Il futuro è nel passato
Basta leggere questi brandelli del pensiero di Epicuro, datati attorno al 300 a.C., per rendersi conto di quanto tutte le forme di Libertinismo vi trovino le loro radici:
Se le cose che procurano piacere ai dissoluti li liberassero dal terrore spirituale attorno ai fenomeni celesti, alla morte, al dolore ed insegnassero loro il limite del desiderio e dei dolori, non avremmo motivo di biasimo nei loro confronti, perché sarebbero colmi di ogni gioia e non avrebbero motivo di sofferenza e di afflizione alcuna.
La giustizia non esiste di per se stessa, ma solo nei rapporti reciproci e nei luoghi dove si stipula il patto di non fare e non ricevere danno.
Gli dèi esistono, noi ne abbiamo una conoscenza evidente, ma non nella forma in cui li concepisce il popolo o coloro che applicano le opinioni del popolo agli dèi.
Il saggio, al contrario, non rifiuta il vivere né teme di non vivere.
La vita per lui non è un peso, né gli pare un male la morte. Come non sceglie il cibo più abbondante ma quello più saporito, così non cerca di godere il tempo più lungo ma quello più piacevole. Chi spinge il giovane a vivere bene ed il vecchio a morire bene è un folle; e non solo perché la vita è di per se stessa gioia, ma anche perché solo una è l’arte del ben vivere e del ben morire […]. Non dunque le mangiate e le feste ininterrotte, né il godimento di fanciulli e di donne, né una tavola sontuosa è fonte di vita felice; ma al contrario, il ragionamento lucido che scruta a fondo le cause di ogni scelta e di ogni rifiuto, e che scaccia le opinioni false, causa dei più grandi turbamenti dell’anima.
Sono passi che troveremo con sorprendente ripetitività in quasi tutti i brani dell’antologia ma, se il Libertinismo estremo sembra piuttosto voler mistificare queste massime, il Libertinismo sociale vi ricerca un lusinghiero riferimento culturale e il Libertinismo filosofico ne è rispettosamente e profondamente improntato. Con l’aggiunta di un nuovo e moderno ingrediente: l’idea massonica dell’armonica costruzione etico-sociale.
Leggiamo il marchese d’Holbach nel Catechismo della Natura, scritto del 1790, che condensa così la filosofia già delineata nelle collaborazioni per l’Enciclopedia di quasi mezzo secolo prima:
Domanda: L’uomo può essere sempre felice?
Risposta: La felicità richiede la continuità e la varietà dei piaceri: lo stesso piacere diventerebbe una pena se agisse costantemente sui nostri sensi [...] perché l’uomo possa essere felice occorre che i piaceri siano diversi e che egli metta degli intervalli tra di essi.
D.: Ciò posto, cosa è l’essere felici?
R.: È provare molti piaceri diversi la cui forza e durata siano tali da non affaticarci e da non turbare l’ordine in noi né mutarsi in dolore.
D.: Che ne consegue?
R.: Che l’uomo, per rendersi felice, deve compiere una scelta tra i piaceri, gestirli con saggezza, resistere alle passioni troppo forti ed evitare tutto ciò che può turbare l’ordine della sua macchina, sia per le conseguenze immediate che future.
D.: Come farà l’uomo a scegliere tra i piaceri?
R.: Con l’intelligenza.
[…]
D.: Cosa è la morale?
R.: È la conoscenza dei doveri che la ragione impone a un essere sensibile e intelligente che cerca la felicità e vive in società con esseri simili a lui o animati dagli stessi desideri. In una parola, la morale è la scienza dei doveri degli uomini. [...] Quando l’uomo è isolato non ha gli stessi doveri di quando lo si consideri in società con altri uomini che possano renderlo felice o infelice.
Il piacere, inteso come il soddisfacimento misurato delle proprie tendenze naturali nell’attenzione allo scandalo e alla sensibilità altrui, è il veicolo per il raggiungimento della propria felicità: questa è la condizione per nutrire benevolenza verso l’umanità e quindi lo strumento per la virtù generale. Nell’articolo sul Piacere scritto da Diderot per l’Enciclopedia si legge:
[...] un uomo che volesse affinare la virtù al punto da non lasciarle alcun senso di gioia e di piacere riuscirebbe solo a disgustare il nostro cuore, la cui natura è tale che si apre soltanto al piacere; solo il piacere sa penetrarne tutte le pieghe e farne vibrare le corde più segrete. Una virtù che non si accompagnasse al piacere potrebbe anche godere della nostra stima ma non del nostro attaccamento. […]
Il piacere non è uguale per tutti: alcuni amano i piaceri grossolani, altri quelli delicati; alcuni quelli più vivi, altri quelli più duraturi; questi i piaceri dei sensi, quelli i piaceri spirituali, alcuni quelli del sentimento, altri quelli della riflessione, ma tutti gli uomini, senza eccezioni, amano i piaceri.
Ancora Diderot, nell’Enciclopedia, alla voce Pregiudizio, afferma che i cattolici hanno la fortuna di essere guidati per mano da una religione che, sia pure con lo strumento del pregiudizio, li conduce direttamente verso il bene generale. Jancourt alla voce Superstizione precisa:
La superstizione è un culto religioso falso, mal orientato, pieno di inutili terrori, contrario alla religione e alle sane idee che bisogna avere sull’Essere Supremo […]. La superstizione ha forgiato questi idoli del volgo: i geni invisibili, i giorni fasti e nefasti, i dardi invisibili dell’amore e dell’odio [...] dal momento in cui ha affondato radici profonde in qualsiasi religione, buona o cattiva, è capace di spegnere i lumi naturali e di sconvolgere le teste più sane […] lo stesso ateismo (ed è tutto dire) non distrugge così i sentimenti naturali, né danneggia le leggi e i costumi del popolo.
Sappiamo che questi concetti, fin dal loro apparire nel 1750, sollevarono l’ostilità di gesuiti, teologi e uomini di cultura tradizionale; sappiamo che la censura reale nel 1752 chiese il sequestro e la distruzione dell’Enciclopedia. Oggi tutto questo ci appare esagerato, di fronte a scritti che riportano la responsabilità e la felicità individuale verso princìpi di ordine sociale e di fratellanza universale72: occorre considerare che l’azione dirompente di certe idee non era solo nella conclusione applicativa dei ragionamenti, quanto nel metodo del percorso che era insieme naturalistico e didascalico, liberatorio e controllato; un percorso che prescindeva dalla divinità e dai suoi intermediari, essendo sempre e comunque ostile alle ritualità dei culti, alle barriere dei dogmi e alle interlocuzioni obbligate, ma sempre sostanzialmente etico sia sul piano sociale che su quello individuale.
La stessa linea di ragionamento contemporaneamente libertina e massonica, di un agnosticismo rispettoso e razionale insieme volto alla ricerca della morale indipendentemente da Dio, è esemplificata nella Preghiera di Diderot:
Io ho avuto il mio inizio ad opera della Natura, che si dice sia una tua opera, e finirò per opera tua, che sulla terra sei chiamato Dio.
O Dio! Io non so se tu esisti, ma io penserò come se tu vedessi dentro la mia anima ed agirò come se io stessi davanti a te.
A causa dei peccati che talvolta ho commesso contro la mia ragione o contro la tua legge, sarò meno soddisfatto della mia vita passata, ma non sarò meno tranquillo circa la mia sorte futura poiché tu hai dimenticato la mia colpa nel momento stesso in cui io l’ho riconosciuta.
Non ti domando nulla in questo mondo, perché il corso delle cose è necessario per se stesso se tu non esisti o lo è per tuo decreto se tu esisti.
Io spero nelle tue ricompense nell’altro mondo, se ne esiste uno, quantunque tutto quello che faccio in questo mondo io lo faccia per me stesso.
Se seguo il bene, lo faccio senza sforzo e se fuggo il male lo faccio senza pensare a te.
Non potrei impedirmi di amare la verità e la virtù, né di odiare la menzogna e il vizio, quand’anche sapessi che tu non esisti o quand’anche credessi che tu esisti e che ne saresti offeso.
Ecco qui come son fatto: io, porzione necessariamente organizzata di una materia eterna e necessaria o, forse, tua creatura.
Ma se io agisco bene e con bontà, cosa importa ai miei simili che questo accada grazie ad una organizzazione fortunata della mia materia o in virtù di atti liberi della mia volontà o per il soccorso della tua grazia?
Ed ogni volta (ragazzo) che tu pronuncerai questi princìpi della nostra filosofia tu leggerai anche quello che qui segue:
Poiché è Dio che ha permesso – oppure il meccanismo universale che chiamiamo Destino lo ha voluto – che noi fossimo esposti durante la vita ad ogni sorta di eventi, se tu sei un uomo saggio ed un miglior padre di me, tu convincerai tuo figlio fin da piccolo che egli è padrone della sua vita, affinché non si lamenti mai di te che gliela hai donata.
Proprio come stoici ed epicurei da cui discendono più direttamente, i filosofi teorizzatori della libertà di pensiero si vantano di praticare solo il lecito e solo con moderazione, proprio mentre con distruttiva abilità, con tutta l’arte antica del sofismo e della maieutica, dimostrano la stupidità di certe regole con cui la religione o l’ordine sociale determinano i comportamenti e i giudizi degli uomini, con ironia, poesia o eloquenza inneggiano alla libertà dalla paura, dai profeti e dai portavoce e, con la forza e l’audacia dei libertini estremi, arringano a favore della «non colpevolezza» di comportamenti tradizionalmente considerati aberranti.
La letteratura filosofica, di cui i philosophes della metà del secolo sono solo i portatori più sistematici e famosi, è veicolo di questi ragionamenti, metodi e conclusioni. Un veicolo spesso reso ricercato e accattivante con la presentazione di situazioni sessualmente spregiudicate o per mezzo di comiche rime goliardiche: tutto è fatto per aprire nuove frontiere del ragionamento, iniziando con l’evidenziare i confini angusti delle convenzioni più ortodosse. La sessualità e la teologia (la prima nel suo essere ambito di competenza della seconda) erano le due aree di battaglia del libero pensiero. In queste aree è racchiuso il nodo delle contrapposizioni filosofiche materialiste e deiste sui temi eterni della responsabilità delle colpe e del libero arbitrio, dell’esistenza dell’anima e dell’inferiorità della materia a cui si aggiungono i temi emergenti del diritto naturale e della legge di natura, delle libertà individuali e delle leggi sociali; una linea rossa che guida la ragione direttamente a discutere il diritto al potere e, culmine di ogni contraddizione e pregiudizio, la legittimità dell’assolutismo.
Questo tipo di Libertinismo veramente racchiude in sé secoli di cultura fondendoli nel moderno atteggiamento illuminista, tutto teoria e razionalità, e nell’attualità massonica, tutta azione e applicazione, portandoli a convergere sulla questione politico-istituzionale. È l’anello che chiude la frase di Epicuro su quella di Paul Valéry poste in apertura di questa antologia.