l'unica con l'11 marzo di Madrid tre anni dopo. E sembra, altrettanto, che sia il primo che il secondo evento abbiano restituito centralità geopolitica all'area mediocentro- orientale compressa, sino a ieri, al di là del dinamismo della crisi in Palestina o richiamata dal fondamentalismo religioso, all'interno delle dinamiche dell'èra nucleare. Ma non è solo questo. Occidente e Oriente segnano due momenti interessanti di evoluzione delle comunità storiche e politiche nel mondo dove l'affermarsi delle altre società, al di là delle tradizioni dell'Asia Estrema e delle culture autoctone così sopravvissute, rappresentano l'epilogo della colonizzazione dei valori e dei modelli di ieri per l'uno, e la competitività e affermazione dell'Islam per l'altro. Da questo punto di vista tutto diventa relativo e la geopolitica sembra sempre più una disciplina storicamente legata agli eventi e affidata all'analisi possibile partendo da fatti storici considerati nella loro oggettività: l'Iraq, l'Afghanistan, gli stati transcaspici o transcaucasici, l'incertezza sulla collocazione prossima dell'Arabia Saudita, il futuro della famiglia dei Saud, il futuro della leadership sciita dell'Iran, la Palestina di Yasser Arafat. Aspetti di un insieme che coinvolge tutti noi in un vortice di avvenimenti di fronte ai quali ognuno cerca di capire quanto avviene in Medio Oriente, rivisitandone la storia politica, cercando una spiegazione all'antagonismo islamico e alla competizione militare in una regione sempre più allargata ed economicamente vitale. Il dominio delle riserve energetiche, delle nuove possibilità estrattive del petrolio, del gas naturale, dell'acqua, diventano i termini relazionali a cui le scelte di collocazione regionale si ispirano e si modellano con le stesse regole dell'aggregazionismo economico, dove l'unica differenza è la gestione dei termini competitivi, cioè conflittuali. Per questo, nel dominio della storia, la politica segna se stessa e si ridefinisce secondo obiettivi nuovi, di potenza e di potere, il cui raggiungimento risponde ad una necessità di sopravvivenza fisica dei modelli di vita delle comunità a maggior opportunità. Una sopravvivenza dove la deideologizzazione delle comunità si richiama alla tradizione e all'universalità di una Fede per sostituirsi ad un materialismo che domina le ragioni strategiche del confronto. In questo, una visione non solo geopolitica ma anche geopolitica. Un tentativo di ridefinire i termini dell'analisi ricollocando la geopolitica all'interno del determinismo delle scienze sociali laddove non esiste una geopolitica senza la storia. Dove non si potrà certamente fare geopolitica senza considerare gli avvenimenti come migliore rappresentazione degli assetti del sistema relazionale di oggi e di domani. Un sistema, quello mediorientale in particolare, che dimostra quanto attraverso eventi che hanno segnato il rapporto fra Oriente ed Occidente si sia modificata la percezione di una regione dalle frontiere sempre più mobili e sempre meno sicure, ancor prima dell'11 settembre e ancora oggi dopo l'11 marzo, dopo l'attentato di Taba, senza più Arafat, nonostante la rielezione di G.W. Bush.
Novara, gennaio 2005
Giuseppe Romeo