Elias Canetti’s Crowd and Power is a disturbing masterpiece. It shows disregard for the boundaries between academic disciplines. It is a disturbing work insofar as it demands the reader the ability to embrace numerous disciplines, such as anthropology, psychology, sociology, philosophy, ethology, and proxemics. In other words, it requires the knowledge of a vast range of social sciences. For Canetti, the fact of distinguishing between all these research fields was always senseless and fruitless. On the contrary, his aim was to create the opportunity of overcoming such distinctions by adopting a specific methodology, which consists of observing social phenomena through its narration. On the basis of this analysis of social life, the reader is confronted with the behaviour of primitive people and draws unconsciously parallels between ancient and modern societies. At the same time, the reader experiences the behaviour of crowds and power that determines everyday life. As a result of its investigation, the work of Canetti, which can be characterised as a phenomenology of crowd and power, offers a typology of specific collective behaviour. Finally, the unpublished and insightful, scientific correspondence between the author and Canetti, which is located in appendix of the book, gives the reader useful clarification about the development of Canetti’s masterpiece.
Enzo Rutigliano
The language of Crowds
On the Sociology of Elias Canetti
with an appendix of unpublished letters
The exposure and the critical reconstruction of a masterpiece: Crowd and Power of Elias Canetti.
Subject: Sociology
1. Origine di una ossessione - 2. La massa: fenomenologia e tipologia del comportamento - 3. Il potere e la metamorfosi - Appendice - Notizia sulle lettere - Bibliografia
Enzo Rutigliano
P.zza Lodron, 1
38100 Trento
5 maggio 1989
Caro professor Canetti,
intanto devo scusarmi per aver tardato così tanto – dal 3 febbraio – a rispondere alla sua lettera. Ciò è accaduto per due motivi, in primo luogo perché volevo prima partecipare al simposio di Vienna e comunicarle qualche impressione, ma, soprattutto, perché volevo riflettere sul suo appunto che riguarda la ripresa da parte mia della famosa interpretazione di Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell’Illuminismo di Odisseo come prototipo dell’eroe borghese.
Naturalmente lei ha ragione quando dice che «così si tralascia la maggior parte dei significati della sua figura». Giusto, e infatti, anch’io penso che Odisseo sia anche molte altre cose.
E, tuttavia, penso che l’interpretazione di Adorno non sia del tutto arbitraria – Odisseo può anche essere letto come colui che va oltre tutti i valori dell’evo medio ellenico, che supera (aufgehoben) i valori dell’Iliade per affermare un individualismo che annuncia il moderno.
L’episodio delle sirene, del loro canto come conoscenza, vede la scissione tra conoscenza impotente (Odisseo legato all’albero della nave) e il suo contrario, i marinai che fanno andare la nave, ma resi sordi alla conoscenza stessa. Insomma, la divisione del lavoro in lavoro intellettuale e lavoro manuale e la maledizione dell’uomo diviso. Odisseo è, tuttavia, anche ciò che dice Dante: «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza».
Spero di aver chiarito (si fa per dire) la mia ambivalenza verso questo personaggio che è stato per me, sempre, fin dai tempi della scuola, molto importante.
Per il resto, la ringrazio per quello che dice del saggio, lei è sempre molto gentile con il mio lavoro che ha lo scopo di chiarire, come lei dice, ma, anche, di acquisire alla scienza della società un classico come è il suo Massa e potere.
A questo proposito, devo dire che il convegno di Vienna, pur interessante per molti versi, non ha registrato molti passi in avanti in quella direzione che io ritengo, per il prossimo futuro, essenziale.
Molti degli interventi, infatti, pur interessanti erano vaghi e piuttosto sul «letterario».
In ogni caso, sono soddisfatto anche della accoglienza fatta alla mia relazione e ho avuto modo di sapere da Michel Maffesoli che, per il prossimo anno, si ha intenzione di promuovere, alla Sorbona, un convegno sulla «Sociologia» di Masse und Macht.
Le racconterò ora un paio di episodi del mio soggiorno a Vienna che è stato davvero gradevole.
La sera del mio arrivo mi si aspettava in una specie di circolo della Rockgasse, dove erano già intenti a mangiare la maggior parte dei partecipanti al convegno. Ora, in un’altra sala, accanto alla nostra, si celebrava, mi parve di capire, il compleanno della ricchissima vedova di Doderer; così ogni tanto qualcuno degli organizzatori del convegno si alzava per andare a dare un’occhiata nell’altra sala alla vecchia signora. Mi ricordai allora che in qualche modo l’episodio aveva un legame con lei: infatti quella signora era la stessa compagna di Doderer «la sua amica – lei dice – poco vistosa, ma a suo modo docile anche lei, di un biondo un po’ insipido, [che] gli sedeva accanto e sorrideva come lui, sia pure con maggiore discrezione all’apparire di ogni nuovo quadro». Riconoscerà il delizioso episodio da lei stesso raccontato in cui Doderer e la moglie guardano i quadri cubisti con la stessa espressione come se guardassero il Beato Angelico a Firenze. Così mi parve in qualche modo di buon auspicio per il convegno e anche di qualche significato che dopo cinquant’anni un qualche legame fosse stabilito la sera del mio arrivo a Vienna con un episodio della sua autobiografia.
Allo stesso modo, il giorno dopo mi venne richiamato ancora alla memoria quanto lei dice di Kokoschka mentre mi recavo di buon’ora a palazzo Urania per l’inizio del convegno: giunto davanti a un palazzo fui attratto dai gesti di un dipendente del comune che lavava con uno spazzolone, dell’acqua e del detersivo, energicamente, la testa di Kokoschka.
Si trattava della pulizia del busto di bronzo dell’artista.
Giunto al palazzo Urania ebbi la sorpresa di vedere una piccola mostra fotografica di sue foto giovanili e di molti personaggi da lei «salvati dall’oblio» nella sua autobiografia, ad esempio, il direttore d’orchestra H.
A proposito, devo dire che uno dei protagonisti di Das Augenspiel, e cioè il Cafè Museum, conserva ancora un’aria autentica, non è infatti frequentato dai turisti come il Cafè Central con il suo gusto grottesco di esporre, seduto al tavolo, il manichino di Altenberg come uno spaventapasseri.
Scusi se sono stato lungo, me ne accorgo ora, e, tuttavia, forse le farà piacere leggere questi aneddoti.
La ringrazio ancora per la possibilità che mi ha dato e la prego di gradire i miei migliori saluti e auguri.
suo Enzo Rutigliano
april 2010 | Il Venerdì |