Ma insomma che cos’è la radioattività?
La maggior parte degli atomiche costituiscono la materia è stabile, cioè gli atomi restano sempre tali e quali. Anche quando subiscono reazioni chimiche che li trasformano nei diversi composti. Per esempio il cloruro di sodio, cioè il normale sale da cucina, si ottiene dall’unione di un atomo di cloro (un gas velenoso) e di un atomo di sodio (un metallo leggero molto reattivo). Ma gli atomi che formano la molecoladel cloruro di sodio sono gli stessi che costituivano il cloro gassoso e il sodio metallico, e infatti possono essere riottenuti decomponendo il cloruro di sodio.
Alcuni atomi sono invece instabili, nel senso che si trasformano spontaneamente in atomi di altre specie con un processo chiamato decadimento. Come avviene, per esempio, per l’uranio.
Questi atomi instabili sono detti radioattivi perché nell’attimo della trasformazione essi emettono radiazioni. Si tratta di elettroni oppure di nuclei di atomi di elio2, che sono generalmente accompagnati da fotonigamma, cioè pacchetti di radiazione elettromagnetica, simili a quelli che costituiscono la luce, ma dotati di energia assai maggiore. I tre tipi di radiazioni emesse nelle trasformazioni degli atomi radioattivi sono tradizionalmente chiamati alfa(nuclei di elio), beta(elettroni) e gamma (fotoni), e sono indicati rispettivamente con i simboli a, b e g.
I fotoni gamma sono privi di carica elettrica, le particelle alfa possiedono carica positiva, le beta carica negativa.
Queste diverse radiazioni si distinguono in base alla loro capacità di penetrare nei materiali, che dipende anche dalla loro energia. Per fermare le particelle alfa basta la pelle o un foglio di carta, mentre per bloccare gli elettroni occorrono materiali più densi e spessori maggiori, per esempio alcuni millimetri di alluminio. Più penetranti ancora sono i raggi gamma, specie quelli di alta energia: per bloccarli occorrono grandi spessori di cemento o di piombo. Sono quindi diverse anche le distanze percorse mediamente nell’aria da queste radiazioni fino al loro assorbimento: a parità di energia (1 megaelettronvolt), le particelle alfa percorrono circa 1 cm, le beta circa 2,5 metri, i raggi gamma circa 300 metri.
Le radiazioni alfa, beta e gamma sono dette ionizzanti, perché la loro energia è tale da ionizzare gli atomi con cui possono interagire, cioè strappare da essi uno o più dei loro elettroni oppure rompere i legami chimici delle molecole. Questa proprietà, che rappresenta i danni che le radiazioni apportano alla materia con cui interagiscono, è importante anche perché è utilizzata negli strumenti che ne rivelano la presenza.
La radioattività può essere anche provocata artificialmente, per esempio colpendo il nucleo di un atomo stabile con una particella dotata di sufficiente energia. In tal caso l’atomo stabile si trasforma in un atomo radioattivo, che quindi poi decadrà a sua volta trasformandosi in un atomo diverso. I primi a ottenere questo risultato furono i coniugi francesi Irène e Frédéric Joliot-Curie, che nel 1934 bombardarono degli atomi di alluminio con particelle alfa, trasformandoli in una specie radioattiva di fosforo. Per questo nel 1935 ricevettero il premio Nobel per la Chimica. Ricordiamo anche che la trasmutazione di un gran numero di elementi chimici venne ottenuta a Roma da Enrico Fermi e dal suo gruppo, noto come «i ragazzi di via Panisperna».
Ma è importante osservare che non c’è alcuna differenza fra le radiazioni prodotte dalla radioattività artificiale e da quella naturale.
Le trasformazioni degli atomi radioattivi
Le trasformazioni degli atomi radioattivi sono chiamate decadimenti o anche disintegrazioni, perché il nucleo dell’atomo che si trasforma emette, e quindi perde, qualcuna delle particelle che lo costituiscono: un nucleo di elio, cioè due protoni e due neutroni legati assieme (radiazione alfa), oppure un elettrone (radiazione beta). Queste trasformazioni sono delle vere e proprie trasmutazioni, nelle quali cioè un atomo di un elemento chimico si trasforma in uno di un altro elemento. Per esempio, quando un atomo emette radiazione alfa il suo nucleo perde due protoni e allora l’atomo cambia la sua identità, trasformandosi in un atomo di un altro elemento chimico, perché i diversi elementi chimici sono caratterizzati proprio dal numero di protoni contenuti nel loro nucleo (nella tavola periodica gli elementi sono ordinati in base al numero dei protoni che possiedono nel nucleo, a partire dall’idrogeno che ne contiene uno).
Con le trasformazioni degli atomi radioattivi si realizza il sogno degli alchimisti dei secoli passati: la cosiddetta trasmutazione della materia. Peccato però che fra le numerose trasformazioni possibili non rientri quella del piombo in oro. Può anche darsi, e anzi avviene spesso, che l’atomo prodotto nella trasformazione sia a sua volta instabile, cioè radioattivo. Il processo di decadimento allora si ripete fino a che non si produce un atomo stabile. Proprio questo è quello che succede agli elementi radioattivi naturali più comuni, come l’uranio e il torio. Al loro decadimento iniziale segue una lunga serie di trasformazioni successive, che si conclude con il (deludente) risultato finale della loro trasmutazione in piombo.
Ma da dove proviene l’energia delle radiazioni emesse nel decadimento degli atomi radioattivi? Il fatto è che una parte (m) della loro massa si converte in energia (E) secondo la famosa formula di Einstein E = mc2, dove c è la velocità della luce (circa 300000 km/s). Più precisamente, si converte in energia la differenza fra la massa iniziale dell’atomo e la somma di quella del nuovo atomo e delle altre particelle emesse nella reazione. Il risultato finale di un decadimento è comunque lo sviluppo di calore, proveniente dall’energia cineticadelle particelle emesse e dall’energia dei fotoni.
Questo calore è veramente parecchio, enormemente maggiore di quello che si sviluppa in una reazione chimica. La combustione di un atomo di carbonio, per esempio, sviluppa 4,36 elettronvolt, mentre quando un atomo di uranio decade, e si trasforma in torio emettendo una particella alfa, si liberano 4,18 MeV, cioè una quantità di energia un milione di volte maggiore.