Il professor Z e il segreto del triangolo
Un giallo matematico
Il terzo volume della trilogia di successo che vede protagonisti Giulio e il suo professor Z: i problemi e i dubbi adolescenziali si scontrano e si intrecciano con i grandi temi della matematica, in una storia bellissima a metà tra un giallo e un romanzo di formazione.
- Collana: Fuori Collana
- ISBN: 9788822041852
- Anno: 2022
- Mese: aprile
- Formato: 13 x 20 cm
- Pagine: 192
- Tag: Matematica Narrativa per ragazzi
Alle soglie dell’adolescenza, i capisaldi della vita di Giulio non sono più solidi come credeva. Il suo corpo cambia, i suoi desideri si evolvono. Come affrontare un così grande cambiamento? Nel suo mondo fatto di scuola, partite di calcio, lunghi viaggi sugli autobus di Roma, Giulio si spinge alla ricerca di nuove esperienze, tra entusiasmo e paura, grandi conquiste e cocenti delusioni.
E grazie al professor Z scopre che anche nella matematica i princìpi primi possono cambiare e nuovi incredibili mondi geometrici possono nascere sotto ai nostri occhi. Sullo sfondo della fine degli anni ’80, un romanzo di formazione che intreccia una trama da libro giallo al racconto di alcuni dei più affascinanti aspetti della matematica e della logica.
Fu in terza media che cominciai a sentirmi a mio agio. Oddio, agio forse è un po’ troppo: avevo sempre paura di dire la cosa sbagliata, dovevo stare attentissimo a come vestirmi – soprattutto a come non vestirmi – e bisognava mettere in atto mille altri accorgimenti per non essere deriso e isolato. Però, ecco, per la prima volta nella mia vita la scuola non sembrava un luogo completamente nemico. C’erano dei momenti in cui mi sentivo proprio bene, in effetti. Per esempio quando la mattina incrociavi gli sguardi spauriti dei bambini di prima che ti fissavano come una sorta di semidio, oppure quando con la supplente di educazione tecnica ti prendeva la ridarella e mezza classe si rotolava per terra. Sì, quel fatto di essere i più grandi della scuola indubbiamente aiutava. Ti ricordavi di essere piccolo quando ti imbattevi in uno come Giordano, che era stato bocciato almeno tre volte e aveva la barba e la voce da cattivo dei film.
E poi c’era questa storia di andare a scuola anche il pomeriggio, per i laboratori di approfondimento. Era un’idea della nuova preside, e io e Ivano ci eravamo subito iscritti al laboratorio di matematica che era condotto tra l’altro dal nostro professore, che tutti chiamavamo il professor Z. In classe naturalmente avevo tenuto nascosto questo mio impegno, che mi pareva un po’ da secchione, pur sapendo che Ivano prima o poi se lo sarebbe lasciato sfuggire. A lui di quello che pensavano gli altri non importava un granché, e per questo certe volte ci litigavo, ma in segreto lo invidiavo. All’inizio dell’anno voleva sedersi vicino a me ma io glielo avevo impedito, perché temevo che saremmo diventati il bersaglio perfetto di scherzi e prese in giro. Lui non capiva e si era offeso, ma poi gli era passato, e ormai io sapevo che si offendeva sempre per finta.
Tornare a scuola di pomeriggio poteva a prima vista sembrare spiacevole, invece era bello. Perché ci si andava con un’altra tranquillità, non c’era il rischio di essere interrogati e te ne potevi andare quando volevi. Andare a scuola senza essere obbligato era tutta un’altra cosa! E poi non si stava mai in tanti come la mattina. Al primo incontro del laboratorio di matematica eravamo meno di dieci, di cui noi due della nostra classe. Tutti gli altri erano di altre terze, e non conoscevano il professor Z: anche questo mi faceva sentire bene, ero orgoglioso del mio professore e mi piaceva quando ci dicevamo qualcosa che gli altri non capivano. E poi il pomeriggio il professor Z era diverso: molto più calmo, non urlava mai; sembrava anche lui più a suo agio. Comunque faceva sempre quelle cose strane tipo scrivere alla lavagna qualcosa di incomprensibile e poi dimenticarsene, oppure darci un problema che nessuno capiva e andarsene senza dirci la soluzione. Noi allora cercavamo di spiegare agli altri che lui era fatto così, e anche se non avevamo mai capito se lo faceva apposta, avevamo imparato ad apprezzare il gusto di rimanere nell’incertezza.
Così, quando fu annunciato il concorso di fumetti a squadre, non avemmo alcun dubbio: la nostra squadra ce la saremmo fatta nel laboratorio di matematica. Arruolammo per primo Marcolino della terza E, che io conoscevo un po’ perché abitava da sempre nel palazzo di fronte al mio. Solo dopo qualche giorno ci confessò che non sapeva assolutamente disegnare: non gli credemmo e lo mettemmo alla prova chiedendogli di disegnarci un gatto, e quando lui fece quattro lineette per le zampe e una per il corpo capimmo in che guaio ci eravamo cacciati.
«Ci vuole una ragazza».
Ivano non era d’accordo, ma io insistevo.
«Le ragazze sanno sempre disegnare, e poi non possiamo essere solo in tre. Il minimo è quattro, lo dice il regolamento».
La scelta non fu difficile, perché al laboratorio di matematica c’era una sola ragazza, che si chiamava Arianna ed era alta e magra, e aveva uno sguardo che mi incuriosiva. Accettò subito e ci disse la sua idea:
«Faremo una storia di spionaggio. Il protagonista sarà una specie di agente 007. Ci saranno sparatorie, inseguimenti mozzafiato con auto sportive e battaglie sottomarine».
«Ci saranno anche animali selvatici?» chiese Ivano.
«Perché no? Possiamo mettere dei cobra da guardia, una tarantola usata per assassinare le spie e un paio di assalti di tigri bianche».
«E possono esserci anche dei labirinti?».
«Ma certo! Un labirinto con un sistema meccanico che dopo diciotto minuti fa uscire un vapore velenoso, e se non hai ancora trovato l’uscita sei morto».
Ivano pareva entusiasta. Mi guardò per avere la mia approvazione.
«Ehm... sì... però chi le disegna tutte queste cose?».
«Io faccio i cobra» si intromise un ragazzo con i capelli ricci ricci che aveva ascoltato tutto.
«Lui disegna benissimo» ci garantì Arianna.
E così fu arruolato anche Crystal Ball, che non ci volle dire perché lo chiamavano così (Crystal Ball è un giocattolo che andava molto di moda a quei tempi, era una specie di pasta che si metteva su una cannuccia e soffiando venivano fuori dei palloncini colorati appiccicosissimi che tutte le nostre mamme odiavano perché tendevano a spiaccicarsi contro i mobili del salotto).
Al secondo incontro del gruppo di matematica la squadra era già composta, e decidemmo che all’uscita del laboratorio, ogni settimana, ci saremmo riuniti per andare avanti con la storia e darci i compiti. Il concorso prevedeva che tutti i mercoledì mattina le squadre avrebbero dovuto attaccare a un apposito muro un nuovo foglio della loro storia, che così si sarebbe composta via via durante il corso dell’anno. Quindi non si poteva tornare indietro a modificare, e bisognava avere già in testa la trama. Ma con Arianna e Ivano non era facile.
«Facciamo che il fratello dell’agente segreto ha un’amante che poi si scopre che è sorella del cattivo, e anzi facciamo che è lei che gli ha fornito i cobra perché fa l’addestratrice di serpenti in segreto di notte mentre di giorno tutti pensano che sia una maestra».
Quando Arianna diceva queste cose, Ivano cercava sempre la mia approvazione.
«Va bene, Giulio? Che ne dici? Bello, no?».
Io cercavo di tergiversare e continuavo a chiedermi come avremmo fatto a tradurre in pratica tutte quelle idee. Ma capii subito che Arianna, come Ivano, non aveva alcun senso pratico.
«Però non riveliamo tutto subito, cominciamo in modo semplice».
Riuscii a convincerli e nella prima striscia presentammo solo il personaggio principale, che disegnai io. Arianna disegnò la sua macchina con tutti gli accessori da spia e i gadget spiegati in maniera dettagliatissima. Ivano e Crystal Ball colorarono e basta, mentre Marcolino non fece nemmeno quello, ma seguì ogni operazione incoraggiandoci. Mancava però il titolo. In quasi tutte le attività che ci proponeva la scuola c’era sempre qualcosa di insensato: in questo caso era che il titolo andava scelto per forza all’inizio e doveva comparire sopra la prima striscia. Non sapevamo come uscirne, ma proprio la settimana della scadenza per l’affissione del primo foglio ci venne l’idea, grazie al professor Z.
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