Aa. Vv.
Raffaele Spizzico
Un grande artista pugliese, che ha saputo reinventare con straordinaria efficacia forme, colori ed ambienti della sua regione, visto da famosi critici.
- Collana: Prisma / Libri
- ISBN: 9788822045348
- Anno: 1993
- Mese: gennaio
- Formato: 20 x 25 cm
- Pagine: 216
- Tag: Arte Arti Visive Pittura Raffaele Spizzico
La bottega di Raffaele Spizzico è nel cuore di Piazza Ferrarese... «Don» Raffaele è sempre lì a lavorare, nonostante il freddo del maestrale, nonostante l’ora tarda, custode della piazza e della città vecchia. Un po’ Caronte e un pò Simon Pietro, traghettatore e feudatario di un mondo che va sparendo. Alle spalle della bottega, infatti, dietro il lavoro di quest’uomo che si affanna a imprimere nell’argilla le storie antiche e recenti della Puglia, si alzano le quinte dei palazzi medievali, le corti piccole e grandi, gli stupori delle piazzuole che si slargano improvvise alla fine di strade anguste. Brulica un mondo di casalinghe, di donne che cavano orecchiette sulle soglie di casa, di pescatori che rammagliano reti, di artigiani e ambulanti.
Raffaele Spizzico è quel mondo, è l’emblema di una cultura artigiana in via di sparizione, un panorama fatto di maestri e di apprendisti nelle cui botteghe si resta incantati a guardare e ad ascoltare... Osservo quest’uomo dolce e solo, ferito molte volte dalla vita, e ripenso alle mie letture giovanili di Pascal: eccolo, è un dio minuscolo come un grano di sabbia ma immenso nella sua irrequetezza creativa (Raffaele Nigro).
Vanni Scheiwiller
Raffaele Spizzico, scultore «novissimo»
Conosco pochi artisti discreti e coerenti come Raffaele Spizzico, che ha esordito come scultore novissimo a sessantasette anni: quest’anno, in autunno, ne compirà 80. Verdissimi 80 anni, in piena attività, questi di Spizzico, che unisce inoltre un'esemplare fedeltà alla sua terra e la continuità con se stesso. Un caso singolare il suo: dalla pittura figurativa alla scultura astratta.
«Colorista d'istinto» lo ebbe a definire in una lettera del 1963 il grande Kokoschka, a lui congeniale: e Spizzico è passato con estrema naturalezza, senza scosse, dalla pittura cosiddetta «figurativa» qui conclusa a certa astrazione «informale»; perché ha avuto sempre una visione «astratta» della natura: l’unica a dargli emozioni. Si confrontino Bari dall’alto (1963) con Murgia (1971) e con le varie Murge di memoria, fatte a Trento nell’estate ’78. La sua pittura preludeva alla scultura non come aggiornamento ma per profonda istanza: il pittore geologico di «millenni alla deriva» non poteva non approdare alla creta della Murgia 1977.
Ho un ricordo bellissimo dell’esordio di Spizzico scultore a Omegna sul lago d’Orta da Spriano nella primavera 1979: presentai la sua prima mostra di scultura dove Spizzico, scultore «novissimo» aveva messo tutto se stesso e tutta la sua storia: figura, astrazione, Murgia, materia, idea, urgenza, e sempre quel «fuoco» di cui ha detto di lui il poeta della sua terra Vittorio Bodini.
In questi anni Spizzico, in contrasto col plumbeo clima da ritorno all’ordine, di transavanguardia mercantile, di rigurgito del peggio «anni Trenta», ha continuato imperterrito, discreto e coerente, la sua via per una scultura non tradizionale: penso a Sole-fuoco, il bronzo patinato in rosso dell’81-82, a doppia facciata concava; al coevo Bronzo bifronte rosso e verde; al Disco convesso in creta calcinata (1981-1982); e ad una doppia scultura fotografata in riva al mare tanto da sembrare monumentale e insieme aerea: la creta sospesa su materiale trasparente.
Del materiale Spizzico ha sempre un grande rispetto e, soprattutto, ha un grande «mestiere» ereditario. Come ci ragguaglia il fedele Pietro Marino nella monografia di Giuseppe Cassieri del 1969, Spizzico imparò giovanissimo a maneggiare I colori nelle botteghe di decorazione che si tramandavano nella sua famiglia: «La ceramica di Spizzico produce, in un unico esemplare, pannelli, bassorilievi, graffiti. Pavimenti e decorazioni in genere». La scultura per spizzico ha radici familiari, è un figlio d’arte.
Nel ’45 la sua prima mostra personale di pittura: in piena battaglia, a Bari, combattuta in nome dei principi del meridionalismo democratico, per una cultura moderna. Battaglia, cioè, contro il naturalismo e il vedutismo imperanti nel meridione, per riscoprire invece il «paesaggio della sua terra come matrice di emozioni interiori e di impegno». Paesaggio che ritroviamo, filtrato ed essenziale, nelle sue crete calcinate.
Il mestiere sempre: arte come mestiere, arte come tecnica. L’arte della ceramica, l’arte del rame, l’amore del «gran fuoco»: acquisizioni istintive, per Spizzico, ataviche. Col «gran fuoco» ottiene quel che vuole.
Un critico non sospetto di simpatie per l’astrattismo, Raffaele De Grada, in un eccellente saggio sulle sue pitture di allora (1973), parla di «insospettabile allucinazione». In effetti Spizzico è stato un «figurativo» per modo di dire, cioè moderno sempre, teso sul filo dei valori espressivi del colore (si pensi al suo Kokoschka).
Da sempre Spizzico, e oggi più che mai, ha attribuio al paesaggio, la sua Murgia, qualcosa che va ben oltre il significato poetico stretto suggeritogli dal vero (lo ammetteva anche De Grada). Dai suoi paesaggi emergevano fin da allora quelle «macchie» di colore sempre più psicologiche quanto meno legate al vero. Oggi quelle «macchie», quei colori emotivi, di trasposizione lirica della realtà, con punte perfino mistiche, sono diventate scultura.
I «cardi» visti nel giardino della memoria, le umanissime architetture, le pannocchie di granoturco, hanno guadagnato in scultura significanti di un fatto poetico «astratto».
Quello che De Grada chiamava lungo lavoro contro la paura ancestrale di «rifare» il vero ma anche della certezza tenace di non abbandonarlo, quella che per Kokoschka è la visionaria trasfigurazione della realtà, sono tutti confluiti nella scultura giovane e «aperta» dell’ottantenne Raffaele Spizzico: per sempre «scultore».
Settembre 1992
Pina Belli D'Elia, Maria Calì, Michele Dell'Aquila, Raffaele Nigro, Roberto Sanesi, Vanni Scheiwiller, Luigi Serravalli.