The book examines the relationship between science and religion, through the analysis of evidences that thinkers like Spinoza, Pascal, Hume, and scientists like Newton and Einstein has left to us. Comparing the methods of science to investigate the world and the truths revealed by religion (in particular Christian-Catholic), the author tries to answer some questions, that these two major issues raised. Why so many men seek God and accept the idea of God? This acceptance is more on a conceptual level or on an emotional level? Religions are human constructions or works of God? The work of mediation that religions want to exercise between God and men is necessary? What distinguishes the scientific approach to knowledge of reality from that of theologic and religious thought?
Mario Grilli
Scientists and the idea of God
A comparison between scientific and religious thought
preface by Carlo Bernardini
Science and Religion: points of contact and contrast between two imposing edifices of man.
- Series: ScienzaFACILE
Subject: Science
Year: 2010
Month: june
Format: 14 x 21 cm
Pages: 112
Prefazione di Carlo Bernardini - Introduzione - 1. Dio - 1.1. Il Dio di Blaise Pascal - 1.2. Il Dio di Newton - 1.3. Religiosità cosmica: Albert Einstein - 1.4. Il Dio di scienziati-preti - 1.5. Altri cosmologi e l’idea di Dio - 1.6. Perché Dio - 2. Dio e religioni - 2.1. Le religioni: costruzioni storiche - 2.2. Il Dio di Mosè - 2.3. Fatti «soprannaturali»: miracoli, prodigi - 2.4. Immortalità dell’anima o anche del corpo? - 2.5. Corpo e santità: «segni» della santità - 3. Dio e spiegazione scientifica del mondo - 3.1. L’uomo: il signore delle opere di Dio? - 3.2. Finalismo e religioni - 3.3. Difficoltà degli inizi - 4. Scienza e religione - 4.1. Centralità ed età della Terra - 4.2. La natura ha fatto tutto poco a poco - 4.3. Chiesa cattolica e «tutela della vita» - 4.4. Conoscenza «assoluta» o «relativa» - Appendice - Indice dei libri proibiti (index librorum prohibitorum) - 5. Alcune riflessioni conclusive
3.2. Finalismo e religioni
L’assunzione che l’Universo è finalizzato al bene dell’uomo (finalismo) è connaturata con le religioni che, a qualunque latitudine, predicano agli uomini che il mondo è stato creato per loro.
Lo afferma la Bibbia (Genesi, 1), in cui Dio dice alle sue creature di dominare «sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente» (sino a «ogni erba che produce seme […] e ogni albero»), così come testi sacri ancora più antichi.
In un testo egizio di circa 4000 anni fa si legge:
Gli uomini, il gregge di Dio Sole, sono stati provvisti di tutto. Egli ha fatto il cielo e la terra per il loro bene […]. Ha fatto l’aria per vivificare le loro narici, poiché essi sono fatti a sua immagine, tratti dalla sua carne.
Egli splende nel cielo, ha fatto piante e animali per loro, uccelli e pesci per nutrirli.
Il Dio del cielo, Salping, proclama altrettanto rivolgendosi agli uomini di una tribù indigena del Nord America (da lui creati dall’argilla rossa): «Vi ho reso signori della Terra e di tutto ciò che contiene».
Nella cultura occidentale l’idea base del finalismo, cioè che la «natura non fa nulla senza ragione» si deve ad Aristotele (Il Cielo II, 1). Nella visione aristotelica fra le cause che generano i fenomeni naturali c’è anche la cosiddetta causa finale che, come scrive Giovanni Reale, «è lo scopo e la ragione del divenire. La causa finale indica sostanzialmente il senso del divenire».
Così, per fare un esempio concreto, la causa finale che secondo Aristotele fa sì che un grave cada dall’alto verso terra è la tendenza di ciascun corpo a raggiungere il proprio «luogo naturale» (che, nel caso specifico, sarebbe il centro della Terra, coincidente, nella visione geocentrica tolemaico-aristotelica, con il centro del Mondo).
La visione aristotelica è stata, come noto, inglobata (con la variante significativa che Dio domina la natura) nella visione medioevale cattolica, secondo la quale, come ha scritto il suo massimo esponente Tommaso d’Aquino (secolo XIII), «in tutti i corpi che obbediscono alle leggi naturali, seppure privi di coscienza, appare un ordinamento delle azioni verso un fine».
L’idea di causa finale fu eliminata nella visione scientifica del mondo quando con la nascita della fisica galileiana-newtoniana, prima la caduta di un grave e il moto dei pianeti e poi via via i più svariati fenomeni naturali (meccanici, elettrici, magnetici, ecc.) furono spiegati tramite l’azione di forze fisiche ben definite.
A questa conquista del pensiero scientifico è corrisposto, quindi, un primo arretramento del finalismo, ben radicato nella visione aristotelica e in quella tomistica del mondo.
Un ulteriore e decisivo arretramento di questa visione è stato provocato, a partire dal XIX secolo, dall’affermarsi in biologia del darwinismo.
Questa teoria spiega, come noto, l’evoluzione delle specie viventi come dovuta all’azione combinata di mutazioni geniche e selezione naturale, grazie alla quale si riproducono e prevalgono gli individui portatori di mutazioni o variazioni, che li hanno resi più adatti all’ambiente in cui vivono.
Essendo le mutazioni genetiche assolutamente casuali è ovvio che le variazioni che producono in un individuo sono sia favorevoli che sfavorevoli a un migliore adattamento, ed è solo l’azione cumulativa (di generazione in generazione) della selezione naturale che produce, su tempi lunghissimi di milioni di anni, specie più adatte alla vita.
Ciò può provocare in qualcuno la falsa impressione che l’evoluzione abbia delle finalità, degli obiettivi a lungo termine. Invece come avverte Dawkins:
Se dopo miliardi di anni, giudicando con il senno di poi, pare che si sia conseguito quello che sembra un progresso verso qualche obiettivo lontano, questo è sempre una conseguenza incidentale di molte selezioni a breve termine.
A conferma dell’assenza di un obiettivo finale e di un disegno nello svolgimento dell’evoluzione si possono citare i tanti rami interrotti dell’albero genealogico di qualunque specie vivente e le tante imperfezioni presenti nel mondo animale e vegetale.
Ciò è vero anche per l’uomo (Homo sapiens sapiens), il cui albero genealogico, a partire dalle prime forme di vita primitive (di circa 3,5 miliardi di anni fa), è così ramificato, frastagliato che aveva ben ragione il biologo e geologo Gould ad affermare che l’uomo attuale è stato «solamente un ramoscello tardivo di quell’enorme cespuglio arborescente che è la vita».
Dopo Darwin, cioè dopo aver scoperto l’alta incidenza di meccanismi casuali (come le mutazioni, le favorevoli condizioni ambientali, ecc.) che sono intervenuti nello sviluppo delle specie viventi (compreso l’uomo), non si può parlare di un mondo regolato dal finalismo.
Pertanto François Jacob, premio Nobel 1965 per la Medicina, ha potuto giustamente affermare «che Darwin ha eliminato la finalità del mondo vivente, la vecchia teleologia aristotelica» e precisare che con Darwin compare nel mondo vivente «la contingenza, il carattere indeterminato del mondo vivente: il mondo vivente avrebbe potuto essere diverso da quello che è, o addirittura non esistere affatto».
august 2014 | Pagina3 |
september 2010 | La Gazzetta del Mezzogiorno |
june 2010 | La Padania |