When we compute or when we make logic deductions, or when the computer carries out an algorithm, everything happens in a world of signs, whose meaning we don’t need to understand, we need just to know their rules of employment. This is the ancient human skill we call “syntactic representation”, whose triumph we celebrated in the 20th century. To make its history means to look at the history of our civilization from the inside of a computer. And to hope that this let us better understand the whole history, even the ancient one, of science, that in its modern form takes shape in the 17th century, in the so called Scientific Revolution. Today we usually see it as heir and extension of the Greek Science, and as result of the practical common sense, industrial society and modern pragmatism. And the Middle Ages? Just an annoying parenthesis, whose best skill was only to repeat the Greek Philosophy, distorted and contaminated by religious requirements which upset the crystal clearness of the Ancients. And the Renaissance? Just an age of artists and astrologers, of explorers and inquisitors. Nevertheless those are the centuries when modern Europe was born, when not only the ancient science vanished, but even the new characters of our irrevocable “science of signs” emerged. This is another chapter of a history whose aim is to understand what is the computer, really.
Luigi Borzacchini
The computer of Ockham
Genesis and Structure of Scientific Revolutions
After Il computer di Platone, continues the story of the syntactic paradigm, the human ability that allows us to “think without understanding”, manipulating signs and where the computer is the epiphany. The focus is now on the Middle Ages and the Scientific Revolution when modern science emerges and our civilization takes its essential characteristics.
- Series: La Scienza Nuova
Subject: Science, Philosophy
Year: 2010
Month: february
Format: 14 x 21 cm
Pages: 656
Prefazione - Introduzione - 1. Dalla Tarda Antichità all’Alto Medioevo - Il libro e il paradigma sintattico - Pagani e cristiani, Cristianesimo e Classicità - Essere ed esistere, individui e universali - L’anima, l’infinito e il tempo - Il non-essere - Linguaggio e logica. Sant’Anselmo - 2. La scienza tra antichità e Alto Medioevo - Cristianesimo e scienza - Esperimento. Astrologia e alchimia - Tempo e caso - La matematica tardo-romana - Matematica e scienza islamica - La matematica europea nell’Alto Medioevo - 3. Il Basso Medioevo: la Scolastica - La Scolastica - Gli intellettuali e l’Università - Pietro Abelardo - L’aristotelismo e San Tommaso - I francescani - Ockham e Buridano - 4. Il Basso Medioevo: la logica e il linguaggio - La logica e il linguaggio in Abelardo - La logica nova - Le suppositiones e le intentiones - Il linguaggio mentale come sistema di segni - Le tecniche logiche e la dottrina della scienza - Onnipotenza divina e autonomia del mondo mentale - 5. Il Basso Medioevo: fisica e filosofia naturale - Causalità e leggi di natura - Casualità e probabilità - Astrologia, alchimia e scienza sperimentale - La meccanica e la tecnica - Fisica e Matematica - L’infinito e l’eterno - Il continuo, il tempo e lo spazio - 6. Il Basso Medioevo: la matematica europea - L’epoca delle traduzioni - Leonardo Fibonacci e Jordanus Nemorarius - Numeri, proporzioni e segni - Il continuo matematico e l’infinito - Matematica e musica - 7. Il Basso Medioevo: quantità e qualità - Intensio et remissio formarum - Peso e materia - Il moto, il luogo e il tempo - Il moto come forma fluens o fluxus formae - Il moto come grandezza - La matematica e la nuova scienza - La teoria dell’impetus - 8. Il Rinascimento - Il Rinascimento e la Scienza - L’infinito - Scienza e pseudoscienza - Mimesi iconica e rappresentazione sintattica - Arte, tecnica e scienza - L’anima e il soggetto - Logica, retorica e il problema del metodo - 9. La matematica rinascimentale - Logica, matematica e scienza - La meccanica - La matematica - Gli ingegneri e gli artisti - Algebristi e geometri - Il numero reale - Il linguaggio algebrico - 10. La nuova scienza - L’algebra simbolica - La fisica e la nuova forma logica - Infinito e Continuo - Il linguaggio e la nuova forma simbolica - Il nuovo paradigma sintattico - Il metodo e il soggetto - La logica e la probabilità - Conclusioni - Riferimenti bibliografici - Indice dei nomi
Il computer è figlio di una tecnologia elettronica e di un’architettura logico-matematica. Ma la tecnologia cambia continuamente, abbiamo anche smesso di contarne le “generazioni”. Si dice che ogni cinque anni, a parità di potenza, il computer diventi dieci volte più piccolo, dieci volte più veloce e dieci volte più economico. È quanto di più eracliteo si possa immaginare, potremmo dire che, come “era impossibile immergersi due volte nello stesso fiume”, oggi “è impossibile cambiare il proprio computer ritrovando la stessa tecnologia”.
Invece negli ultimi sessant’anni l’architettura logico-aritmetica, nonostante investimenti in ricerca di dimensioni colossali, è rimasta sostanzialmente la stessa materializzazione di un’idea teoretica di profondità inaudita, quella della “macchina di Turing universale”: quanto di più eleatico si sia mai visto!
Un’idea, quella della “macchina di Turing”, cresciuta nell’ambiente della matematica formalista, per formalizzare l’idea di algoritmo, fino ad allora un’idea solo intuitiva, quella di una procedura meccanica di manipolazione di segni (numeri, lettere, simboli matematici o logici, ecc.) secondo certe regole fisse, e nel quale i segni sono anfibi: puramente ideali eppure manipolabili come cose. E sorge allora un altro semplice interrogativo:
Che cosa si può fare manipolando segni secondo regole?
Altra questione sciocca, la risposta potrebbe essere: dipende dai segni, dalla memoria, dalle regole... E invece no. Al di là di una certa soglia, quello che si può fare manipolando segni secondo regole non dipende da nulla, è qualcosa di universale, di assoluto, di stabile, è semplicemente quello che può fare il computer o la “macchina universale”, è il calcolabile.
Forse l’idea più abbagliante di tutto il XX secolo.
E da dove veniva questa idea? Dalle questioni che un piccolo gruppo di matematici si posero negli anni ’30, cercando di definire che cosa fosse un algoritmo. Anche qui una questione apparentemente un po’ sciocca: sin dalle scuole elementari conosciamo gli algoritmi: le operazioni in colonna e poi il calcolo delle espressioni, l’algebra, la logica, ecc. È un’abilità tipicamente umana, consiste nel “ragionare senza comprendere”. Se dico: «Joe è un sarchia pone e tutti i sarchiaponi sono sesquipedali» che cosa vi sentite di poter dedurre? Ovviamente che «Joe è sesquipedale»! Anche se non sapete che cosa sia un sarchiapone. Semplicemente ragionate in maniera “formale”, cioè manipolando segni secondo regole: «a è un B e tutti i B sono C» allora «a è un C». Non diverso è il nostro modo di fare i conti: «Ogni bist contiene 6 stok, se compro 4 bist, quanti stok avrò?»; 24, senza sapere che cosa siano bist e stok, basta fare 6 x 4 = 24. Può sembrare strano sentire che nell’eseguire un algoritmo non c’è niente da comprendere, quando per tutta la nostra vita scolastica abbiamo creduto che fossero argomenti in cui occorreva impegnare tutta la nostra intelligenza, ma basta conoscere un po’ il computer per convincersene.
Ma da dove viene questa abilità tipicamente umana? Questa abilità sintattica? Questa intelligenza “stupida”? Gli animali si scambiano informazioni, forse parlano, forse disegnano, giocano, sognano, forse conoscono anche i numeri e forse un po’ ragionano. Ma non hanno abilità sintattica. Nessuna scimmia ha mai eseguito un algoritmo.
Gli algoritmi e i segni sono due facce della stessa medaglia. I segni sono caratterizzati dagli algoritmi che li usano, e gli algoritmi manipolano i segni. E gli stessi algoritmi sono codificabili e manipolabili come segni.
La scienza dell’uomo è una scienza di segni. Lo sapeva Leibniz: Dio conosce direttamente, l’uomo no, conosce solo attraverso i segni. E tutta la nostra scienza lo conferma: le leggi della natura, le formule, i dati. E questo non vale solo per i nostri linguaggi formali: sin dall’antichità sappiamo che il nostro linguaggio parla del mondo. Se scrivo ‘fuori piove’ voglio dire che fuori sta piovendo e questo corrisponde a un’immagine mentale analoga. Con diverse sfumature questo schema risuona nella nostra cultura da almeno 2500 anni, dall’inizio della filosofia greca. È l’idea di una corrispondenza fra tre mondi: in primo luogo la realtà esterna fatta di cose, dei loro attributi, dei fatti. In secondo luogo la nostra mente fatta di concetti, idee, pensieri. In terzo luogo i linguaggi fatti di parole, verbi, aggettivi. O anche i linguaggi formali, come quelli dell’algebra, della logica, della programmazione. Praticamente non conosco alcun filosofo o scienziato che non abbia condiviso questa idea. Certo la corrispondenza può essere più o meno rigorosa, può essere naturale o artificiale, si possono preferire i linguaggi formali a quelli naturali, si possono proporre perfezionamenti del lessico per migliorarla, si può estendere la corrispondenza dagli elementi semplici a quelli complessi, ecc. Ma in ogni caso essa è nel suo complesso naturale, dovuta alla realtà delle cose, al carattere materiale del nostro cervello, alla nostra natura divina, all’evoluzione darwiniana, ecc.
Questo schema (figura 1) è noto come triangolo semiotico, e il suo ruolo come presupposto dell’intera attività conoscitiva umana l’abbiamo chiamato il paradigma sintattico.
Circa un secolo fa questo schema ha subìto una semplificazione radicale, semplicemente eliminando la mente. Positivismo, formalismo, comportamentismo, ecc. ci hanno garantito che potevamo e dovevamo fare a meno dei termini “mentalistici”, dei “modelli meccanici”, della “metafisica”, delle “definizioni essenziali”, ecc. O almeno che non dovevamo usarli se non come introduzioni alla struttura formale delle scienze. In questo “oblio della mente” la corrispondenza doveva legare allora semplicemente la realtà da descrivere e il linguaggio di rappresentazione: semantica e sintassi, la frase rappresenta l’evento, e l’evento è l’interpretazione della frase (figura 2). L’algoritmo codifica il problema, i dati caratterizzano la realtà, la formula rappresenta il fatto.
E al centro c’è l’algoritmo che in questa semplificazione del paradigma sintattico perde tutta la sua residua aura concettuale, sottolineando invece la completezza della sua natura sintattica per rappresentare compiutamente la realtà.
Di questo paradigma sintattico semplificato il computer è più che la realizzazione materiale, è l’autentica epifania, che del nostro mondo ormai organizza la scienza e la tecnica, l’economia e la produzione, l’informazione e le comunicazioni, il gioco e il divertimento, la guerra e la politica, la vita sociale e quella domestica, l’istruzione e il lavoro.
E allora: che cosa essenzialmente è il computer?
march 2010 | Corriere del mezzogiorno |