Gola
Storia di un peccato capitale
prefazione di Philippe Delerm
Ecco una storia «gustosa» nel vero senso della parola. La storia di una relazione appassionata e controversa, quella tra l’uomo e la tavola, nella quale si riflette il nostro ambiguo rapporto con le nozioni di peccato e di piacere.
- Collana: Fuori Collana
- ISBN: 9788822041692
- Anno: 2012
- Mese: aprile
- Formato: 17 x 20 cm
- Pagine: 224
- Note: illustrato a colori, rilegato
- Tag: Storia Alimentazione
Diversamente da tutti gli altri esseri viventi, l’uomo mangia e beve non solo per una necessità fisiologica. Certo, l’alimentazione è innanzitutto essenziale per la sopravvivenza, ma molto presto nella storia essa è diventata un valore aggiunto in grado di influenzare la qualità stessa della vita. L’autore prende le mosse dal Medioevo, quando cioè il piacere legato al cibo, o meglio la ricerca di tale piacere viene identificata dal cristianesimo come uno dei sette peccati capitali, la gola, le cui radici sono addirittura ricondotte al peccato originale. Ha così inizio un lungo itinerario storico, in cui la gola accompagna l’uomo nella sua evoluzione culturale, rispecchiandone di volta in volta inclinazioni, aspirazioni, contraddizioni. Da sinonimo di ingordigia e voracità a principale spunto di fantasie utopiche, da pomo della discordia tra protestantesimo e cattolicesimo, fino alla sua rilettura moderna in chiave di scienza gastronomica e fenomeno di costume, la gola mostra tutta la sua ambiguità e un’inesausta capacità di suscitare le discussioni più accese. A tavola si mangia, si beve, ma si fa anche molto altro… Il libro è arricchito da uno splendido corredo iconografico, immagini tanto belle a vedersi quanto funzionali a una più efficace comprensione del discorso storico.
Prefazione di Philippe Delerm - Introduzione: Le parole della gola - 1. L’ingordigia o la voracità del ventre nel Medioevo - Gula, uno dei sette peccati capitali - La gola, un peccato veniale dalle terribili conseguenze - Gula peccato originale? - Le ripugnanti immagini di Gula - Un peccato di ricchi e di potenti - L’elogio della temperanza - L’ingordigia secondo il moralista e il pedagogo - La gola nuoce gravemente alla salute? - 2. Prelibatezze del paese di Cuccagna - Un’utopia medievale - Nel paese di Cuccagna tra cibi e vini - I sapori del paese di Cuccagna - L’arrosto e il grasso: un sogno di buona tavola - Una semplice forma di svago popolare? - Il ripugnante regno dei fannulloni, dei mangioni e dei pusillanimi - 3. Voluttà cattolica, austerità protestante - Al clero medievale piace mangiar bene - La violenta denuncia protestante della cucina pontificia - I teologi del ventre - La dieta di magro, il sapore dell’ipocrisia papista - I protestanti rifiutano i piaceri della tavola? - Un mondo cattolico voluttuoso? - L’ammorbidimento delle regole del digiuno - Il digiuno e la cioccolata - L’ubriachezza, il vero peccato di gola - La decolpevolizzazione cattolica del piacere goloso - 4. Il regno dei ghiotti e dei gourmet - Dall’Italia alla Francia, la comparsa di una gola onesta - La nascita del gentiluomo, fine gourmet - Le buone maniere della gola onesta - La spregevole figura dell’ingordo - Acquisire il buon gusto - Golosità buone da pensare - Saper controllare il proprio corpo - Dal dietetico al buon gusto - Nel cuore del modello culturale francese - La rivincita delle pance vuote - 5. L’epoca dell’eloquenza golosa - Il burlesco e il carnevalesco - L’alibi necessario a esprimere il piacere goloso - L’arte di vivere secondo la gola di Grimod de La Reynière - Nobilitare il goloso - La nascita del gastronomo - La fortuna europea del discorso gastronomico francese - La gola come patrimonio - 6. La gola, una debolezza del sesso debole - La donna e la predilezione per lo zucchero - L’incapacità femminile di apprezzare la buona tavola - Il gusto per la cioccolata, la donna lasciva e l’ombra di Gula - Sensualità gustativa, sensualità erotica - La donna appetitosa - Il riserbo della donna onesta - «Ah, il vinello bianco»! La gola triviale - 7. Sapori d’infanzia: l’infantilizzazione della gola - La gola, un difetto naturale dei bambini - Il culto del bambino paffutello - Il dono dei dolciumi - Il regno dei dolci - Le appetitose madeleines - Conclusione - Epilogo - Bibliografia
Introduzione
Le parole della gola
Ho dato un’occhiata nei dizionari al vocabolo «gola», e ciò che vi ho letto non mi ha soddisfatto. Si fa sempre confusione fra la «gola» propriamente detta, la «ghiottoneria» e la «voracità»: donde ho concluso che i lessicografi, per quanto emeriti, non sono quei piacevoli eruditi che assaporano garbatamente un’ala di pernice per poi innaffiarla, il mignolo eretto, con un bicchiere di vino di Laffitte o delle vigne del Vougeot.
J.-A. Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, 1826,
Meditazione XI
La parola «gola» [gourmandise] appare nelle nostre fonti manoscritte solo alla fine del Medioevo – in Francia verso il 1400, in Inghilterra intorno al 1450 –, ma la sua storia è molto più antica, dato che risale agli albori del cristianesimo, alle prime comunità monastiche orientali del IIIIV secolo. E se si tratta di un termine ancora oggi esistente, il suo significato ha conosciuto notevoli mutamenti nel corso dei secoli.
«Ingordo» [glouton], «gourmet» e «goloso» [gourmand] sono le tre accezioni discordanti di una stessa parola; in Occidente il termine «gola» rimanda a tre significati che corrispondono, grossomodo, a tre diverse fasi storiche. Nella sua accezione più antica di «ingordo», designa gli insaziabili mangiatori e bevitori così come tutti gli eccessi alimentari [gueule] descritti nel Gargantua di François Rabelais (1535). Fortemente negativa, la parola «gola» qualifica un vizio orribile. I termini spagnoli gula, goloso e golosoría, l’italiano gola e i portoghesi gula, guloseima e gulodice derivano dal latino gula (ossia «gola», nel senso di organo corporeo), che designava «la gola», vale a dire uno dei sette peccati capitali codificati dal Medioevo cristiano. Progressivamente «gola» si arricchisce di un secondo significato, positivo, che trionferà in Francia tra il XVII e il XVIII secolo e che imporrà il francese gourmet nelle lingue europee; gli inglesi preferiranno il termine epicure, prima di conformarsi nel 1820, allorché comincia a elaborarsi il discorso gastronomico francese. Divenuta onesta, ghiotta e gourmette, la gola buona passa a designare gli amanti del buon cibo, dei buoni vini e della buona compagnia. Ma l’ingordo non scompare dalla scena. Sempre stigmatizzato dalla Chiesa e dai moralisti, egli incorre ormai nella condanna sociale, venendo associato allo spregevole crapulone privo di educazione, nient’altro che un pezzente laido e affamato. Al plurale, infine, «gola» [gourmandise] diventa sinonimo di «dolciumi» [friandises] e rimanda alla galanteria, alle blandizie e allo spiluccare lontano dai pasti. Un tempo legate al gusto salato, le leccornie [gourmandises] gettano decisamente l’àncora nel regno del dolce tra il XVIII e il XIX secolo, in un mondo sessuato che riserva i dolciumi alle donne e ai bambini, il gusto della buona tavola e dei buoni vini agli uomini.
Attraverso un eccesso di femminilizzazione e infantilizzazione, quest’ultima accezione conduce a una netta svalutazione della parola «gola», il terribile peccato capitale che assurge a difetto naturale di individui percepiti come immaturi.
L’invenzione di «gastronomia» (1801) e di «gastronomo» (1802) all’alba del XIX secolo e, soprattutto, il vistoso successo dei due termini nelle lingue europee hanno, con molta probabilità, contribuito a questo processo di deprezzamento, designando l’accezione nobile di «gola» con un vocabolo meno ambiguo, in quanto privo di riferimento religioso, purificato di ogni sottinteso erotico ed eminentemente scientifico, data la sua derivazione dal greco. Creata a partire da gaster (stomaco) e da nomos (regola) dall’avvocato Joseph Berchoux (1775-1838), in un poema pubblicato nel 1801, la parola «gastronomia» designerà l’arte del mangiare bene, mentre il «gastronomo» sarà l’amante della buona tavola. Il suffisso nomos evoca, contemporaneamente, la nozione di padronanza, ossia una passione ragionevole, e il rispetto delle buone maniere: non si scherza con la gastronomia.
Ingordo, goloso, gastronomo: il primo termine denota un difetto, una condotta disdicevole, il secondo una gioia di vivere istintiva, primordiale, l’ultimo un apprendistato serio, un processo educativo. Siamo così giunti all’epilogo di una storia iniziata più di millesettecento anni fa tra le sabbie dei deserti medio-orientali? È evidente che il passaggio, a partire dal XVIII secolo, da un’economia di penuria a un’economia dell’abbondanza ha determinato un’inevitabile ridefinizione della nozione di gola, visto anche il considerevole ridimensionamento dell’influenza delle Chiese cristiane. Dobbiamo dedurre che nelle odierne società occidentali il piacere della buona tavola ha smesso di essere colpevolizzato? Niente di più incerto, a causa di un culto laico del corpo giovane, sodo e slanciato che ha reso nuovamente attuale il peccato di Gula. Ciò nondimeno, anche a fronte del ritorno in forze di un discorso medico fortemente venato di moralismo che martella tutto il giorno una popolazione occidentale sovralimentata, la gola non ha alcuna intenzione di capitolare. La recente affermazione della sua dimensione patrimoniale e identitaria, così come il tentativo di creare un ibrido capace di tenere insieme il goloso buontempone, il gourmet cultore dei sapori legati al territorio e il gastronomo elitario sono le vie attualmente percorse per assicurare alla gola una nuova legittimità sociale.
Lo storico «somiglia all’orco delle leggende. Lì dove fiuta odore di carne umana, lì sa che c’è la sua selvaggina». Facciamo nostre queste parole dello storico francese Marc Bloch (Apologia della storia, 1949) e andiamo alla gola.
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