Quando l'allievo supera il maestro
Dieci storie di scienziati, artisti, filosofi
prefazioni di Alberto Bertoni e di Gian Mario Anselmi
Da Zenone a Gesù, da Leonardo a Newton, da Giotto a Dürer: le storie di dieci grandi allievi che nel superare i loro maestri hanno segnato indelebilmente il corso dell’umanità.
- Collana: Fuori Collana
- ISBN: 9788822041784
- Anno: 2016
- Mese: settembre
- Formato: 14 x 21 cm
- Pagine: 152
- Tag: Isaac Newton Storia della scienza Genio Gesù
Questo libro, articolato in dieci storie, tratteggia le reazioni dei grandi maestri quando si rendono conto che uno dei loro allievi li ha superati. I maestri sono Andrea del Verrocchio, John Wallis, Parmenide di Elea, Cimabue, Tycho Brahe, Simón Rodríguez, Michael Wolgemut, Leopold Kronecker, Domenico Maria Novara e un anonimo maestro buddista. I geniali allievi sono, rispettiva mente, Leonardo da Vinci, Isaac Newton, Zenone di Elea, Giotto da Bondone, Johannes Kepler, Simón Bolívar, Albrecht Durer, Georg Cantor, Niccolò Copernico, Gesù di Nazareth. Si tratta di tre pittori, due scienziati, un filosofo, due matematici e due trascinatori di folle (uno, “el Libertador”, fiero combattente, l’altro il fondatore di una religione).
Ognuno dei dieci maestri reagisce al successo dell’allievo in modo diverso, chi con sorpresa, chi con rabbia, gioia, rancore, incredulità.
Come afferma l’autore nella prefazione: «La mia sfida è stata quella di raccogliere materiali il più possibile corretti, precisi, documentati, delle storie delle dieci coppie maestro/allievo; studiarne le relazioni, inventare una plausibile reazione del maestro di fronte al superamento...».
Il vero protagonista di questi racconti è dunque la natura umana: dieci personaggi che hanno plasmato la storia culturale dell’umanità vengono messi a nudo grazie a dieci brevi narrazioni su dieci passaggi di consegna culturale.
Prefazionedi Alberto Bertoni - Prefazionedi Gian Mario Anselmi - Introduzione - Elenco dei personaggi oggetto della narrazione - Prologo - Leonardo da Vinci - Isaac Newton - Zenone di Elea - Giotto da Bondone - Gesù di Nazareth - Johannes Kepler - Simón Bolívar - Albrecht Dürer - Georg Cantor - Niccolò Copernico
Leonardo da Vinci
I gesti forti e inattesi che lasciano stupiti i presenti restano nella storia più delle imprese: si confondono con le leggende e creano fama immortale. Io credevo di non averne bisogno, perché ho ricevuto tutti gli elogi possibili in vita e tutta Firenze risplende dei successi miei. Ugolino Verini, il grande poeta, amico di Cosimo, ha affermato che tutta la pittura toscana è figlia mia. Quel Battesimo di Cristo è l’innovazione più grande nella pittura, dopo Giotto; io, solo io, ho concepito la figura
nella natura, così l’ho chiamata. Nella natura, dico, non dentro la natura, la figura che fa tutt’uno, che si integra con quel chela circonda, alberi, fiumi, colline. Sono stato il primo, nessunol’aveva pensato o osato, nessun altro lo farà bene come me.
Così, ho spezzato i pennelli miei di fronte a tutti, con un gesto di tale sublime rinuncia che le leggende ne parleranno in eterno, e davanti a testimoni che racconteranno ai quattro venti quel ch’hanno visto. C’era anche Luca, infatti, tornato da quel borgo del Montefeltro verso la Romagna, Santa Maria d’Antico o di Maiolo, mi pare, andato a visitare la Madonna con bambino, l’unica statua sua, lui che ha costruito sempre lunette con madonna e bambino bianchi in campo azzurro, proprio il della Robbia, amico mio; era stato a visitarla per verificarne l’integrità, dopo un trasporto così lungo e travagliato a dorso di mulo, costato quasi più dell’opera stessa. Mi stava raccontando della sistemazione, dietro l’altare, e parlava parlava, come sempre fa lui, quando...
All’ora del desinare, mentre i ragazzi a bottega mangiano quel che hanno portato con sé, io me ne vado in taverna a godermi quel poco di riposo, con fagioli all’uccelletto, cacio, ribollita e un bicchiere di rosso di Castellina; questa volta stava con me Luca che volle pagare. Di solito i ragazzi fanno un baccano d’inferno, urlano sconcezze, si sfidano, commentano le giovani che sfilano davanti a bottega fingendo di non sentirli, che lo fanno apposta, invece, proprio per farsi vedere. Rientravo dunque con Luca dietro che parlava e parlava, quando rimasi stupito del silenzio; zittii Luca e m’appostai sullo stipite di legno per vedere di soppiatto. Certo, qualcosa era successo: o mi si stava preparando uno scherzo o chissà che. Vidi che tutti stavano attorno a lui, a quel giovane Leonardo, ch’era entrato in bottega da tre anni e che s’era conquistato stima e rispetto, con quel fare signorile e potente, uno che ha sempre le parole giuste per ciascuno... Tutti a mirarlo, in silenzio, come rapiti, in estasi; e lui, il pennello in mano, un mio pennello, a intingerlo nel colore da lui stesso preparato la mattina (ora capisco, a bella posta, aspettando il momento), a lavorare sui miei angeli, sulla mia stessa opera, con una superbia che solo oggi capisco, a distanza di anni. In quel momento di silenzio totale, colsi lo sguardo di Luca e mi sentii gelare, quando l’altro giovane, Lorenzo, sbottò con fare umile e ardito all’un tempo, con voce seria e sincera: «Ma lo sai, Leonardo...».
Ma no, ma no, aspetta, procediamo con ordine, come questo racconto merita.
Ancora ricordo quel giorno, sarà stato fine febbraio o marzo, freddo, aveva appena smesso di piovere ed era pomeriggio presto. I ragazzi stavano scaldandosi un po’, vociando, come sempre, e stavano stendendo per terra una tela per la smagliatura delle polveri e dei colori. C’erano Pietro Vannucci, da Perugia, che tutti chiamavano Perugino, c’era Sandro dei Filipepi che tutti chiamavano Botticelli, c’era già Lorenzo di Credi, c’era Francesco il Botticini e Francesco di Simone; c’erano anche altri che ora non ricordo più.
Quest’uomo entrò, senza dire nulla, e s’avvicinò, elegante, alto, ricco, accompagnato da un servo che teneva in mano un rotolo. Si presentò: era il notaio Antonio o, come si diceva allora, ser Antonio. Disse di sé che aveva una grande famiglia presso il càssero del borgo di Anchiano, a due passi da Vinci; che un suo disgraziato figliolo, Piero, primogenito, dunque ser anch’esso, aveva avuto un pargolo illegittimo da una contadina, bella e di fiero aspetto in verità, tal Caterina, un sedici anni prima; per togliergli gli ardori, l’aveva maritato subito, quel Piero, con una giovane quasi nobile di Firenze, Albiera degli Amadori, mentre aveva convinto quell’altra, la Caterina, a maritarsi subito con Accattabriga da Vinci, figlio di Piero del Vacca, dando loro una modesta dote...
Diceva tutto questo, come fanno taluni, citando gente a destra e a manca, come se chi li ascolta dovesse sapere di chi si tratta. Io non ne avevo mai sentito nominare uno, né di Firenze né di Vinci. Mai ero stato a Vinci, anche se sapevo che si trovava in collina, più su di Firenze, verso Pistoia, mi pare. Né capivo che cosa volesse comunicarmi e perché la facesse tanto lunga. Perché era venuto da me? Non sembrava pe’ nulla interessato a commissionare un quadro o una pala o un altare... Lo sentivo a malapena perché, con fare misterioso e accennando a tacere, mi aveva strattonato verso il portone d’uscita. Di là, dentro, i miei ragazzi facevano un baccano dell’inferno, lui parlava sottovoce, il suo servo s’atteggiava come a voler nascondere il suo viso ai passanti.
Perché narrarla a me, perché questa storia?
Da parecchio tempo, però, io avevo cessato d’ascoltarlo e guardavo i disegni, passandoli uno a uno da una mano all’altra. Il padre o lo zio o il nonno non gli avevano lesinato nulla: carta buona, carboni e grafite buoni, nulla da dire. Ma la mano, dio, la mano. Si vedeva che ogni segno era d’un unico tratto, che la mano aveva solcato, veloce e profonda, la carta, a volte graffiandola e lasciandovi un solco, voluto, a volte piegandosi dolce a cercare un’ombra, come pochi adulti provetti sanno fare. Ogni disegno aveva un’anima, era il soggetto che voleva ritrarre; tentai anche di scacciare una mosca dalla guancia di un ritratto di giovane contadina, prima di restare allibito e vergognarmi di me stesso, quando m’accorsi che la mosca era disegnata e non reale. Vidi in quel gesto pittorico una forza mai vista prima, più gagliardo di Giotto che ancora tanto faceva parlare di sé. Restai sbalordito e attonito...
1 marzo 2017 | Leggere tutti |
1 dicembre 2016 | Linus |
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01 agosto 2016 | Mate |