In this book the author analyzes, in a rigorous and clear way, a difficult issue that social sciences neglected during last years: the phenomenon of public and protest self-immolation in some Mediterranean countries, before and after the most famous, that of Mohamed Bouazizi. His hypothesis is that these suicides by fire, united by the claim for human dignity, are not an alternative or surrogate expression of social conflict and revolt, but basically belong to the same phenomenal category. In the wake of the most classic sociological studies on suicide (those of Durkheim and Halbwachs), the author shows how such a kind of voluntary death, the most terrible and spectacular, is an eminently social event. It concerns the unsolved problems of the Tunisian transition: the serious economic and social inequalities, the authoritarian structure of power, the appearance of religious ideologies exalting violence and martyrdom. That’s not enough: human torches, now burning in some European countries and in Israel, reveal a malaise that is not an exclusive problem of «Asian» and Muslim societies, but also a problem of our society, hit by an economic, social and political crisis.
Annamaria Rivera
The fire of revolt
Human torches from Maghreb to Europe
An acute social-anthropological analysis of the present phenomenon of public and protest suicides by fire, from Tunisia to Europe and Israel.
- Series: Nuova Biblioteca Dedalo
Subject: Anthropology and Ethnology
ISBN: 9788822063229
Year: 2012
Month: october
Format: 14 x 21 cm
Pages: 200
Prologo - 1. Torce umane e rivoluzione tunisina - Bouazizi: l’evento e il mito - Suicidio pubblico e rivolta: un nesso strutturale - Storie simili, esiti differenti: la forza delle dinamiche sociali - Martiri ed eroi: retoriche e realtà - Dalla rivolta individuale all’insorgenza collettiva - Autoimmolazioni e transizione - 2. Oltre la Tunisia: l’estensione del fenomeno, le ragioni sociali e culturali - «Questa violenza è sinonimo di rifiuto, rivolta, contestazione» - L’autoimmolazione come fatto sociale totale - Annientarsi tra le fiamme in Marocco e in Algeria - I retaggi della cultura del martirio - «Preferisco l’inferno di Dio all’inferno che m’infliggono gli uomini» - 3. Dai bonzi ai morti viventi - I modelli «classici»: Thich Quang Duc e Jan Palach - Banalizzazione del tremendum? - «Non potete ucciderci: siamo già morti» - 4. Dal Maghreb all’Europa: migrazioni reali e simboliche - Fuoco e acqua: due maniere di bruciare il presente - Non basta un’insurrezione a intaccare le frontiere - Le fiamme dei «martiri» lambiscono l’Europa - Alcune storie italiane esemplari - Breve epilogo - Bibliografia
[…] Per nominare la morte volontaria, pubblica, di denuncia e protesta per mezzo del fuoco, abbiamo […] usato il termine di autoimmolazione, ormai consueto nella letteratura scientifica e anche nel lessico giornalistico francofono e anglofono (non in quello italiano). En passant conviene ricordare che “immolazione”, discendendo dall’etimo latino mola (a sua volta da moliri, “macinare”), allude all’uso dei sacerdoti di consacrare le vittime prima di ucciderle, ponendo loro sul capo la mola salsa, composta da farro arrostito e macinato, mescolato con sale. “Immolazione” è quindi sinonimo di sacrificio cruento: letteralmente significa l’atto di sacrificare un essere vivente -umano o non umano- in onore o in favore di uno spirito o di una divinità.
È significativo che si sia assunto questo termine […] per significare il suicidio per mezzo del fuoco e solo questa modalità di morte volontaria. Ciò vuol dire che, deliberatamente o non, l’atto di farsi torcia umana è stato inteso come l’auto-sacrificio per antonomasia di chi si è consacrato a una causa: sacrificio paradossale poiché il martire è allo stesso tempo sacerdote e vittima sacrificale […]. Altrettanto rilevante è che, mentre l’atto di darsi la morte col fuoco ha una storia assai vetusta […], in Occidente la parola “autoimmolazione” cominci a essere utilizzata per denominare la morte volontaria tra le fiamme a partire dagli anni Sessanta del Novecento, sull’onda dei suicidi di protesta o esplicitamente politici contro la guerra in Vietnam e poi contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, cioè i due cicli più importanti, o almeno i più noti, di suicidi pubblici mediante il fuoco e per una causa […].
Malgrado la carenza di statistiche, la sequela attuale di torce umane, in particolare in Tunisia -ma anche in altri paesi del Maghreb e del Mashreq, più in generale del Sud globalizzato- si presenta come un fatto di dimensione considerevole […]. Esibire in pubblico il proprio corpo divorato dalle fiamme, per testimoniare, rivendicare, protestare, denunciare non è cosa che possa essere inventariata come una delle svariate maniere in cui gli esseri umani si danno la morte. Non è solo una scelta tragica, non è solo il gesto che realizza, in fondo, una certa trasfigurazione eroica della persona comune. È anche un atto denso di dimensioni e significati sociali, psicologici, politici, simbolici, talvolta anche religiosi o comunque tali da far intravedere una concezione trascendente della vita e della morte. È insomma un fatto sociale totale, vale a dire uno di quegli eventi, pratiche, istituzioni cruciali della realtà umana che coinvolgono la pluralità complessiva delle espressioni del sociale largamente inteso […].
Se poi, come è nel caso della Tunisia, le autoimmolazioni pubbliche, a partire dalla più celebre e simbolica, quella di Mohamed Bouazizi, avvengono nel quadro di un sommovimento sociale e politico che conduce alla caduta di un regime dispotico o dittatoriale e continuano nel contesto della transizione, è ancora più plausibile che si voglia cercare d’indagarne i significati, le circostanze, le ragioni. Se, oltre tutto […] sembra non vi sia discontinuità fra la rivolta spontanea e l’autoimmolazione, sicché anche la seconda appare come una delle forme del conflitto sociale, si può comprendere bene perché si voglia cercare di scoprire, secondo un paradigma indiziario […] cos’è che “bruci” davvero nella società, quale forza annichilente agisca per spingere un certo numero di esseri umani a scegliere di farsi divorare dalle fiamme.
Oltre al nesso fra rivolta spontanea e suicidio pubblico, un altro dei motivi espliciti che ricorrono in molte delle tante vicende di autoimmolazione che abbiamo raccolto ha a che fare col tema della dignità. Questo motivo, che accomuna casi accaduti nei contesti più disparati -dal Maghreb all’Europa, a Israele-, ci fa pensare che a spingere verso la forma di suicidio più spettacolare siano spesso le ferite inferte alla dignità personale, la frustrazione e il risentimento conseguenti, quindi l’intento di sfidare il potere […].
[…] Si potrebbe avanzare il dubbio che se il fenomeno ci appare tanto drammatico e in ascesa è solo perché i media oggi ne parlano, sia pure con le gravi carenze che segnaliamo più avanti. È l’argomento che di solito invocano coloro che, nel Maghreb come in Europa, tendono a sminuire o a negare l’emergenza sociale di questo tipo di suicidi […].
Ma è altrettanto vero che il genere mediatico dei suicidi dimostrativi, di protesta, con un movente politico o socio-economico palese può essere minimizzato o censurato oppure può scomparire d’improvviso, dopo essere stato costruito e proposto al pubblico, se i poteri del momento decidono che è inopportuno parlarne: per evitare di allarmare i cittadini, di dare un’immagine negativa del proprio paese e dei suoi governanti, di favorire processi imitativi e anche, relativamente ai paesi del Maghreb, di far trapelare la notizia delle rivolte che di solito scoppiano dopo un’autoimmolazione pubblica. È quel che probabilmente accade oggi soprattutto in Tunisia […].
Nonostante la manipolazione o la censura dei media, una torcia umana è una torcia umana. La si può ignorare od occultare, come spesso hanno fatto nel passato i mezzi d’informazione tunisini al servizio del regime. La si può sminuire come fanno tuttora certi media, convenzionali e non. Si può, all’opposto, enfatizzarne la notizia e arzigogolare sui dettagli, le circostanze, le ragioni. Non si può, invece, inventare di sana pianta un corpo che arde sulla scena pubblica.
Di questi corpi che bruciano la disperazione, la morte sociale e il senso d’impotenza, singolari malgrado il carattere seriale che ha assunto il fenomeno nei paesi maghrebini, e delle soggettività rispettive, nonostante tutto ancora così potenti da scegliere il modo più pubblico e atroce di darsi la morte, conosciamo solo i dettagli che ci riferiscono le cronache. Tuttavia, parlarne attraverso una casistica raccolta mediante lo spoglio di giornali e siti elettronici non è solo una scelta obbligata, in assenza di altre fonti ed essendo risultato alquanto arduo interrogare i sopravvissuti e i familiari di chi è riuscito nell’impresa di morire tra le fiamme. È anche il tentativo di sottrarre queste singolarità all’oblio e a un anonimato paradossale, per restituire loro, quando è possibile, se non la biografia, almeno il nome, le circostanze e i motivi palesi del loro gesto estremo.
[…] Aver messo a fuoco questo tema, inoltre, ci ha permesso di raccontare “di sbieco” l’insurrezione tunisina, la fine del regime benalista e la transizione, mediante le torce umane che ne punteggiano il percorso: fuochi che hanno acceso e generalizzato l’insurrezione popolare, ma anche segnali luminosi che indicano i lati oscuri del cammino post-rivoluzione. È una scelta che forse può sottrarci alla tentazione di idealizzare o ideologizzare un evento di sicuro “epocale” […], ma anche dall’esito assai incerto e dal percorso arduo e tortuoso, al pari di tutte le transizioni […].
In conclusione, ci sembra che il fenomeno delle autoimmolazioni, in apparenza laterale e secondario, riveli molti dei mali, delle ambivalenze e delle contraddizioni della società tunisina e non solo: anche di altre società del Maghreb, del Mashreq, del Sud globalizzato, dell’Europa stessa, ognuna con la propria peculiare storicità, ma tutte colpite se non devastate dagli effetti del neoliberismo e della crisi del capitalismo marcescente, ben evidenti non solo sul piano economico e sociale ma anche su quello delle relazioni fra il potere, le istituzioni e i cittadini. È per questo che, pur dedicando gran parte della descrizione e dell’analisi al contesto tunisino, proponiamo qualche comparazione col Marocco e l’Algeria, con la Francia e l’Italia, riservando alcuni passaggi alla Grecia e a Israele. Sembra, infatti, che le fiamme dei “martiri” tunisini abbiano cominciato a lambire la sponda del Mediterraneo a settentrione, arrivando a sfiorare anche la sua estremità orientale.
[…]Il nostro non è un elogio del suicidio tra le fiamme, bensì una semplice constatazione: le torce umane che bruciano sulla scena pubblica non solo testimoniano di un malessere sociale profondo e diffuso, ma sono anche un grido strozzato, una parola mutilata che spetterebbe alla politica, intesa nel senso più nobile del termine, raccogliere per renderla compiuta e articolarla entro un discorso adeguato alla fase attuale. Se è fondata la nostra ipotesi che le autoimmolazioni appartengono, sia pure in potenza e in modo variabile secondo i paesi, al medesimo ciclo storico del conflitto sociale presente, se non alla stessa categoria fenomenica, si tratta di rendere esplicito il conflitto e di organizzarlo in forme tali che esso possa fare a meno di corpi che ardono nelle piazze.
july 2013 | LA SICILIA |
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march 2013 | FREENEWSPOS.COM |
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november 2012 | ilmanifesto.it |
november 2012 | Il Manifesto |
november 2012 | lesinrocks.com |
november 2012 | Corriere Immigrazione |
november 2012 | MicroMega (WEB) |
november 2012 | LA SICILIA |
october 2012 | La Gazzetta del Mezzogiorno |
october 2012 | Il Manifesto |
october 2012 | Diritti Globali |
october 2012 | MicroMega (WEB) |