Contro i nuovi dispotismi
Scritti sul berlusconismo
premessa di Enzo Marzo - postfazione di Franco Sbarberi
Ancora Berlusconi? Ormai la polemica contro il padrone di Forza Italia sembra aver preso altre vie. I «demonizzatori», come Bobbio, sono cancellati dalla politica dell'«inciucio» e delle larghe intese. Eppure, la realtà è rimasta la stessa. Pagine dense, scritte all'origine del fenomeno «berlusconismo», che ha poi contaminato un pò tutti, anche i suoi presunti oppositori.
- Collana: Libelli vecchi e nuovi
- ISBN: 9788822055088
- Anno: 2008
- Mese: marzo
- Formato: 12,5 x 21 cm
- Pagine: 128
- Tag: Storia Politica Storia contemporanea Politica italiana Silvio Berlusconi
Il libro raccoglie, a cura di "Critica liberale", tutti gli articoli e i vari scritti in cui Norberto Bobbio negli ultimi anni della sua vita affrontò, con la profondità e la lungimiranza che lo avevano sempre contraddistinto, il fenomeno del berlusconismo. Nell'impietosa disamina condotta senza alcun livore, ma con rigore scientifico e passione civile, l'autore affronta, all'alba della Seconda Repubblica, temi come il finanziamento di Forza Italia, la sua forma-partito, il falso liberalismo di Berlusconi, le debolezze e le complicità dell'opposizione, il monopolio televisivo, le prime avvisaglie di "larghe intese", le forme vecchie e nuove del dispotismo e del populismo. Leggendo queste pagine il lettore rimpiangerà ancora di più la scomparsa di un grande maestro tanto "omaggiato" quanto inascoltato, e capirà meglio le ragioni del declino dell'Italia.
L'ultima battaglia di un “demonizzatore” di Enzo Marzo - Separatismo liberale - Quell'Italia modello Berlusconi - La sinistra fa paura all'Italia - «Autoritario o sprovveduto?» - Il partito fantasma - Il diritto di fare domande - Insisto, chi finanzia Forza Italia? - I poteri e le leggi - La democrazia precaria - Confine tra politica e potere Tv - Il disfattismo di Bertinotti - Il conflitto e il suo vero nodo - La lezione dei 12 referendum - La regola della democrazia - Ambra e l'unto del Signore - L'accanimento degli antiazionisti - La fine della sinistra - «Sconcertato e sconfortato» - Italica follia - «Questa destra non è liberale» - Vince con la pubblicità - Appello contro la Casa delle Libertà - Può un politico dirsi “unto del Signore”? - Un partito eversivo - L'uomo tirannico - Le sfide neoilluministiche di Bobbio di Franco Sbarberi
L’ultima battaglia di un “demonizzatore”
Enzo Marzo
Di certi difetti sostanziali anche in un popolo “nipote” di Machiavelli non sapremmo capacitarci... Il fascismo in Italia è una catastrofe, è un’indicazione di infanzia decisiva, perché segna il trionfo della facilità... Il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l’autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco.
Piero Gobetti, 1923
Mi trovo spesso a domandarmi se il berlusconismo non sia una sorta di autobiografia della nazione, dell’Italia d’oggi.
Norberto Bobbio, 1994
Alla fine del 1997, Norberto Bobbio scrisse a “Critica liberale” una lettera per rispondere a un nostro invito a “non tacere”. Bobbio in una prefazione aveva giurato a se stesso di tirarsi da parte e di rinchiudersi nei suoi studi. Capivamo le ragioni del nostro presidente onorario, tuttavia non ci rassegnavamo alla perdita nella lotta politica della sua voce così autorevole e così intransigente. Certo, la vittoria elettorale del 1996 sembrava offrire un periodo più quieto, ma “Critica” era ben consapevole dell’inconsistenza delle classi dirigenti del centrosinistra, prive di solidi punti di riferimento etico-politici e proprio per questo incapaci di avvertire fino in fondo i pericoli per la democrazia insiti nel fenomeno berlusconiano. E di regolarsi di conseguenza. Profezia fin troppo facile. Così tirammo per la giacca il vecchio professore. Nella replica a noi scrisse di rimanere del suo parere, ma noi che lo conoscevamo bene sapevamo che prima o poi avrebbe ceduto. Se ce ne fosse stato bisogno. E infatti, quando fu necessario, Bobbio dimenticò la vecchia promessa a se stesso e tornò a combattere, con la lucidità di sempre e con un consapevole pessimismo. Così nel 2001 la sua ultima testimonianza contro Berlusconi vide proprio un’alzata di scudi oggettivamente berlusconiana di alcuni politici e intellettuali che ancora si proclamavano di sinistra. Tristezza. Nella sua lettera Bobbio scrisse: «L’ultima battaglia l’ho condotta senza indulgenze contro Berlusconi e il “non-partito” di Forza Italia». Abbiamo sempre saputo che per lui era un cruccio.
Peccato che dopo la sua morte si sia discusso pochissimo del tipo di opposizione in cui aveva creduto Bobbio. La sua rimozione è stata pressoché completa. Prima si è sancito che Berlusconi era scomparso, che bisognava pensare al futuro, distrarsi. Poi, malvolentieri tutti hanno dovuto prendere atto che sì, in effetti, Berlusconi esisteva ancora, più forte, più ricco e più monopolista che mai. Traboccanti di profezie fallite, di mancate promesse, di complicità sotterranee, di doverose dimissioni non date, i dirigenti della sinistra italiana hanno continuato a distorcere la realtà affannandosi a dipingere il sistema politico sommosso da novità strabilianti. Qualcuno si è azzardato persino a proclamare chiusa la Seconda Repubblica. Quando ancora si deve chiudere la Prima, di cui questo ultimo quindicennio non è che il fetido strascico sfibrato. E gestito con maggiore sfrontatezza dai personaggi un tempo di terza fila.
Basta leggere queste pagine scritte dal pessimista Bobbio in tempi non sospetti per scoprire che i suoi timori erano più che fondati, erano il preannuncio della decadenza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti. E non perché negligenti o incapaci di contrastare Berlusconi, ma perché essi stessi facile terra di conquista del berlusconismo. E un primo abbozzato disegno scientifico di cosa sia il berlusconismo come categoria politica e mentale è proprio qui. Leggendo, come non ripensare a Gobetti che vedeva nel fascismo l’autobiografia della nostra nazione, o addirittura al Leopardi del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani?
Quindi, come in un incubo ricorrente, viviamo un male che viene da lontano, che ci impedisce di entrare davvero nella modernità, impastato com’è di oscurantismi e arretratezze di vario genere come il clericalismo sfacciato, il capitalismo sregolato e d’avventura, la vuota spregiudicatezza dei post-comunisti, l’immoralità pubblica innalzata a valore, l’agonia dello stato di diritto. Quando il Potente dichiara di «essere commosso» perché il reato era stato sì consumato ma il Giudice è stato costretto ad assolverlo solo perché glielo ha impedito una legge ad hoc varata nel frattempo dal Potente stesso, si sta a un passo dal fondo. Ma quando di fronte a quella dichiarazione il Capo della parte avversa tace e avalla e legittima, quel passo è compiuto. Quando il Ministro della Giustizia giustifica i suoi guai giudiziari con la formula del “così fan tutti”, siamo anche qui a un passo dal fondo, ma quando il Parlamento lo acclama, siamo già oltre. Inutile nasconderci la realtà: in ogni settore, dall’economia al sociale, dalla cultura alla moralità pubblica, dalla ricerca all’imprenditorialità, tutti gli indici europei ci dicono che il nostro Paese è scivolato velocemente verso gli ultimi posti. Smarrito il senso della “differenza” e della “politica” abbiamo perduto il controllo di intere regioni, in provincia spesso l’omogeneità delle classi politiche è pressoché completa. Quasi dovunque dominano “comitati d’affari” che inquinano le amministrazioni. Altri degradi sono difficili a misurarsi, ma che dire della corruzione della nostra stessa lingua, del senso forte di precarietà, di insicurezza e di impunità che inquieta il Paese, del complotto destra-sinistra che confisca al cittadino ogni possibilità di scelta dei propri rappresentanti?
Tutto questo sarebbe risanabile se esistesse una classe dirigente consapevole delle cause della crisi. Nel 1922 Gaetano Salvemini, un maestro di Bobbio, scrisse che era inutile «cercare la salvezza nel mutare gli ordinamenti costituzionali» e irrideva al fatto che si pensasse di rimediare «cambiando legge elettorale». Siamo alle solite. Al “politicume”. I politici del centrosinistra faranno pagare al Paese per molto tempo e assai caro il tradimento del proprio elettorato nel 2006. Con una terribile legislatura berlusconiana alle spalle, forze assai disomogenee, da Fisichella a Turigliatto, erano state costrette a correre ai ripari. La stessa azione di governo ad personam imponeva a tutti gli altri di mettersi assieme in un fronte eterogeneo ma unito su un solo punto: la riparazione dei guasti prodotti dal regime berlusconiano. Si cominciava a capire che per esserci un regime non era necessario il manganello mussoliniano, bastava il manganello mediatico, o la dittatura della maggioranza parlamentare.
Il Comitato di Liberazione Nazionale si fa, ma non si dice. Anzi, ci si arrabatta persino a scrivere un programma politico onnicomprensivo, come se questo sia concepibile tra visioni del mondo spesso opposte. Commovente è l’ostinazione con cui ci si rifiuta di dire lealmente qual è il senso politico dell’alleanza elettorale. Anzi, si fa di tutto per occultare il significato dell’“unione sacra”, rinunciando a criticare il berlusconismo, a metterne in luce significati, comportamenti, disvalori. Meno si parla dell’avversario e meglio è. E l’avversario ricambia benignamente dimenticandosi in campagna elettorale delle malefatte diessine. I risultati sono noti. Si vince lo stesso per pochi voti, ma la sconfitta verrà dopo. Appunto, tradendo gli elettori. Non solo non si dice, ma neppure si fa. Il centrosinistra lungo due legislature in cui ha governato non solo non è riuscito, ma non si è posto neppure il problema di blindare la Costituzione dalle probabili manomissioni, non ha affrontato in modo serio né il monopolio televisivo né il conflitto d’interessi, non ha disinquinato la democrazia, non ha ripristinato minime regole di legalità, non ha abrogato il “Porcellum”. Ha cancellato, invece, il senso emergenziale e provvisorio della propria alleanza. Ha negato le qualità specifiche della crisi in cui è precipitato il Paese. È rimasto in balìa delle proprie diversità. Così si è suicidato.
Per ora il berlusconismo ha dilagato. Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo. Bobbio aveva ragione. Lui così pessimista sempre, se ha fatto un errore, è per difetto. Le crisi storiche hanno due vie d’uscita: o una piena assunzione di responsabilità delle classi dirigenti che così riescono a rinnovarsi e a rinnovare la propria rappresentanza politica o la solita scorciatoia populista e demagogica. Ci sembra che non ci siano tante speranze. Il populismo e la demagogia dominano tutti i fronti, persino quello che pensa di contrapporsi virtuosamente alla “politica”. Quello che Bobbio definì “non-partito” ha fatto scuola e, mentore Ferrara, è diventato il modello della nuova formazione “a vocazione maggioritaria”. Il cerchio si chiude: i nuovi leader copiano i vecchi, prima si fanno applaudire plebiscitariamente, poi decidono in solitudine nomenclature, candidature, programmi. Svegliandosi una mattina, mutano rotta politica di centottanta gradi. Fanno accordi “di cartello” con la concorrenza. La plebe segue. Nuovi dispotismi? Sì, anche; ma pure tanta paccottiglia dispotica trita e ritrita.
01 aprile 2010 | Micromega |
09 aprile 2008 | la Repubblica |