Architettura come mass medium
Note per una semiologia architettonica
prima edizione 1967
nuova edizione
Nell'età della cultura di massa e dell'elettronica, nuove ipotesi interpretative dell'architettura, dell'urbanistica, delle arti figurative e del design, sia per la loro storiografia, sia per la stessa pratica progettuale.
- Collana: Immagine e Consumo
- ISBN: 9788822004017
- Anno: 2005
- Mese: maggio
- Formato: 20 x 25 cm
- Pagine: 208
- Note: illustrato
- Tag: Comunicazione Semiologia Architettura Design
Nel saggio, alla seconda edizione dopo quella del '67, tradotta in più lingue, si sostiene che l'architettura non è soltanto un'arte che risponde ad una funzione, ma qualcosa che serve anche a comunicare: la cultura, l'ambiente, gli usi e i costumi di unanazione. Questa componente semantica è presente nelle costruzioni di ogni tempo e paese, ma oggi si avvale dei più recenti strumenti informativi, i mass media (radio, cinema, tv, internet, ecc.); anzi, l'ipotesi di De Fusco è quella di considerare l'architettura stessa un mass medium. A tal proposito egli distingue un'architettura nata per rispondere alle esigenze della cultura di massa (i grandi magazzini, le esposizioni internazionali, i luoghi per lo sport e il tempo libero) e un'altra che segna una caduta nei mass media; questo si verifica quando le strutture architettoniche vengono utilizzate a fini meramente commerciali e pubblicitari, donde l'appiattimento delle forme e la loro impropria funzione comunicativa. Spetta allora alla critica effettuare, grazie agli strumenti della semiologia, le opportune distinzioni e una efficace azione informativa.
Introduzione - La funzione senza forma - L'architettura della crisi ideologica - Architettura come mass medium - Pop Art e architettura - Altri contributi alla tesi massmediatica - La riduzione strutturalista - Antico e nuovo nella cultura di massa - Criteri per una nuova valutazione - Per una semiologia dell'architettura - Architettura come mass medium oggi - Indice dei nomi
Introduzione
Scritto in prima edizione alla metà degli anni '60, questo libro risente del clima del famoso '68, ritenuto l'anno della svolta. Il suo contenuto sarà in parte ripreso in questa sede; ma ora mi piace notare che il successo allora ottenuto fu legato non tanto alle argomentazioni quanto al titolo; quell'intuizione che l'architettura fosse annoverabile tra i mass media sembrò così indovinata ed esauriente da racchiudere tutto il testo in quella frase, affrancando i più pigri dalla lettura del volume. Ho redatto questa seconda edizione anzitutto per verificare se questa volta i lettori non si contentano più del titolo-tema, ormai in gran parte acquisito, ma vogliono saperne di più. Il di più consiste non solo nel chiarire quanto esposi nella prima edizione, con le relative revisioni e ripensamenti, ma anche nell'esporre e commentare ciò che è avvenuto in questi ultimi quarant'anni circa nel campo dell'architettura, in quello dei media e nel relativo rapporto, ricavabile da uno scandaglio semiologico. Di fronte a tanti cambiamenti, il maggiore dei quali è attribuibile all'avvento dell'informatica, la nuova edizione poteva limitarsi a registrare quelli più recenti, ma non conoscendo il grado d'informazione dei lettori e non amando dare nulla per noto, ho scelto di ridurre e sintetizzare quanto scrissi nel '67 trattando più ampiamente ciò che è avvenuto o è stato teorizzato dopo. In breve, il presente testo è quasi totalmente nuovo. Resta invariato l'incipit del vecchio libro: la parola «divario» sembra definire ancora la condizione di diffuso disagio presente in ogni campo della vita contemporanea. C'è, infatti, oltre ad un divario tra indigenza e opulenza, tra politica e cultura, tra università e professioni, tra programmi ed azioni, anche un divario all'interno di ciascun settore, di ciascun gruppo e persino nella struttura psicologica del singolo individuo. In attesa delle auspicate riforme di struttura, uno dei compiti più pertinenti alla cultura attiva è quello di favorire la comunicazione e lo scambio tra i fattori ora divergenti, di indicare almeno un modo d'intendersi. Tale compito risulta particolarmente urgente per la cultura architettonica dove è in atto una crisi linguistica, effetto e causa, insieme, del divario fra architettura e società. Resta altresì invariata la prospettiva dalla quale guardare a tale crisi e l'ipotesi metodologica per affrontarla. Allora come oggi è utile accennare al perché l'architettura sia da assimilarsi, benché parzialmente, ai mass media e perché sia questi che quella vadano studiati, come dicevo, dalla visuale semiotica. Sulla massmediologia esiste una vasta letteratura riguardante tuttavia soprattutto i nuovi canali, giornali, cinema, radio, rotocalchi, televisione, internet, ecc., mentre non sono stati ancora studiati i precedenti sistemi comunicativi «diventati» produttori di mass media, tutt'altro che trascurabili, tra i quali è appunto da includere l'architettura. Questa, nell'età contemporanea, perduta l'originaria tensione etico-estetica dell'avanguardia storica e delle opere realizzate fra le due guerre, si diffonde illimitatamente priva di contenuti semantici, assolve alcune funzioni, ma non esprime più nulla, si evolve o involve tra la più completa e generale indifferenza. Peraltro l'affinità mediatica dell'architettura è riscontrabile nella natura stessa di quest'arte che presenta, accanto ad una componente conformativa, un'altra rappresentativa ed è questa che, essendo comunicativa, transitiva, simbolica, esprime i contenuti del nostro tempo, ovvero quelli della cultura di massa. Non che questa, così com'è, sia un'ideale quanto mitica repubblica, né che le indagini e le sconcertanti previsioni effettuate dalla critica sociale, a partire da Horkheimer e Adorno, sull'industria culturale siano state smentite, ma è probabile che in questo irreversibile fenomeno si possano individuare anche alcuni fattori positivi. Intanto si può dire che la cultura di massa con il suo vitalismo esprima più chiaramente e coerentemente le necessità e i desideri della società reale di quanto non faccia quella ufficiale, lo Stato, i partiti e quasi tutte le vecchie istituzioni. Inoltre, in campo architettonico-urbanistico, essa sembra sconfessare tutti gli intellettualismi, le ambiguità, la disponibilità, le comode «aperture» della critica, la sostanziale indifferenza rispetto alle esigenze più pressanti di un ambiente in radicale trasformazione. Cosicché il riferimento alla cultura di massa – caratterizzata, tra l'altro, dalla presenza di valori, sia pure ancora rozzi ed elementari, ma ampiamente condivisi – può costituire una verifica per le proposte degli architetti ed urbanisti e può fornire un elemento orientativo reale per la componente sociologica dell'architettura. Infine, la semiologia, ponendo l'accento sulla struttura del linguaggio e sulla comunicazione, studia la vita dei «segni» (di cui si compone la stessa architettura) nel quadro della vita sociale e con le sue dicotomie fornisce gli strumenti utili all'analisi come al progetto, alla critica come alla storiografia, alla forma come al contenuto. Donde la possibilità che da un'analisi dei bisogni, dei desideri e delle attese della cultura di massa indagate dalla semiologia, si possa giungere alla formulazione, per così dire, di un codice dell'architettura che renda quest'ultima non solo uno strumento per assolvere delle funzioni, ma anche un modo di comunicare. Tuttavia, passando alla condizione presente, la circolarità delle parole e dei concetti di discipline quali l'architettura, la massmediologia, la semiologia è più apparente che reale. Già il tipo d'architettura da prendere in considerazione è problematico: cosa si intende oggi per architettura? Quella imposta dai gruppi di potere che si avvalgono delle elitarie quanto fantasiose opere dello star system, oppure l'architettura nella sua accezione culturale, extrartistica che denota il livello civile di un paese e risponde alle più diffuse istanze sociali? Beninteso, non penso ad una produzione populistica, poiché i mezzi di comunicazione di massa non riguardano solo i ceti popolari. Quanto ai mass media – con buona pace degli «apocalittici» e «integrati» che ancora dibattono i vecchi argomenti –, sono effettivamente ora indispensabili e ora insopportabili; di fronte al martellante e idiota insistere di alcune pubblicità, ad esempio, c'è da rimpiangere la cosiddetta «persuasione occulta» che richiedeva almeno un minimo di sofisticato artificio. Quanto alla semiologia, essa è stata «superata» prima ancora di essere utilizzata e magari sostituita dalla più «giovanile» informatica; il termine stesso di «informazione» sta creando notevoli equivoci: molti sostengono che essa è la materia prima anche dell'architettura, assunto che avremo modo di smentire. Relativamente a quel codice da molti invocato equivalente ad uno stile simile a quelli del passato, mai nella storia dell'architettura si registra la sua assenza come al giorno d'oggi, dove il più sfrenato individualismo, l'arbitrio più privo di senso, l'assenza di ogni denominatore comune regnano indisturbati. E tutto ciò per restare a livello dell'esperienza quotidiana, senza toccare il «pensiero debole» dei filosofi, né le più profonde contraddizioni legate alla crisi di ogni fondamento. Senza la pretesa di uscire da una condizione generale paragonabile al navigare alla deriva, continuo a pensare che accostare un'arte antica, com'è l'architettura, al portato del più moderno e popolare mezzo di comunicazione, sia di qualche utilità ai fini di vederla contestualizzata nel nostro tempo, con tutti i limiti che ciò comporta, ricordando che sono proprio i limiti – nel nostro come in molti altri mestieri – a suggerire spesso le soluzioni. Ringrazio vivamente Alessandra de Martini che ha collaborato alla stesura del testo ed Emma Labruna che ha curato la ricerca delle immagini e la loro elaborazione.